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lunedì 15 aprile 2013

Certo, noi potremo fare poco. Ma l’importante è cominciare a fare qualcosa. Il resto seguirà.

“Fraternità e sicurezza”.
 Ovvero, come pensare la sicurezza a partire dalla fraternità.
La chiave di soluzione è in qualche modo offerta dallo slogan proposto, che è citazione di un versetto di Isaia: “La pace è frutto di giustizia” (Is 32, 17), e dalle immagini che il testo isaiano evoca subito dopo: “Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri” (Is 32, 18). “Pace” è intesa naturalmente, come lo shalom biblico, cioè, vita, pienezza di vita, dispiegamento di tutte le sue potenzialità, ricchezza di benedizioni.
E “giustizia” è la Sua giustizia divenuta finalmente nostra, quando, speriamo che accada presto, “in noi sarà infuso uno spirito dall’alto” (v.15) e succederà allora che i governanti, ma anche noi tutti (guarda un po’ ritorna anche qui!), saranno espressione del Principio della cura:
Ognuno sarà come un riparo contro il vento e uno schermo dall’acquazzone, come canali d’acqua in una steppa, come l’ombra di una grande roccia su arida terra” (Is 32, 2).
Non ci sarà più spazio per l’indifferenza: 
Non si chiuderanno più gli occhi di chi vede e gli orecchi di chi sente staranno attenti. Gli animi volubili si applicheranno a comprendere e la lingua dei balbuzienti parlerà spedita e con chiarezza” (Is 32, 3-4).
Sicurezza, dunque, per tutti, a partire da quanti non hanno strumenti per garantirsela, i più deboli, poveri, oppressi.
Sicurezza della casa, perché tutti ce l’abbiano e sia almeno dignitosa.
Sicurezza nella casa, senza più bambini e donne vittime di violenza e di stupri, liberi dalla cultura maschilista che ne è sempre la causa;
sicurezza del lavoro, che sottragga individui e famiglie all’incubo della miseria, alla fuga nell’alcool e nella droga e alla devastazione che ne segue, alla deriva della criminalità;
sicurezza nel lavoro, che eviti le morti bianche, le condizioni disumane di sfruttamento, l’assenza di ogni tutela nelle lavorazioni insalubri;
sicurezza della salute, come diritto primario di ogni cittadino all’attendimento medico, a cure e medicine gratuite per i più carenti, a strutture sanitarie idonee a garantirla.
E, poi, ancora, sicurezza nel transito, nelle periferie degradate, nelle prigioni, che, da noi ben più che altrove, significano per molti, troppi, una giustizia che discrimina, segrega, ammucchia in condizioni disumane, e molto spesso tortura e uccide.
Potremmo continuare a lungo, fino a disperarci. Certo, noi potremo fare poco. Ma l’importante è cominciare a fare qualcosa. Il resto seguirà.

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