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mercoledì 24 luglio 2013

In realtà «ascesi», termine che deriva dal greco askein, «esercitare», «praticare», indica anzitutto l’applicazione metodica, l’esercizio ripetuto, lo sforzo per acquisire un’abilità e una competenza specifica


Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità

Ascesi
«Non si nasce cristiani, lo si diventa» (Tertulliano).
Questo «divenire» è lo spazio in cui si inserisce l’ascesi cristiana.
Ascesi è oggi parola sospetta, se non del tutto assurda e incomprensibile per molti uomini
e, ciò che più è significativo, anche per un gran numero di cristiani.
In realtà «ascesi», termine che deriva dal greco askein, «esercitare», «praticare», indica anzitutto l’applicazione metodica, l’esercizio ripetuto, lo sforzo per acquisire un’abilità e una competenza specifica:
l’atleta, l’artista, il soldato devono «allenarsi», provare e riprovare movimenti e gesti per poter pervenire a prestazioni elevate.
L’ascesi è dunque anzitutto una necessità umana:
la stessa crescita dell’uomo,
la sua umanizzazione,
esige un corrispondere interiore alla crescita anagrafica.
Esige un dire dei «no» per poter dire dei «sì»:
«Quando ero bambino, parlavo e pensavo da bambino ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato»scrive san Paolo (1Corinti 13,11).
La vita cristiana poi, che è rinascita a una vita nuova, a una vita «in Cristo», che è adattamento della propria vita alla vita di Dio,
richiede l’assunzione di capacità «non naturali» come la preghiera e l’amore del nemico:
e questo non è possibile senza un’applicazione costante, un esercizio, uno sforzo incessante. Purtroppo il mito della spontaneità,
che domina ancora in questa fase di adolescenze interminabili
e che porta a contrapporre esercizio e autenticità,
si rivela un ostacolo determinante
alla maturazione umana delle persone e alla comprensione dell’essenzialità
dell’ascesi per una crescita spirituale.

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