L’evangelizzatore deve seguire Gesù nel tradurre in opere la buona notizia.
Com’è noto (ed oggi enormemente valorizzato)
Gesù evangelizzò con parole e con azioni;
con predicazioni da un lato e con miracoli ed esorcismi dall’altro.
Questi ultimi non furono soltanto cose buone fatte da Gesù “oltre” a predicare,
ma cose richieste dal contenuto della sua predicazione,
e senza le quali la buona notizia sarebbe rimasta ancora una volta semplice promessa,
forse affine ai più profondi desideri degli uomini,
ma priva della forza sufficiente a rompere l’ambiguità storica di ogni promessa trascendentale.
Gesù volle porre bene in chiaro che
Dio aveva rotto definitivamente quella simmetria,
per cui egli poteva essere
salvezza o condanna,
padre amoroso o giudice implacabile,
vicinanza o allontanamento.
Perciò l’annuncio dell’amore di Dio
dovette essere necessariamente unito ai gesti storici di quell’amore;
l’annuncio della vicinanza di Dio
dovette essere unito al reale rendersi presente di Dio fra gli uomini.
“Passò facendo del bene” non è soltanto un sommario dell’azione etico-personale di Gesù,
ma anche un sommario del suo impegno di evangelizzazione.
L’evangelizzatore deve seguire Gesù in questo compiere il bene.
La parola dell’annuncio è già un fare,
ma essa deve anche essere coscientemente ordinata ad altre azioni,
attraverso le quali gli uomini possano recepire
che vi è davvero una buona notizia di Dio,
e che essa, in quanto di Dio, non è soltanto offerta,
ma anche efficace, capace di trasformare la miseria della realtà personale e storica.
(Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).
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