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domenica 30 giugno 2013

l’annuncio dell’amore di Dio dovette essere necessariamente unito ai gesti storici di quell’amore; l’annuncio della vicinanza di Dio dovette essere unito al reale rendersi presente di Dio fra gli uomini

L’evangelizzatore deve seguire Gesù nel tradurre in opere la buona notizia.
Com’è noto (ed oggi enormemente valorizzato)
Gesù evangelizzò con parole e con azioni;
con predicazioni da un lato e con miracoli ed esorcismi dall’altro.
Questi ultimi non furono soltanto cose buone fatte da Gesù “oltre” a predicare,
ma cose richieste dal contenuto della sua predicazione,
e senza le quali la buona notizia sarebbe rimasta ancora una volta semplice promessa,
forse affine ai più profondi desideri degli uomini,
ma priva della forza sufficiente a rompere l’ambiguità storica di ogni promessa trascendentale.
Gesù volle porre bene in chiaro che
Dio aveva rotto definitivamente quella simmetria,
per cui egli poteva essere
salvezza o condanna,
padre amoroso o giudice implacabile,
vicinanza o allontanamento.
Perciò l’annuncio dell’amore di Dio
dovette essere necessariamente unito ai gesti storici di quell’amore;
l’annuncio della vicinanza di Dio
dovette essere unito al reale rendersi presente di Dio fra gli uomini.
“Passò facendo del bene” non è soltanto un sommario dell’azione etico-personale di Gesù,
ma anche un sommario del suo impegno di evangelizzazione.
L’evangelizzatore deve seguire Gesù in questo compiere il bene.
La parola dell’annuncio è già un fare,
ma essa deve anche essere coscientemente ordinata ad altre azioni,
attraverso le quali gli uomini possano recepire
che vi è davvero una buona notizia di Dio,
e che essa, in quanto di Dio, non è soltanto offerta,
ma anche efficace, capace di trasformare la miseria della realtà personale e storica.
(Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

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