Oggi la Chiesa riunisce in una stessa festa tutti i suoi figli giunti al Regno, assolutamente tutti.
Non vuole tralasciarne nemmeno uno.
Ma quando beatifica, ne beatifica solo qualcuno, in questa moltitudine che nessuno può contare. A titolo di delegati, rappresentativi di tutti gli altri dello stesso paese, dello stesso mestiere, della stessa
epoca o dello stesso stato di vita.
E che essa osa dare come esempio al mondo intero e per tutti i tempi.
“Nulla ci dice che i santi canonizzati siano i più grandi” (Teresa di Lisieux).
I santi proclamati ufficialmente tali hanno già le loro feste durante l’anno.
Allora questa è per tutti gli altri.
1) I santi anonimi, avvolti dal manto del silenzio. Quelli di cui non conosceremo mai il nome sulla terra. Quelli che, nascosti agli occhi degli uomini, costituiscono ancora il segreto del Padre.
2) I santi delle nostre famiglie. Non c’è nessuno tra di noi che non abbia dei santi nella sua genealogia. Che lo sappia o no. Io festeggio oggi tutti i miei antenati, o i più vicini: questi nonni o genitori, fratelli o sorelle che mi hanno preceduto nel Regno. Non sono il figlio delle loro lacrime, della loro preghiera, del loro amore? La grazia che ricevo oggi, non è forse in risposta all’amore di una donna sconosciuta, che recita il suo rosario la sera di un lungo giorno di lavoro nei campi? Anche questa è la comunione dei Santi. Sarò degno dei santi della mia famiglia?
3) I santi non dichiaratamente cristiani, semplicemente perché non hanno mai avuto l’occasione di incontrare Gesù, ma che non sono meno salvati da lui. I santi dei popoli pagani (la Bibbia ce ne dà qualche esempio), perché tutti i popoli hanno i loro santi. Quelli che hanno vissuto effettivamente le beatitudini, senza saperne la fonte. Che hanno vissuto il Vangelo, senza poter riconoscere il volto di Gesù nella sua Chiesa, sfigurato come era dalle infedeltàdi troppi battezzati. Le frontiere della Chiesa non coincidono per forza con i muri delle nostre chiese. Alcuni al di “fuori dalle mura” non hanno forse potuto vivere, paradossalmente, nel cuore della Chiesa? Lo sa Dio che vede nei cuori. “Nell’ineffabile presenza di Dio, molti che sembrerebbero fuori sono dentro, e molti che sembrerebbero dentro sono fuori” (Sant’Agostino, De Baptismo, 5, 27).
La festa dei miserabili di oggi: questa festa ce lo rivela: la santità non è sinonimo di perfezione morale. Si può essere naturalmente privilegiati dall’eredità, dalle origini, dall’ambiente familiare, dall’educazione, essere dotati di diverse qualità umane e di virtù naturali al punto di passare per santi, ed esserne ben lungi! Mentre esseri diseredati per natura, dalla psiche ferita e fragile, possono offrire allo Spirito Santo un terreno di prima qualità. Un alcolizzato che, per puro amore, si priva di un solo bicchiere, può fare un atto più eroico di un monaco che fa prodezze di ascetismo.
“Supponendo un’uguale fedeltà innata alla grazia, e dunque un’uguale santificazione nel mistero, vi sono due specie di santi: vi sono i santi dalla psiche disgraziata e difficile, la compagnia degli angosciati, degli aggressivi e dei carnali, tutti quelli che portano il peso di determinismi. Vi sono quelli che non affascineranno mai gli uccelli e non accarezzeranno mai il lupo di Gubbio; quelli che cadono, e cadono ancora; quelli che piangeranno fino alla fine, non perché avranno sbattuto la porta un po’ troppo forte, ma perché commettono ancora quella colpa sordida, inconfessabile. V’è l’immensa folla di quelli la cui santità non brillerà mai quaggiù nella loro vita psichica, e non si alzerà che l'ultimo giorno per risplendere infine in perpetuas aeternitates .
Sono i santi senza nome.
E, di fianco a loro, vi sono i santi dalla psiche felice, i santi casti, forti e dolci, i santi modello, canonizzati e canonizzabili; quelli il cui cuore liberato è grande come le sabbie sulle spiagge del mare, quelli la cui psiche canta già come un’arpa armoniosa la gloria di Dio; i santi ammirevoli che suscitano il rendimento di grazie, nei quali tocchiamo l’umanità trasformata dalla grazia. I santi riconosciuti, festeggiati, i grandi santi che lasciano la loro traccia splendente nella storia” (Padre Beirnaert, “Etudes carmelitaines”, 1951).
Immensa speranza del nostro tempo!
Tutti i Santi è la festa dei giovani d’oggi!
Modello di perfezione o figlio del perdono? A nuovi bisogni, santi nuovi. Dio aggiorna il Vangelo: lo Spirito modella nuovi profili. Eccoci entrati nell’era della santità dei miserabili. Tempo della grande miseria, tempo della grande misericordia. Le grazie che sembravano riservate ai santi più grandi, eccole riservate ai più piccoli. Vedendo i giovani tanto perturbati, se non traumatizzati, si potrebbe credere: la stoffa umana è ormai a brandelli, non avremo più eroi. Non più eroi, ma molti santi. Forse non santi da offrire come esempio di “perfezione”, ma amici di Dio da ricevere come un segno di consolazione. Un santo sarà sempre meno un modello di perfezione, e sempre più un figlio del perdono. Santi che si esiterà forse a canonizzare, ma che Dio non per questo avrà santificato meno. Della razza del buon ladrone.
La bellezza di un santo non è quella di un indossatore, ma quella di un volto ferito: la santità si misurerà dalla vulnerabilità. Poiché ecco che tutto è rovesciato. Più un uomo porta un handicap pesante, più questo stesso peso lo trascina nel fondo del cuore di Dio. E questo stesso peso è la sua gloria. Più un essere è ferito dalla vita, più è amato da Maria.
Più è rifiutato dagli uomini, più è protetto da Dio.
Tanto più ferito, tanto più amato.
Anche se non lo sa, è così.
Tristezza infinita se non lo sa. Felicità indicibile se lo sa. Chi dunque griderà questo messaggio di folle speranza nel deserto del nostro mondo, atrocemente sottoalimentato, privo del nutrimento più
elementare, privo del latte materno?
Giovanni Emanuele ha avuto le parole giuste: “Dio ha posato gli occhi su di me, perché sono fragile!”.
Ciò che Anna, ventun’anni, ha detto in modo diverso: “Il santo è colui che è talmente peccatore che Gesù è tutto per lui”.
E Chantal, diciotto anni: “In questo momento vivo questa esperienza: sono infinitamente più amata di quanto io non sia peccatrice”.
Avevo scritto:
“Dio trasforma i difetti psicologici, le ferite affettive, in grazie di purificazione passive ed attive”.
Aggiungo:
Dio fa diventare delle fonti queste stesse ferite. Tante più ferite, tante più fonti.
Fonti dello Spirito Santo per il nostro mondo. Fonti di guarigione per la nostra umanità malata. Sono i più malati tra i suoi figli che diverranno i medici dei popoli. Gli orfani del nostro mondo diverranno i rivelatori del Padre. I giovani sono i primi a contrarre le malattie del nostro fine secolo. Tutto il male che attraversa la nostra umanità li colpisce in pieno.
Troppo fragili per sopportare il colpo, essi cadono e soccombono:
“Noi abbiamo a che fare con giovani che hanno pagato in anticipo il prezzo dei colpi che non hanno meritato, hanno subito ogni sorta di traumi senza esserne responsabili” (card. Lustiger). Vittime, sì, ma innocenti! Se solamente potessero sapere che qualcuno li ha preceduti in questo cammino di innocenza schernita. Qualcuno che dà un senso a questa gigantesca quantità di sofferenza, che al di fuori di lui non può che schiacciare. Ma anche di questo essi non dubitano. Noi non sappiamo, non osiamo dire, scusate!, rivelare loro: “Voi siete gli agnelli che portate il peccato del mondo, ma per toglierlo. Voi siete innocenti del male, ma salvatori del mondo. Ad una condizione: semplicemente, accogliere questo nella vostra vita!”. Sì, coloro che il male metterà in croce saranno coloro che l’amore avrà segnato. La gioia di Dio: luce a fior di terra, giacimento fantastico, ancora così poco sfruttato! Le nostre città sono popolate da molti più santi che assassini. Ed anche gli assassini possono diventare santi, poiché il primo canonizzato - e da Dio stesso! - lo era senza dubbio: il bandito crocifisso di fianco alla luce. Scoprendovi il suo Re e il suo fratello.
Mettiamoci dunque a risvegliare la santità.
Presso chiunque: i bambini, i giovani, i poveri, tutti, tutti...
Perché, alla fine, che cos’è la santità, se non la felicità?
La semplice felicità di esistere!
Come essere felici senza rispondere, corrispondere alle preferenze, al sogno di amore del Signore su di me?
Come essere pienamente me stesso, senza coincidere con questo sguardo laser, che non cessa di posarsi su di me?
Chi dunque è più felice di un santo?
La piccola Chiara di Castelbajac osava gridare: “Amo talmente la vita! Vi rendete conto di quanto sono felice? Talmente felice che se morissi ora credo che andrei diritta in cielo... Sono in una beatitudine finora mai sperimentata! È incredibile che io sia così felice, a causa di tutto, e nonostante tutto. Imparo dall’esperienza che c’è sempre una felicità più profonda di quanto si creda”. Felicità contagiosa: “Ho voglia di rendere tutti felici: questa dev’essere la gioia dei figli di Dio”. E queste parole folgoranti scarabocchiate nella Terra Santa: “Credo di essere stata scelta da Dio per essere la più felice della mia generazione” (23 settembre 1974).
Quattro mesi più tardi entrava per sempre nella gioia del Signore. Aveva ventidue anni.
La Chiesa sceglie oggi come Vangelo l’inno alla gioia, composto, suonato, cantato su una collina di Galilea sulla riva del lago.
Carta della santità, questo canto di otto strofe.
Un solo ritornello: Beati! Beati! Beati!
E chi canta?
Colui che è la gioia stessa del Padre,
la gioia dei poveri.
Un autoritratto:
egli vi ha disegnato il proprio volto.
Chi dunque come lui è stato povero, ha pianto, è stato perseguitato?
Ma anche:
chi più di lui ha consolato, seminato la pace, guarito mille ferite?
Otto strofe:
i colori dell’arcobaleno in cui si riflette l’unica luce della gloria.
Impossibile viverne una senza che tutte le altre seguano.
A volte una più di un’altra, ma sempre tutte là, inscindibili.
Altrettanti doni dello Spirito Santo.
Tutto il cielo (il regno, le lacrime asciugate, il banchetto finale) è già qui,
ma con tutto ciò che dobbiamo vivere sulla terra (la povertà, le lacrime, la persecuzione).
Cielo e terra si intrecciano uno nell’altra.
Un santo: colui il cui cuore si apre al cielo, diventa cielo, diventa regno: presso di lui abita il re.
Inno
che ha attraversato i continenti e le generazioni.
Che ha affascinato i poveri e i piccoli di tutti i tempi.
Che taglia in due la storia del mondo.
Che rovescia tutti i valori umani.
Formidabile rivoluzione copernicana, che non ha ancora finito di metterci sottosopra.
Daniel Ange
Nessun commento:
Posta un commento