A volte ci nascondiamo dietro alla complessità dei problemi che diciamo sono più grandi di noi, ma in realtà quello che rifiutiamo è l'inizio di un nuovo percorso, temiamo di lasciare le nostre abitudini, le nostre sicurezze e indietreggiamo di fronte al rischio di andare contro corrente. Meglio rimanercene a guardare dall'esterno senza coinvolgerci troppo, meglio aspettare che qualcuno pensi per noi: davvero tutto sembra "troppo complicato".
Vincere la nostra pigrizia vorrebbe dire ribaltare i luoghi comuni, le parole già dette, le frasi fatte.
Vincere la nostra pigrizia vorrebbe dire non aver paura di sentirsi "fuori", come capitava forse a chi frequentava o difendeva troppo i neri in Sudafrica.
Vincere la nostra pigrizia vorrebbe dire non solo "informarsi", ma a mettersi al posto dell'altro, imparare ad affrontare la realtà senza pensare che nulla è possibile.
Vincere la nostra pigrizia vuol dire operare il cambiamento prima di tutto dentro di noi per imparare a guardare con occhi privi di pregiudizi o schemi mentali.
Vincere la nostra pigrizia forse vuol dire non aspettare i grandi gesti, quelli eclatanti, ma accontentarci di quel poco che è nelle nostre concrete possibilità, quelli fatti lontano dagli appalusi.
Vincere la nostra pigrizia può voler dire sentirci responsabili e cambiare anche piccoli comportamenti un giorno dopo l'altro.
Dice Benasayag che alla domanda "che fare?" si può rispondere soltanto: "Qual è il mio prossimo piccolo passo?". "Bisogna smettere di concepire l'impegno come un proposito per l'anno nuovo, una risoluzione di completo cambiamento (...) E' sempre in nome del grande impegno che avrò domani per la libertà che volto le spalle a un modo di vita che costruisce a poco a poco dei divenire di liberazione". La lotta contro la pigrizia passa attraverso un'interrogativo: "qual è la nostra posizione rispetto al richiamo che costituisce il fondamento nella nostra situazione?"
Emilia de Rienzo
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