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sabato 10 dicembre 2011
conversazione d'una mente
Solitudine, se vivere devo con te,
sia almeno lontano dal mucchio confuso
delle case buie; con me vieni in alto,
dove la natura si svela, e la valle,
il fiorito pendio, la piena cristallina
del fiume appaiono in miniatura;
veglia con me, dove i rami fanno dimore,
e il cervo veloce, balzando, fuga
dal calice del fiore l'ape selvaggia.
Qui sarei felice anche con te. Ma la dolce
conversazione d'una mente innocente, quando le parole
sono immagini di pensieri squisiti, è il piacere
dell'animo mio. E' quasi come un dio l'uomo
quando con uno spirito affine abita in te.
(John Keats)
giovedì 24 marzo 2011
fare compagnia
la solitudine è il non essere capaci
di fare compagnia a qualcuno
o a qualcosa che sta dentro di noi,
la solitudine non è un albero
in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui,
è la distanza
tra la linfa profonda e la corteccia,
tra la foglia e la radice.
(José Saramago)
martedì 15 marzo 2011
nella comunione impariamo a essere soli
“Conosco due specie di solitudine: l’una che mi rende triste da morire e mi dà la sensazione di essere persa, senza direzione; l’altra, al contrario, mi rende forte e felice. La prima deriva dal fatto che ho l’impressione di non aver più contatto con i miei simili, di essere totalmente separata da ciascuno di loro e da me stessa, al punto da non capire più che senso può avere la vita, mi sembra che non abbia più coerenza e che io non vi trovi il mio posto. Ma l’esperienza di un’altra solitudine mi rende forte e sicura di me stessa, mi sento in comunione con tutti, con tutto e con Dio, mi sento inserita in un grande condividere anche con altri questa grande forza che è in me (Etty Hillesum).
Spesso vediamo solitudine e comunione come antagoniste e cerchiamo la seconda per scappare dalla prima mentre, in realtà, si tratta di accettare una dimensione di solitudine costitutiva del nostro essere umani per accedere alla vera comunione con gli altri: “Chi non sa stare da solo, si guardi dal cercare la comunione. Ma viceversa è vero anche che chi non si trova in comunione si guardi dallo stare solo.
Esclusivamente nella comunione riusciamo a essere soli ed esclusivamente chi è solo è in grado di vivere nella comunione. Sono due cose interdipendenti. Esclusivamente nella comunione impariamo a essere soli nel modo giusto ed esclusivamente nella solitudine impariamo a essere nella comunione in modo giusto.
Non si ha la precedenza di una condizione sull’altra, ma esse si determinano contemporaneamente con la chiamata di Cristo (Dietrich Bonhoeffer). Si tratta di scoprire che si può essere in comunione nella più grande solitudine e nella più intensa comunione scoprire uno spazio di solitudine che custodisce noi e l’altro da ogni assorbimento e fusionalità, che ci fa essere con noi stessi.
fonte: Monastero di Bose
martedì 8 marzo 2011
il silenzio ha un suo eros e un suo proprio linguaggio
Una riflessione di Eugenio Borgna sulla differenza fra la solitudine che si nutre di silenzio e l'isolamento che è impastato di mutismo: "Nella solitudine, così ricca di vita interiore, il silenzio ha un suo eros e un suo proprio linguaggio: dice le nostre malinconie, le angosce, le speranze inespresse, i timori, le attese. Dice i nostri desideri più autentici. Il silenzio ha mille modi di manifestare qualcosa e di nasconderla, di indicare e di alludere, di avvicinarsi e di allontanarsi, di affascinare e di intimorire. Quando invece si è isolati, distaccati dal mondo, monadi dalle porte e dalle finestre chiuse, non si hanno pensieri ed emozioni da trasmettere agli altri. Senza più parole, si sprofonda in un mutismo che ha un'unica dimensione: quella dell'insignificanza"
lunedì 21 febbraio 2011
lascia che tutta la delusione, il dolore, la rabbia vengano a galla
E’ noto che esiste una differenza tra isolamento e solitudine. L’isolamento come tale ha un carattere negativo: è l’uomo che vive disperatamente solo, magari in mezzo alla gente, ove comunque si sente non compreso e fallito; al contrario, la solitudine per ogni uomo, anche per l’uomo moderno, è un valore fondamentale. Ciò vuol dire che c’è un momento in cui l’uomo giunge a riconoscere che niente lo soddisfa davvero, che tutti i suoi metodi, tutte le sue esperienze, tutte le sue speranze lo hanno soddisfatto solo fino a un certo punto: rimane ancora un vuoto, un vuoto che soltanto Dio può colmare. È un’esperienza che non si fa quando ancora le cose si accavallano una sull’altra e si continua a sperare che ciascuna di esse riempia quel vuoto. Ma quando sopravviene lo scacco, allora ci si viene a trovare in quello stato di attesa e di vigilanza che fu lo stato di Mosè per 40 anni.
Ed ecco la solitudine di Mosè.
Ed ecco la solitudine di Mosè.
Egli lascia che tutta la delusione, il dolore, la rabbia vengano a galla;
non maschera né sopprime tutte queste cose,
ma anzi le affronta,
perché non ha più paura di guardare nella sua vita.
C.M. Martini, Vita di Mosè
martedì 30 novembre 2010
Tendete le vostre mani alle mani tutte intorno, poiché non c’è nessun abisso
“La Solitudine è la vostra ombra che non vi lascia mai. Pertanto non domandate all’ombra di chi vi passa accanto di posarsi sulla vostra affinché questa riesca a cancellarsi.
Nessuno ha forme adatte a colmare il vostro vuoto, e nessuna vetta altrui può lambire quelle vostre altitudini che sono riservate solo al Vento.
Solo comprendendo questa appartenenza accetterete questo segno, che marchiando col fuoco il vostro cuore, vi tiene vivi e non permette alle ebbrezze di annegarvi.
Ma al tempo stesso alzate l’animo, per non ingrandire senza necessità quest’ombra e farne il vostro idolo, accusando il destino di ciò che spesso siete voi a causarvi.
Gran parte della vostra Solitudine ha infatti per padre i vostri troppi sogni, e per madre la vostra incapacità di sognare il vero.
Non date colpa dunque al Sole di tutta quell’ombra da voi prodotta, poiché proprio quando il Sole vi si avvicina nei vostri mezzogiorni, posando il calore della sua mano sul vostro capo, scoprite di avere ricevuto in dono ombre più corte.
Se sapeste infatti unire il volo della vostra mente al vero cielo del vostro volo, vedreste ogni giorno diventare più esigua la vostra Solitudine.
E smettereste di erigere muri altissimi, che aggiungendo nuova ombra alla vostra ombra, trasformano la Solitudine in disperazione.
Tendete le vostre mani alle mani tutte intorno, poiché non c’è nessun abisso, alcuna incomunicabilità: sono lapidi erette da voi, dei della vostra esistenza, pretesti per non scommettere con gli altri il vostro dono.
Poiché se permetteste al Vento di entrare solo un poco nella vostra stanza e di scostare le tende scure della vostra Solitudine, che nel buio spesso neanche più trovate, avreste luce per scoprire l’amicizia come un tempo sapevate fare.
E allora compireste il primo passo della vostra crescita, poiché per un amico siete finalmente disposti a scalare quelle vostre montagne interiori che, per l’esservi poco amati, non avete mai scalato per voi”.
Da Il Profeta del Vento, di Stefano Biavaschi -
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