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sabato 7 gennaio 2017

"Pocjis e che si tocjin", poche parole, ma semplici e concrete.

In questi giorni incontro commenti/lectio che formano un'eco profonda nella mia anima. Ho incontrato questa risposta  di padre Ermes che, parlando del modo con cui avrebbe affrontato la predicazione degli esercizi, definisce le caratteristiche che trovo nelle mie frequentazioni quotidiane della Parola. E poi, quanto vorrei che anche le mie parole fossero sempre guidate dalle qualità espresse nell'impegno che padre Ermes si è dato.

D.- Il Papa tiene molto alle omelie dei sacerdoti, dice che devono essere chiare, semplici, brevi ... e che la gente le capisca…

R. di Ermes Ronchi–
Questo coincide con il ricordo che io ho della mia prima Messa, quando io chiesi al mio papà:
“Come devo predicare alla gente del mio paese?”.
E lui mi rispose in lingua friulana: "Pocjis e che si tocjin", poche parole, ma semplici e concrete.
E allora io ho capito da lì
che la Parola deve essere incarnata,
che si possa toccare,
che abbia toccato,
che abbia inciso, graffiato.

Mi sono dato questo impegno:

non dire mai una parola che prima non abbia fatto soffrire o gioire me,
altrimenti non è incarnata e
non raggiunge nessuno.

E poi credo, come secondo criterio fondamentale,
la semplicità:
non elucubrare grandi pensieri teorici ma far capire che siamo immersi in un mare d’amore e non ce ne rendiamo conto.

La terza cosa è la bellezza.
La bellezza per me è un nome di Dio.

E la quarta cosa è la positività: sempre positivi, sempre creativi di speranza, il Vangelo è positivo, basta solo leggere la sua etimologia.

venerdì 8 marzo 2013

Questo triangolo crea il paradiso


Esistono oggi dei piccoli germogli che, come il mandorlo in fiore, annunciano la primavera, l'emergere di una novità decisiva per il tempo a venire?
Per prima cosa, l'emergere del femminile: uno dei segni più belli del mondo d'oggi, forse il massimo dei segni profetici. La donna, che crea un ponte temporale tra il passato e il presente, che è la dimora dove si attua l'accoglienza ospitale più alta, quella di una nuova vita. Il genio femminile, la sua creatività calda, calda di abbracci, di attenzioni. Pensa solo all'atteggiamento materno, al senso di madre da estendere a tutto ciò che vive. Pensa all'etica della cura, dell'avere a cuore, che è biblica, perché la misericordia nella Bibbia si esplica come etica della cura. La donna fa paradiso quando si prende cura, quando mantiene questo triangolo: la cura di sé, la cura degli altri, la cura del mondo. Questo triangolo crea il paradiso, l'Eden, dove il nostro compito è «custodire e coltivare».
Ermes Ronchi

giovedì 29 novembre 2012

che l’impossibile diventi possibile

La speranza è la fede che l’impossibile diventi possibile. 
Dicono i rabbini che il Mar Rosso si aprì davanti al popolo che fuggiva dall’Egitto quando il primo ebreo vi mise dentro il piede, non già che videro il mare asciutto quindi vi avanzarono dentro ma mescolando fede e speranza, speranza e incoscienza misero il piede nell’acqua e in quel momento preciso l’acqua si aprì davanti a loro, davanti alla loro speranza. Se non ci aspettiamo l’impossibile non lo raggiungeremo mai. 
La speranza è la fede nella possibilità dell’impossibile.
 (Ermes Ronchi)

martedì 20 novembre 2012

Tu non sei i tuoi pensieri


"Come un girasole" di Ermes Ronchi.
“Pregare non equivale a dire preghiere, con maggiore o minore attenzione. Forse, quando sei distratto, i tuoi pensieri non stanno pregando, e tuttavia tu preghi: pregano il tuo corpo e il tuo tempo. Prega la vita quando, per quel tempo, vuoi non anteporre nulla a Dio. E stai lì, alla presenza della Presenza. Quando, sia pure per un breve tempo, vuoi che niente sia più importante di Dio. Questa decisione del cuore che cos’é se non una dichiarazione d’amore?
Pregare: niente prima di Dio. Nonostante tutte le distrazioni. Allora spezzi il tuo tempo davanti a lui, fermi l’orologio, fai dono al Signore non tanto delle parole, ma di un frammento della tua vita, gli doni il tuo desiderio, sotto i tuoi mille pensieri, sempre al lavoro, come api in un alveare di fatica e di miele.
Tu non sei i tuoi pensieri: c’è un io più profondo dei pensieri e delle distrazioni, più profondo delle emozioni e della volontà, qualcosa che tutte le religioni hanno sempre sempre chiamato “cuore”. 
Lì, in quell’io più profondo. che viene prima , che viene prima  di tutte le divisioni, lì è la porta di Dio, dove va e viene il Signore, lì nasce la preghiera semplice, la preghiera breve, dove non conta la durata, ma dove l’istante del cuore si apre sull’eterno e l’eterno si insinua nell’istante.” 

domenica 17 giugno 2012

spiega l'infinito attraverso il minuscolo seme di senape

Nel cuore di tutti il seme di Dio
Domenica 17 giugno 2012, 11ª domenica del Tempo ordinario. Letture: Ez 17,22-24; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34. 



In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce [...].». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» [...].


Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno. Gesù parla delle cose più grandi con una semplicità disarmante. Non fa ragionamenti, apre il libro della vita; racconta Dio con la freschezza di un germoglio di grano, spiega l'infinito attraverso il minuscolo seme di senape. Perché la vita delle creature più semplici risponde alle stesse leggi della nostra vita spirituale, perché Vangelo e vita camminano nella stessa direzione, che è il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Accade nel regno di Dio come quando un uomo semina. Dio è il seminatore infaticato della nostra terra, continuamente immette in noi e nel cosmo le sue energie in forme germinali: il nostro compito è portarle a maturazione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i suoi germi vitali. Nessuno ne è privo, nessuno è vuoto, perché la mano di Dio continua a creare.

La prima parabola sottolinea un miracolo di cui non ci stupiamo più
alla sera vedi un bocciolo, 
il giorno dopo si è aperto un fiore. 
Senza alcun intervento esterno.
 Ecco: 
Che tu dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. 
Com'è pacificante questo! 
Le cose di Dio fioriscono per una misteriosa forza interna, per la straordinaria energia segreta che hanno le cose buone, vere e belle. 
In tutte le persone, nel mondo e nel cuore, nonostante i nostri dubbi, Dio matura. E nessuno può sapere di quanta esposizione al sole, al sole della vita, abbia bisogno il buon grano di Dio per maturare: nelle persone, nei figli, nei giovani, in coloro che mi appaiono distratti, che a volte giudico vuoti o senza germogli.

La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albero che ne nascerà. 
Senza voli retorici:
il granello non salverà il mondo. 
Noi non salveremo il mondo. Ma, assicura Gesù, un altro è il nostro compito: gli uccelli verranno e vi faranno il nido. 
All'ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo e conforto. Guardi un piccolo seme accolto nel cavo della mano, lo diresti un grumo di materia inerte. Ma nella sua realtà nascosta quel granello è un piccolo vulcano di vita, pronto a esplodere, se appena il sole e l'acqua e la terra...
Il seme ci convoca ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio. Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti, contadini del Regno dei cieli, seminiamo buon grano: semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia. Lo facciamo scommettendo sulla forza della prima luce dell'alba, che appare minoritaria eppure è vincente. Qui è tutta la nostra fiducia: Dio stesso è all'opera in seno alla terra, in alto silenzio e con piccole cose.

mercoledì 9 marzo 2011

Svincolarsi dalle catene del rumore


Pregare è saldare il silenzio delle stelle
con il frastuono dei giorni.
Svincolarsi dalle catene del rumore
e scoprire le nostre musiche sotterranee.
Pregare è aprire un passaggio,
come si apre una chiusa o una diga;
aprire, nella trama dei giorni,
delle finestre su Dio,
fino a rendere la nostra vita porosa
alla vita di Dio,
fino a creare una osmosi,
uno scambio, un travaso di vita.
Pregare è indovinare la presenza
dell'eterno Assente,
e sapersene meravigliare,
e saperla respirare.

Ermes Ronchi

mercoledì 19 gennaio 2011

non basta più dire che Dio è vero e buono, occorre mostrare anche che Dio è bello

Acquisire fede che cos'è? E' acquisire bellezza del vivere: scoprire che è bello vivere, è bello amare, creare, generare, mettere la vita nelle mani di chi mette la sua vita nelle tue. E' bello appartenere a Cristo e al Vangelo, perché tutto ha un senso positivo, tutto va verso la vita e non verso la morte, verso un esito luminoso qui e nell'eterno. Verso una vita buona, bella e beata.
Acquisire vocazione è acquisire bellezza del vivere e reincantare la vita, recuperando la centralità e la rilevanza del trascendente e del bello. I credenti sono chiamati a dare incanto nuovo all'esistenza, sulle orme di «Cristo incantatore» (sant'Ambrogio).
La bellezza apre al mistero e guida alla decisione morale di accettare il mistero. Anche il bene, per attrarre, per mantenere la sua forza di attrazione, deve essere bello. Perché devo compiere il bene e fuggire il male? Perché devo? Perché il cuore mi dice che agendo così trovo la felicità. Il perché è legato, dipende da un «sentire». Il perché è estetico.
Di questi tempi non basta più ricordare l'alterità di Dio, la sua diversità, o l'umiltà o la debolezza di Dio. Dobbiamo riscoprire la bellezza di Dio, proporre un Dio in forma attraente: che avvinca, leghi, muova, incanti.
Davanti all'indifferenza che ci circonda, non basta più dire che Dio è vero e buono, occorre mostrare anche che Dio è bello. La forza che attrae l'uomo contemporaneo non è più quella della costrizione logica della verità, non è più quella della costrizione etica del bene, ma è quella dello splendore del vero e del buono, cioè della loro bellezza.


Ermes Ronchi, Tu sei bellezza, 68-69

domenica 27 giugno 2010

La cosa da fare prima

Amare Gesù in nuda povertà
padre Ermes Ronchi
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/06/2010)
Vangelo: Lc 9,51-62   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 9,51-62)
Tre brevi dialoghi su come seguire Gesù. Il pri­mo personaggio che entra in scena è un ge­neroso e dice: Ti seguirò, dovunque tu vada!
Gesù deve avere gioito per lo slancio, deve aver ap­prezzato l'entusiasmo giovane di quest'uomo. Ep­pure risponde: Pensaci. Neanche un nido, neanche una tana, solo strada, ancora strada. Non un posto dove posare il capo, se non in Dio, quotidianamen­te dipendente dal cielo.
Così è Gesù: nudo amore che deve essere amato in nuda povertà. Eppure seguirlo è scoprire una ric­chezza che mai avrei immaginato; è diventare ric­chi, non di cose, di luoghi o nidi, ma di incontri, di opportunità, di luce. Gesù non ha una casa, ma ne trova cento sul suo cammino, colme di volti amici. Le parole di Gesù sono sempre, anche quelle dure, una risposta al nostro bisogno di felicità.
Il secondo riceve un invito diretto: Seguimi! E que­sti risponde: sì. Solo permettimi di andare prima a seppellire mio padre. La richiesta più legittima che si possa pensare, dovere di figlio, compito di uma­nità. Gesù replica con parole tra le più dure del van­gelo:
Lascia che i morti seppelliscano i morti!
Parole che dicono: è possibile essere dei morti den­tro, vivere una vita spenta, una religiosità oscura, te­nebrosa, intrisa di paure. Parole dure che sottin­tendono però: segui me, io ti darò il segreto della vi­ta autentica! Il Vangelo è sempre un inno alla vita, scoperta di bellezza, incremento di umanità.
Infine il terzo dialogo: Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che mi congedi da quelli di casa. Una richie­sta delicata e naturale. È così duro il cammino sen­za amici e senza affetti! Tutto si gioca attorno a una parola-simbolo: «prima». La cosa da fare prima, in­dica la priorità del cuore, quello che sta in cima ai tuoi pensieri, il tuo Dio o il tuo idolo. La risposta di Gesù: Non voltarti indietro, non guardare a ciò che ti mancherà, ma a ciò che ti viene donato. Non guar­dare alle difficoltà, ma all'orizzonte che si apre. Non alla nostalgia, ma alla strada e ai grandi campi del mondo. La fede spalanca orizzonti più grandi.
Chi si volta indietro non è adatto al Regno. Ma allo­ra chi è adatto? Chi non si è mai voltato indietro? Non Pietro, non Giacomo e gli altri. Non ce l'han­no fatta i Dodici, come posso pensare di farcela io? Ma Gesù non cerca eroi incrollabili per il suo regno, ma uomini e donne autentici che sappiano sce­glierlo ogni giorno di nuovo, che sappiano rispon­dere «sì», ogni volta, come Pietro, all'unica doman­da: mi vuoi bene?