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lunedì 16 luglio 2012

a volte più vicino


Lettera a May Ziadeh di Kahlil Gibran
New York, 11 giugno 1919
Un amico lontano
è a volte più vicino
di qualcuno a portata di mano.
E' vero o no
che la montagna ispira più reverenza
e appare più chiara al viandante della valle
che non all'abitante delle sue pendici ? 

venerdì 13 luglio 2012

elogiati più del dovuto


La lode eccessiva fa soffrire.
Essere elogiati più del dovuto
ferisce immensamente.
Se offri argento,
è doloroso sentirselo chiamare ottone o oro;
tutto ciò che desideri è che la gente dica:
"Sì, è proprio argento"...,
poiché tale è.
Questo elogio è fondato.
Ma che lo chiamino oro
ti fa solo sentire
quanto disperatamente lontano tu sia
dal fabbricare oro.
 ( New York, 1 giugno 1924)Kahlil Gibran

giovedì 17 maggio 2012

dobbiamo distruggerla

La colpa non esiste
se non nella misura
in cui noi stessi l'abbiamo creata.
Siamo noi, perciò, che dobbiamo distruggerla.
Se scegliamo di fare il male,
il male esiste
finché noi stessi non lo distruggiamo.
Il bene non possiamo farlo,
perché è il respiro stesso dell'universo:
ma possiamo scegliere
di respirare e vivere in esso
e con esso

Kahlil Gibran

martedì 27 marzo 2012

onorami con il dolore


PREGHIERA
“Dammi il supremo coraggio dell’amore,
questa è la mia preghiera,
coraggio di parlare,
di agire, di soffrire,
di lasciare tutte le cose,
o di essere lasciato solo.
Temperami con incarichi rischiosi,
onorami con il dolore,
e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.
Dammi la suprema certezza nell’amore,
e dell’amore,
questa è la mia preghiera,
la certezza che appartiene alla vita nella morte,
alla vittoria nella sconfitta,
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza,
a quella dignità nel dolore,
che accetta l’offesa,
ma disdegna di ripagarla con l’offesa.
Dammi la forza di Amare sempre
e ad ogni costo.”
K. Gibran

giovedì 15 dicembre 2011

È quando date voi stessi che date veramente.


Allora un uomo ricco disse: Parlaci del Dare.
E lui rispose:
Date poca cosa se date le vostre ricchezze.
È quando date voi stessi che date veramente.
Che cosa sono le vostre ricchezze se non ciò che custodite e nascondete nel timore del domani?
E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo previdente che sotterra l’osso nella sabbia senza traccia, mentre segue i pellegrini alla città santa?
E cos’è la paura del bisogno se non bisogno esso stesso? Non è forse sete insaziabile il terrore della sete quando il pozzo è colmo?
Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento, e questo segreto desiderio contamina il loro dono.
E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno.
Essi hanno la fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota.
Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa.
Vi sono quelli che danno con rimpianto, e questo rimpianto è il loro sacramento.
E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito.
Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell’aria la sua fragranza.
Attraverso le loro mani Dio parla e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
È bene dare quando ci chiedono, ma è meglio comprendere e dare quando niente ci viene chiesto. Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare.
E quale ricchezza vorreste serbare?
Tutto quanto possedete un giorno sarà dato.
Perciò date adesso, affinché la stagione dei doni posa essere vostra e non de vostri eredi.
Spesso dite: <<Vorrei dare, ma solo ai meritevoli!>>.
Le piante del vostro frutteto non si esprimono così, né le greggi del vostro pascolo.
Esse danno per vivere, perché serbare è perire.
Chi è degno di ricevere i giorni e le notti, è certo degno di ricevere ogni cosa da voi.
Chi merita di bere all’oceano della vita, può riempire la sua coppa al vostro piccolo ruscello.
E quale merito sarà grande quanto la fiducia, il coraggio, anzi la carità che sta nel ricevere?
E chi siete voi perché gli uomini i mostrino il cuore, e tolgano il velo al proprio orgoglio così che possiate vedere il loro nudo valore e la loro imperturbata fierezza?
Siate prima voi stessi degni di essere colui che dà e allo stesso tempo uno strumento del dare.
Poiché in verità è la vita che dà alla vita, mentre voi che vi stimate donatori non siete che testimoni.
E voi che ricevete – e tutti ricevete – non permettete che il peso della gratitudine imponga un giogo a voi e a chi vi ha dato.
Piuttosto i suoi doni siano le ali su cui volerete insieme.
Poiché preoccuparsi troppo del debito è dubitare della sua generosità che ha come madre la terra feconda, e Dio come padre.
(Tratto da "Il Profeta" di Kahlil Gibran)

sabato 16 luglio 2011

la peggiore delle debolezze umane


Occasioni
(Kahlil Gibran, La voce del maestro)
Non rinunciare alla speranza, non abbandonarti alla disperazione per ciò che è stato:piangere l'irrecuperabile è la peggiore delle debolezze umane.
Non essere come coluiche siede a lato del fuoco, guarda la fiamma estinguersi, poi soffia sulle ceneri.
Chi cerca di afferrare un'opportunità quand'è passata è come chi la vede avvicinarsi ma non le va incontro.

giovedì 30 giugno 2011

mi sono stancato di rendere omaggio alle moltitudini che credono che l'umiltà sia una sorta di debolezza

Ho cercato la solitudine per nascondermi dagli individui compiaciuti di sé che, nei loro sogni, vedono lo spettro della conoscenza e credono di aver raggiunto lo scopo. Ho cercato la solit...udine perché mi sono stancato di rendere omaggio alle moltitudini che credono che l'umiltà sia una sorta di debolezza, e la compassione una specie di viltà. Ho cercato la solitudine perché la mia anima non ne può più di avere rapporti con chi crede sinceramente che il sole, la luna e le stelle non sorgano se non nei loro scrigni e non tramontino se non nei loro giardini.. Ho cercato la solitudine perché in essa lo spirito, il cuore e il corpo possono trovare pienezza di vita. Ho trovato le praterie sconfinate dove riposa la luce del sole, dove i fiori esalano il loro profumo nello spazio e dove i ruscelli cantano durante il loro corso verso il mare. Ho scoperto le montagne su cui ha trovato il fresco risveglio la primavera, la brama piena di colore dell'estate, i profondi canti dell'autunno e lo stupendo mistero dell'inverno.

Kahlil Gibran, I SEGRETI DEL CUORE, Newton, 1982

mercoledì 23 febbraio 2011

so che primavera sta arrivando

Mi sento come un campo seminato
nel cuore dell'inverno, e so
che primavera sta arrivando.

I miei ruscelli prenderanno a scorrere
e la piccola vita che dorme in me
salirà in superficie al primo richiamo.

(Khalil Gibran, Il profeta)

giovedì 7 ottobre 2010

MADDALENA Miriam di Mijdel

Fu nel mese di giugno che lo vidi per la prima volta. Camminava nel campo di grano quando passai con le ancelle, ed era solo.
Il ritmo del suo passo era diverso da quello di ogni altro uomo, e non somigliava, il suo incedere, a nulla che avessi mai visto.
Non è in quel modo che gli uomini misurano con i passi la terra. E ancora oggi non saprei dire se avanzasse rapido o lento.
Le ancelle lo additarono e presero a bisbigliare timidamente tra loro. Fermai un istante i miei passi, e sollevai la mano in segno di saluto. Ma lui non si voltò, lui non mi rivolse lo sguardo. Lo odiai. Respinta in me stessa, così mi sentii, e fredda come se intorno a me infuriasse una tempesta di neve. Ero scossa da brividi.
Quella notte lo vidi in sogno, mi dissero, dopo, che gridavo nel sonno e mi agitavo senza pace nel letto.
Era il mese di agosto quando lo rividi. Stava seduto all'ombra del cipresso, là nel giardino. Immobile, quasi fosse scolpito nella pietra come le statue di Antiochia e delle altre città del Settentrione.
Il mio schiavo, l'egizio, venne da me e disse: "Quell'uomo è venuto di nuovo. E' là, nel tuo giardino".
Guardai, e fremette l'anima mia, perché lui era bello.
Il suo corpo era saldo e le sue membra sembravano amarsi
Indossai allora abiti di Damasco e lasciai la casa per andare da lui.
Fu la mia solitudine, o la sua fragranza, che mi vinse? Fu una fame dei miei occhi anelanti bellezza? O fu la sua bellezza a cercare la luce dei miei occhi?
Ancor oggi, non saprei dirlo.
Mossi verso di lui con i miei abiti profumati, e calzavo sandali dorati sandali che mi aveva donato il comandante romano, questi sandali che vedi. E quando l'ebbi di fronte gli dissi:
"Buongiorno a te".
E lui disse: "Buongiorno a te, Miriam".
E mi guardò, e i suoi occhi notturni mi videro come nessun uomo mi aveva mai vista. D'improvviso fui come nuda, e ne ebbi vergogna.
Eppure mi aveva solo detto: "Buongiorno a te".
Gli dissi allora: "Non vuoi entrare nella mia casa?".
E disse lui: "Non sono già nella tua casa?".
Allora non capii cosa intendesse: oggi lo so.
E io dissi: "Non vuoi dividere il pane e il vino con me?".
E lui disse: "Sì, Miriam, ma non ora".
Non ora, non ora disse lui. E la voce del mare era nelle sue parole, e la voce del vento e degli alberi. E quando le pronunciò, la vita parlò alla morte.
Perché, amico mio, io ero morta, sappilo. Ero una donna che aveva divorziato dall'anima. Vivevo separata da questo essere che ora vedi. Appartenevo a tutti gli uomini e a nessuno. Prostituta mi chiamavano, e donna posseduta da sette demoni. Ero maledetta, ed ero invidiata.
Ma quando i suoi occhi d'aurora guardarono i miei occhi, tutte le stelle della mia notte si dileguarono, e io divenni Miriam, solo Miriam, una donna ormai perduta alla terra che aveva conosciuto, e che si era ritrovata in un mondo diverso.
E ancora e nuovamente gli dissi: "Vieni nella mia casa e dividi pane e vino con me".
E lui: "Perché mi inviti ad essere tuo ospite?".
E io: "Ti prego, vieni nella mia casa". Tutto quello che in me era zolla, tutto quello che in me era cielo, lo chiamava a gran voce.
Lui allora mi guardò, e il meriggio dei suoi occhi era su di me, e disse: "Tu hai molti amanti, ma io solo ti amo.
Gli altri quando ti sono vicini, amano se stessi: io amo te in te stessa. Altri uomini vedono in te una bellezza che appassirà prima ancora dei loro anni. Ma io vedo in te una bellezza che non appassirà mai, e nell'autunno dei tuoi giorni questa bellezza non avrà paura di specchiarsi, e non conoscerà oltraggio.
Solo io amo in te l'invisibile".
Poi disse a bassa voce: "Va' ora. Se questo cipresso è tuo e non vuoi che sieda alla sua ombra, andrò per la mia strada".
E io gridai a lui e gli dissi: "Maestro, vieni nella mia casa. Ho per te incenso da bruciare, e una bacinella d'argento per i tuoi piedi. Tu sei un estraneo, ma non sei un estraneo. Ti supplico, vieni nella mia casa".
Allora si alzò e mi guardò proprio come immagino che le stagioni dall'alto guardino verso il
campo: sorrise. E ancora disse: "Tutti gli uomini ti amano per loro stessi. E' per te che io ti amo". Poi se ne andò.
Nessun altro uomo camminò mai come lui camminava. Era un soffio nato nel mio giardino,
che alitava verso oriente? O una tempesta, che avrebbe squassato fin dalle fondamenta tutte le cose?
Non lo sapevo, allora, ma quel giorno il tramonto dei suoi occhi uccise in me il drago, e divenni una donna, io divenni Miriam, Miriam di Mijdel.
Kahlil Gibran