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martedì 20 agosto 2013

Due volte il miracolo si era avverato: Ismaele, il figlio del pianto e Isacco, la creatura del riso.


Trascrivo questo testo citato dal Card. Ravasi in un commento alla genesi. Turoldo sa dire la sua fede ed aiuta noi ad approfondirla.

SIGNORE MIO, AMATO E CRUDELE*

                                               Prese dunque la legna per l'olocausto
                                               e ne caricò Isacco suo figlio; egli in-
                                               vece portava in mano il fuoco e il col-
                                               tello... E disse Isacco: «Ecco il fuoco
                                               e la legna, ma la vittima dov'è?». Ri-
                                               spose Abramo: «Figlio mio, Iddio si
                                              preparerà da sé la vittima per l'olocau-
                                              sto». Così andavano insieme.
                                                                                       (Gen 22, 6.8)

Una quercia fulminata era il Vegliardo.
Volavano sulla fronte nubi
come a una vetta alta a nuda.
Ma legato il basto al giumento
tagliò con lucida calma la legna.
Indi, la mano del fanciullo
perduta nella sua grande mano,
prese l'ombra di lui
a ondeggiare sull'altipiano.
Una luce prealbare e lontana li seguiva,
una luce radente il deserto
bianca, di lama. Nella notte
aveva turbinato come vento
su tutto il gregge e le tende
la nuvola divina.

O Vecchio, com'era il volto del Dio?
forse un lenzuolo di sangue?
o una roccia nera, un cratere in fiamme?

Avevi cento anni atteso
che fiorisse la carne. Ed ora due volte
il fuoco divampò dalla polverosa tenda:
con la tua schiava e con la donna amata
che figli non concepiva
incredula nel sangue suo.
Due volte il miracolo si era avverato:
Ismaele, il figlio del pianto
e Isacco, la creatura del riso.

Ma ora il figlio e la madre del pianto
sono cacciati di casa.
Il deserto è ancora un solo vagito di figli
un solo ululato di madri
supine alle dune e senza più fonti
all'arsura della loro millenaria morte.

E ora la creatura del riso ti segue,
fanciullo dietro il passo di favoloso bandito.
Egli porta la legna del rogo
che deve incendiare la montagna;
egli pensa alla cattura del bufalo
dalle potenti corna dorate e ride;
egli è impaziente di giungere
all'immensa pietra.

E tu camminavi muto e crudele:
quale maschera copriva
i tuoi occhi violenti e le mani folli
e l'abisso del cuore ove eri franato
valanga di sassi?

Il silenzio dell'ultimo giorno era divino.
Indietro ormai sostava pacifico il giumento,
lontani erano i servi, lontana
sua madre, le tende, i greggi,
punti neri in sconfinato deserto.

Dolce s'inarcava il giorno sulla valle dell'Innon
il Cedron ancora selvaggio rideva sotto il volo dei corvi.
In alto una pietra nuda, di teschio
e il cielo un abisso di luce.

Come ti parlò la impetuosa Voce, la nera
Voce nella notte nera, discorde e assurda
Voce che donava e rapiva
e ti beveva dentro il cuore, la Voce
che ti frantumava una a una le ossa?

«Abraham, Abraham!» e tu rispondi: eccomi.
La tua risposta ubriaca i cieli.

«Abraham vide il mio giorno e gioì:
se pur voi foste figli di Abraham...»

Così nella chiesa bianca della mia infanzia
era ritratto l'evento. Un capro
d'improvviso usciva dallo sterpeto
e una mano alla fine dolcissima fermava
la lucida lama prossima alla carne pura.

Sulla stessa montagna
mi condusse fanciullo mio padre...
O Signore mio, amato e crudele!

       * Crudele all'apparenza come ci è rivelato nella Bibbia,
chiede all'uomo gesti che gli sono incomprensibili
fino a un nuovo divino intervento.
È inoltre proprio dell'amore esprimersi
paradossalmente nei confronti dell'amato.

              (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988” – pag. 315)

mercoledì 5 giugno 2013

Varcare la soglia di una chiesa dovrebbe essere come uscire dal tempo e immergersi nell'eterno

Ascoltare in silenzio, 
meditare in silenzio; 
e allargare il cuore sul mondo, 
in silenzio; 
e sentirsi in comunione con tutti i poveri della terra, 
con tutte le vittime che cadono sotto i colpi dell'ingiustizia e del male: 
tutte le vittime uccise ogni giorno 
dal potere sempre impaurito e scontento. 
In silenzio. 
E dire a voce alta solo le preghiere stabilite, 
ma dirle con la voce di tutti i giusti del mondo; 
e cantare ciò che si deve cantare; 
cantare con i santi, con i fanciulli, con gli angeli, 
con tutta la Chiesa pellegrina e beata: 
perché è così, è solo così che si devono celebrare i misteri di Dio e dell’uomo. 
E cessiamo di fare chiasso, 
di disturbare lo Spirito Santo; 
cessiamo di sciupare e di rovinare la grazia, 
il tempo in cui Dio tenta di salvarci e di salvare il mondo. 
Cessiamo di avere fretta e di fare il verso dei burattini dagli altari. 
Chi ha fretta non ci venga: 
non vada in chiesa! 
Perché chi non ha tempo per Iddio, 
non ha tempo neppure per l'uomo. 
Varcare la soglia di una chiesa dovrebbe essere 
come uscire dal tempo e immergersi nell'eterno: 
ma non per evadere, e fuggire, e alienarsi, 
ma per caricarsi di Dio, 
appunto della sua parola, 
per poi ritornare e magari esplodere. 
E ruminare dentro il cuore ogni evento, 
tutto questo rutilare di misteri, 
che poi sono i misteri che intrecciano tutta la nostra esistenza. 
Ruminarli nel silenzio: 
pregare la parola, 
mangiare la parola. 
Come faceva la Vergine 
che “serbava ogni cosa nel suo cuore”. 
Ed è lei appunto l’immagine della Chiesa, 
di come dev’essere e di ciò che deve fare la Chiesa; 
cioè come accogliere la parola e comprenderla. 
Perché solo così può sperare di comporre il suo magnificat, 
di arrivare a cantare l’alleluia della vita nuova. 
Così facciamo almeno per la settimana santa. 
(David Maria Turoldo, Omelia per la Domenica delle Palme).

mercoledì 24 aprile 2013

gli uomini apprenderanno ancor più dal silenzio

Papa, amore ci ridoni al silenzio.
Dio è silenzio: muriamo
di pietra le porte del tempio
della cella, del cuore.
Diremo poi
la sola parola
capace di spegnere l’incendio: dopo,
dopo i lunghi anni di silenzio
di amato, divino, salvatore
silenzio.
Papa, non sappiamo nulla
e ne sapremo ogni giorno di meno.
Nulla della vita, della morte
del tempo;
nulla
della fine e del principio.
Forse gli uomini apprenderanno
ancor più dal silenzio,
da una vita murata in silenzio,
offerta, consunta
dal fuoco nel deserto
dell’abbandono e della “Non-curanza”,
il fiore del deserto tra le aride pietre.
Papa, non dire di quanto un uomo è responsabile
e poi lo espropri della sua coscienza. Non dire
di come Dio è coinvolto:
di fronte a un bimbo deforme,
irrimediabilmente deforme,
legittima è la bestemmia.
Papa, non dire di queste cose troppo alte,
di cosa è il tempo e la storia,
e ogni apocalisse e la profezia.
Soli o insieme lo Spirito ci guidi
a ritrovare il metro delle cose.
Ritorni il contemplativo,
uomo della misura: lui solo!
E dopo anni di benedetto silenzio
ritorni a dirci, lui solo
cosa veramente importa. – Ma dopo!
(David Maria Turoldo, Papa, amore ci ridoni al silenzio).

venerdì 5 aprile 2013

Perché allora è una potenza, schiava come ogni potenza?


Io voglio sapere

se Cristo è mai stato creduto,

se l’evento è reale e presente,

se è venuto, e viene e verrà;

o sia appena un’invenzione

per un irreale giorno del Signore

di contro al cupo giorno dell’uomo.

Io voglio sapere

se veramente qualcuno crede

e come è possibile credere:

se almeno i fanciulli

– avanti ogni cultura –

vedono ancora la faccia del Padre.

Io voglio sapere

se l’uomo è una fiera

ancora alle soglie della foresta:

se la ragione è una rovina

se i fatti hanno una ragione

se la ragione è ancora utile.

Io voglio sapere

se ci sono ancora gli assoluti

o se io sono sacerdote

di colpevoli illusioni,

se è vero che saremo

finalmente liberi se saremo

ancora liberi se saremo mai liberi.

Io voglio sapere

se cantare è ancora possibile

se da ricchi canteremo ancora

se dipingere è ancora possibile

se la bellezza esisterà sempre,

se possibile sarà ancora contemplare.

Io voglio sapere

se la vita è solo meretricio

se il vostro vivere è appena una difesa

contro la vita degli altri:

se qualcuno, almeno qualcuno

crede che tutti gli uomini

sono una sola umanità.

Io voglio sapere

se l’uomo cresce

se c’è un altro avvenire

se la scienza non sia la morte

e la sua macchina non sia la nostra

bara di acciaio.

Io voglio sapere

se esiste una forza liberatrice:

se almeno la chiesa non sia

la tomba di Dio,

l’ultima sconfitta dell’uomo.

Io voglio sapere

se la pace è possibile

se giustizia è possibile

se l’idea è più forte della forza:

quest’uomo bianco,

il più feroce animale

sempre all’assalto

contro ogni altro uomo

o maledetta Europa.

Io voglio sapere

se Cristo ha ancora un senso

chi ha fede ancora in un futuro.

Io voglio sapere

se Cristo è veramente risorto

se la chiesa ha mai creduto

che sia veramente risorto.

Perché allora è una potenza,

schiava come ogni potenza?

Perché non batter le strade

come una follia di sole,

a dire: Cristo è risorto, è risorto?

Perché non si libera dalla ragione

non rinuncia alle ricchezze

per questa sola ricchezza di gioia?

Perché non dà fuoco alle cattedrali,

non abbraccia ogni uomo sulla strada

chiunque egli sia,

per dirgli solo: è risorto!

E piangere insieme,

piangere di gioia?

Perché non fa solo questo

dire che tutto il resto è vano?

Ma dirlo con la vita con mani candide

occhi di fanciulli.

Come l’angelo dal sepolcro vuoto

con la veste bianca di neve nel sole,

a dire: «Non cercate tra i morti

colui che vive!».

Mia chiesa amata e infedele,

mia amarezza di ogni domenica,

chiesa che vorrei impazzita di gioia

perché è veramente risorto.

E noi grondare luce

perché vive di noi:

noi questa sola umanità bianca

a ogni festa

in questo mondo del nulla e della morte. Amen.
David Maria Turoldo

sabato 8 settembre 2012

impossibile che sia il Nulla

Benedico il Signore
che la mente m’ispira:
per questo immane
soffrire dei giusti,
per questo gioire
tante volte insperato,
per questo sperare di glorie
ogni giorno:
impossibile che sia il Nulla
l’estremo traguardo:
impossibile sarà pensarti
come realmente tu sei,
o mio Signore:
sconosciuto Iddio sei tu
la nostra unica sorte.
 
(D. M. Turoldo)

venerdì 7 settembre 2012

Quanto inganna il pensarti lontano


Anche se in fondo ai mari
e nei più alti cieli si mormora di te
so che non hai altra casa,
sei il mio inevitabile ospite,
sconosciuto e muto
e ci accomuna la disperazione di amare.
Pure se santità significhi dimore inaccessibili
Qui è la tua casa,
pure se brama di te ci consuma
al solo pensare che tu possa apparire
moriamo,
non passato né futuro tu hai
ma in te ogni esistenza riassumi
e gli spazi stellari e lievi.
Quanto inganna il pensarti lontano,
spazio illusorio alla mia e tua autonomia,
Tu che non puoi che celarti qui nel presente,
non puoi che essere in urto
né puoi sfuggire alla sorte
della tua amata immagine.
(D. M. Turoldo)

giovedì 9 agosto 2012

una novità assoluta


Ogni uomo è una novità assoluta sulla terra,
nel mentre che è immerso nel fiume della vita.
Non c'è mai la stessa luce
che si posi sullo stesso fiore;
non c'è mai una primavera
uguale a un'altra primavera;
non c'è mai un atto d'amore
che non sia un nuovo atto d'amore,
e una comunione
che non sia una nuova comunione.
E ogni giorno è un giorno
mai vissuto da nessuno sulla terra.
E nessuno sa dire, neppure di sé stesso
che cosa penserà alla fine della giornata,
avanti che cali la sera.
E anche Dio, soprattutto Dio
è sempre nuovo.
                                                                                   
                                                            David Maria Turoldo

sabato 14 luglio 2012

ripetere la danza del mio Amore


E quando la notte fonda
ha già inghiottito uomini e case,
una cella mi accoglie
esule del mondo. Gli altri
nulla sanno di questa mia pace,
di questi appuntamenti.
Forse neppure io stesso
saprei rifare l'itinerario del giorno,
ripetere la danza del mio Amore.
Quasi nulla  avanza di me
la sera: poche ossa, poca carne
odorosa di stanchezze,
curvata sotto il peso
di paurose confidenze.
Allora Egli mi attende solo,
a volte seduto sulla sponda del letto,
a volte abbandonato sul parapetto
della grande finestra. E iniziamo
ogni notte il lungo colloquio.
Io divorato dagli uomini, da me stesso,
a sgranare ogni notte il rosario
della mia disperata leggenda.
Ed Egli a narrarmi ogni notte
la Sua infinita pazienza.
E poi all'indomani io, a correre
a dire il messaggio incredibile ed Egli fermo al margine delle strade
a vivere d'accattonaggio.
David Turoldo

lunedì 9 aprile 2012

reggere alla luce del sole

Ora invece la terra
si fa sempre più orrenda:
 
il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.
 
E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:
 
ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.
 
Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l’umile gente
abbia ancora chi l’ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
 
E non chiedere nulla.
 
(D. M. Turoldo)

lunedì 5 marzo 2012

la Chiesa non sia la tomba di Dio


Io voglio sapere
se Cristo è mai stato creduto,
se è venuto e viene e verrà;
o sia appena un'invenzione
per un irreale gioco del Signore
di contro al cupo
giorno dell'uomo.

Io voglio sapere
se veramente qualcuno crede
e come è possibile credere:
se almeno i fanciulli
-avanti ogni cultura-
vedono ancora il Padre.

Io voglio sapere
se l'uomo è una fiera
ancora sulle soglie della foresta:
se la ragione è una rovina.

Io voglio sapere
se il nostro vivere è appena una difesa
contro la vita degli altri:
questo uomo bianco
il più feroce animale
sempre all'assalto
contro ogni altro uomo,
o maledetto occidente.

Io voglio sapere
se ci sono ancora gli assoluti,
o se io sono sacerdote
di colpevoli illusioni;
se è vero che saremo
finalmente liberi
se saremo ancora liberi
se saremo mai liberi.

io voglio sapere
qual è il potere di resistere,
se sopravvivrà ancora l'amore,
se pure è mai esistito.

Io voglio sapere
se resisterà ancora Cristo,
perché, se no, mi ammazzo.

Io voglio sapere
se l'uomo cresce
e quale sarà l'intelligenza
d'un abitante della metropoli:
se la scienza non sia la morte
e questa macchina
non sia la nostra bara d'acciaio. 

Io voglio sapere
se esiste una forza salvatrice
e se nasce a Natale;
che almeno la Chiesa non sia
la tomba di Dio,
l'ultima sconfitta dell'uomo.

Io voglio sapere
se la pace è possibile
se la giustizia è possibile
se lo spirito è più forte della forza.

Io voglio sapere
se qualcuno ha fede ancora
in un futuro.

Io voglio sapere
se Cristo è veramente risorto,
se la Chiesa ha mai creduto
che sia veramente risorto.

Io voglio sapere
perché allora è una potenza,
e perché non va per le strade
come una follia di sole
a dire: Cristo è nato! Cristo è risorto!
E perché non rinuncia alle ricchezze
per questa sola ricchezza di gioia.
Perché?

Mia chiesa amata e infedele,
mia amarezza di ogni domenica,
chiesa che vorrei impazzita di gioia.
Perché?

Io voglio sapere.
Davi Maria Turoldo

venerdì 2 marzo 2012

una pena / di non sentire mai / dolcezza alcuna / che non sia di tutti...

dal 1950 ogni domenica sulla terza pagina de L'Eco di Bergamo. In realtà, il primo contributo di Turoldo al giornale arrivò il 22 settembre del 1947. Era una poesia: 
«Senti che è di troppo / 
il sapore di una pesca / 
in questa povertà / 
di case diroccate / 
senti che non ti è lecito / 
provare questo dolciore / 
d'anima emigrata / 
dalle strade della tua umanità / 
Sposata hai / 
una pena / 
di non sentire mai / 
dolcezza alcuna / 
che non sia di tutti...».

martedì 27 settembre 2011

Nel giorno del mio intervento

Mio prefazio a Pasqua di David Maria Turoldo
Io voglio sapere
se Cristo è mai stato creduto,
se l’evento è reale e presente,
se è venuto, e viene e verrà;
o sia appena un’invenzione
per un irreale giorno del Signore
di contro al cupo giorno dell’uomo.
Io voglio sapere
se veramente qualcuno crede
e come è possibile credere:
se almeno i fanciulli
– avanti ogni cultura –
vedono ancora la faccia del Padre.
Io voglio sapere
se l’uomo è una fiera
ancora alle soglie della foresta:
se la ragione è una rovina
se i fatti hanno una ragione
se la ragione è ancora utile.
Io voglio sapere
se ci sono ancora gli assoluti
o se io sono sacerdote
di colpevoli illusioni,
se è vero che saremo
finalmente liberi se saremo
ancora liberi se saremo mai liberi.
Io voglio sapere
se cantare è ancora possibile
se da ricchi canteremo ancora
se dipingere è ancora possibile
se la bellezza esisterà sempre,
se possibile sarà ancora contemplare.
Io voglio sapere
se la vita è solo meretricio
se il vostro vivere è appena una difesa
contro la vita degli altri:
se qualcuno, almeno qualcuno
crede che tutti gli uomini
sono una sola umanità.
Io voglio sapere
se l’uomo cresce
se c’è un altro avvenire
se la scienza non sia la morte
e la sua macchina non sia la nostra
bara di acciaio.
Io voglio sapere
se esiste una forza liberatrice:
se almeno la chiesa non sia
la tomba di Dio,
l’ultima sconfitta dell’uomo.
Io voglio sapere
se la pace è possibile
se giustizia è possibile
se l’idea è più forte della forza:
quest’uomo bianco,
il più feroce animale
sempre all’assalto
contro ogni altro uomo
o maledetta Europa.
Io voglio sapere
se Cristo ha ancora un senso
chi ha fede ancora in un futuro.
Io voglio sapere
se Cristo è veramente risorto
se la chiesa ha mai creduto
che sia veramente risorto.
Perché allora è una potenza,
schiava come ogni potenza?
Perché non batter le strade
come una follia di sole,
a dire: Cristo è risorto, è risorto?
Perché non si libera dalla ragione
non rinuncia alle ricchezze
per questa sola ricchezza di gioia?
Perché non dà fuoco alle cattedrali,
non abbraccia ogni uomo sulla strada
chiunque egli sia,
per dirgli solo: è risorto!
E piangere insieme,
piangere di gioia?
Perché non fa solo questo
dire che tutto il resto è vano?
Ma dirlo con la vita con mani candide
occhi di fanciulli.
Come l’angelo dal sepolcro vuoto
con la veste bianca di neve nel sole,
a dire: «Non cercate tra i morti
colui che vive!».
Mia chiesa amata e infedele,
mia amarezza di ogni domenica,
chiesa che vorrei impazzita di gioia
perché è veramente risorto.
E noi grondare luce
perché vive di noi:
noi questa sola umanità bianca
a ogni festa
in questo mondo del nulla e della morte. Amen.
Fonte:LA DIFESA DEL POPOLO (settim. dioces. di Padova) di domenica 19 aprile 2009

martedì 16 agosto 2011

né vale che tu grida "fratelli" dall'altare


Perchè nessuno saluta


Perché nessuno saluta?
Sulla stessa via
tutti stranieri.

Una minuta pioggia ti isola,
appena qualche uccello dalle piante
sospira al tuo rumore.

Una pecora sola,
sul clivo di Rancio
bela al tuo passaggio:

gemito più che umano,
a segnare
la solitudine di tutti.

Siamo soli,
soli, amico, né vale che tu grida
"fratelli" dall'altare,
o che tutti s'affollino
allo stesso ciborio.

Nessuno, nessuno saluta
in questi termitai
che sono le nostre città.

Tutti murati in selve di condomini
più soli di quanto
lo siamo nei deserti

dove pare non abiti più
neppure Iddio.

venerdì 1 luglio 2011

nessuna chiesa t'incatena


Non rubatemi-
(David Maria Turoldo)



Per favore, non rubatemi la mia serenità.
E la gioia che nessun tempio ti contiene, 
o nessuna chiesa t'incatena:


Cristo sparpagliato per tutta la terra,
Dio vestito di umanità:
Cristo sei nell'ultimo di tutti come nel più vero tabernacolo:
Cristo dei pubblicani,delle osterie dei postriboli,
il tuo nome è colui che-fiorisce-sotto-il-sole.

domenica 24 aprile 2011

donare una cosa al Signore

Io vorrei donare una cosa al Signore, 
ma non so che cosa. 
Andrò in giro per le strade 
zuffolando, così, 
fino a che gli altri dicano: è pazzo! 
E mi fermerò soprattutto coi bambini 
a giocare in periferia, 
e poi lascerò un fiore 
ad ogni finestra dei poveri 
e saluterò chiunque incontrerò per via 
inchinandomi fino a terra. 
E poi suonerò con le mie mani 
le campane sulla torre 
a più riprese 
finché non sarò esausto. 
E a chiunque venga 
- anche al ricco - dirò: 
siedi pure alla mia mensa, 
(anche il ricco è un povero uomo). 
E dirò a tutti: 
avete visto il Signore? 
Ma lo dirò in silenzio 
e solo con un sorriso. 


Io vorrei donare una cosa al Signore, 
ma non so che cosa. 
Tutto è suo dono 
eccetto il nostro peccato. 
Ecco, gli darò un'icona 
dove lui - bambino - guarda 
agli occhi di sua madre: 
così dimenticherà ogni cosa. 
Gli raccoglierò dal prato 
una goccia di rugiada 
- è già primavera 
ancora primavera 
una cosa insperata 
non meritata 
una cosa che non ha parole; 
e poi gli dirò d'indovinare 
se sia una lacrima 
o una perla di sole 
o una goccia di rugiada. 
E dirò alla gente: 
avete visto il Signore? 
Ma lo dirò in silenzio 
e solo con un sorriso. 


Io vorrei donare una cosa al Signore, 
ma non so che cosa. 
Non credo più neppure alle mie lacrime, 
e queste gioie sono tutte povere: 
metterò un garofano rosso sul balcone 
canterò una canzone 
tutta per lui solo. 
Andrò nel bosco questa notte 
e abbraccerò gli alberi 
e starò in ascolto dell'usignolo, 
quell'usignolo che canta sempre solo 
da mezzanotte all'alba. 
E poi andrò a lavarmi nel fiume 
e all'alba passerò sulle porte 
di tutti i miei fratelli 
e dirò a ogni casa: “pace!” 
e poi cospargerò la terra 
d'acqua benedetta in direzione 
dei quattro punti dell'universo, 
poi non lascerò mai morire 
la lampada dell'altare 
e ogni domenica mi vestirò di bianco. 


Io vorrei donare una cosa al Signore, 
ma non so che cosa. 
E non piangerò più 
non piangerò più inutilmente; 
dirò solo: avete visto il Signore? 
Ma lo dirò in silenzio 
e solo con un sorriso 
poi non dirò più niente.


(David Maria Turoldo)

lunedì 14 marzo 2011

il dono che più ci manca

«Per quanto saremo pazienti con te
mai lo saremo quanto tu lo sei con noi,
o Signore:
e allora torniamo come l'uomo dei campi
di un tempo
che seminava
e poi attendeva il giro delle stagioni,
l'avvicendarsi delle piogge e del sole:
così, attenderemo pur noi
i segni della tua venuta.
Signore, è la pazienza forse il dono
che più ci manca:
pazienza davanti ai tuoi silenzi,
pazienza enza per le tue assenze e i tuoi ritardi,
per le moltissime cose che non capiamo:
Signore, fa' che non perdiamo
anche la poca pazienza che resiste.
E anche tu non perdere la pazienza con noi..
tu sei un Dio che pena per l'uomo, come nessuno.
Tu hai detto: nella vostra pazienza
possederete le vostre vite:
sia così, Signore».

(David Maria Turoldo).