meditare in silenzio;
e allargare il cuore sul mondo,
in silenzio;
e sentirsi in comunione con tutti i poveri della terra,
con tutte le vittime che cadono sotto i colpi dell'ingiustizia e del male:
tutte le vittime uccise ogni giorno
dal potere sempre impaurito e scontento.
In silenzio.
E dire a voce alta solo le preghiere stabilite,
ma dirle con la voce di tutti i giusti del mondo;
e cantare ciò che si deve cantare;
cantare con i santi, con i fanciulli, con gli angeli,
con tutta la Chiesa pellegrina e beata:
perché è così, è solo così che si devono celebrare i misteri di Dio e dell’uomo.
E cessiamo di fare chiasso,
di disturbare lo Spirito Santo;
cessiamo di sciupare e di rovinare la grazia,
il tempo in cui Dio tenta di salvarci e di salvare il mondo.
Cessiamo di avere fretta e di fare il verso dei burattini dagli altari.
Chi ha fretta non ci venga:
non vada in chiesa!
Perché chi non ha tempo per Iddio,
non ha tempo neppure per l'uomo.
Varcare la soglia di una chiesa dovrebbe essere
come uscire dal tempo e immergersi nell'eterno:
ma non per evadere, e fuggire, e alienarsi,
ma per caricarsi di Dio,
appunto della sua parola,
per poi ritornare e magari esplodere.
E ruminare dentro il cuore ogni evento,
tutto questo rutilare di misteri,
che poi sono i misteri che intrecciano tutta la nostra esistenza.
Ruminarli nel silenzio:
pregare la parola,
mangiare la parola.
Come faceva la Vergine
che “serbava ogni cosa nel suo cuore”.
Ed è lei appunto l’immagine della Chiesa,
di come dev’essere e di ciò che deve fare la Chiesa;
cioè come accogliere la parola e comprenderla.
Perché solo così può sperare di comporre il suo magnificat,
di arrivare a cantare l’alleluia della vita nuova.
Così facciamo almeno per la settimana santa.
(David Maria Turoldo, Omelia per la Domenica delle Palme).
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