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venerdì 16 agosto 2013
per tutti un amico, che attende senza stancarsi,
"Se ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci tormentasse qualche altra calamità, ma ci fossero vicine delle persone buone che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono, che sapessero rivolgere parole di consolazione e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità." S. Agostino
Signore, aiutami ad essere per tutti un amico,
che attende senza stancarsi,
che accoglie con bontà
che dà con amore,
che ascolta senza fatica,
che ti ringrazia con gioia.
Un amico che
si è sempre certi di trovare
quando se ne ha bisogno.
Aiutami ad essere una presenza sicura,
a cui ci si può rivolgere
quando lo si desidera,
ad offrire un'amicizia riposante,
ad irradiare una pace gioiosa,
la tua pace, o Signore.
Fa' che sia disponibile e accogliente
soprattutto verso i più deboli e indifesi.
Così senza compiere opere straordinarie,
io potrò aiutare gli altri a sentirti più vicino.
Signore della tenerezza
Bruno Ferrero
venerdì 16 dicembre 2011
ti dia un po' di gioia
IL CERCHIO DELLA GIOIA
Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il frate portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d'uva.
"Frate portinaio" disse il contadino "sai a chi voglio regalare questo grappolo d'uva che è il più bello della mia vigna?".
"Forse all'Abate o a qualche frate del convento".
"No, a te!".
"A me?" Il frate portinaio arrossì tutto per la gioia. "Lo vuoi dare proprio a me?"
"Certo, perché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo. Voglio che questo grappolo d'uva ti dia un po' di gioia!".
La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d'uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina. Era veramente un grappolo stupendo. Ad un certo punto gli venne un'idea: "Perché non porto questo grappolo all'Abate per dare un po' di gioia anche a lui?".
Prese il grappolo e lo portò all'Abate.
L'Abate ne fu sinceramente felice. Ma si ricordò che c'era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò: "Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco". Così il grappolo d'uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato. Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate ai fornelli, e glielo mandò. Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po' di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro.
Finché, di frate in frate il grappolo d'uva tornò dal frate portinaio (per portargli un po' di gioia). Così fu chiuso il cerchio. Un cerchio di gioia.
(Bruno Ferrero, 40 storie nel deserto)
venerdì 9 dicembre 2011
hanno trasformato in specchi le loro finestre
Un po' d'argento
"Rabbì, che cosa pensi del denaro?" chiese un giovane al maestro.
"Guarda dalla finestra", disse il maestro," cosa vedi?".
"Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato".
"Bene. Adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi?".
"Che cosa vuoi che veda rabbì? Me stesso, naturalmente".
"Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d'argento sul vetro e l'uomo vede solo se stesso".
Siamo circondati da persone che hanno trasformato in specchi le loro finestre. Credono di guardare fuori e continuano a contemplare se stessi.
Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio. (Bruno Ferrero)
"Guarda dalla finestra", disse il maestro," cosa vedi?".
"Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato".
"Bene. Adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi?".
"Che cosa vuoi che veda rabbì? Me stesso, naturalmente".
"Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d'argento sul vetro e l'uomo vede solo se stesso".
Siamo circondati da persone che hanno trasformato in specchi le loro finestre. Credono di guardare fuori e continuano a contemplare se stessi.
Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio. (Bruno Ferrero)
sabato 3 dicembre 2011
Chi non prega?
Un contadino, durante un giorno di mercato, si fermò a mangiare in un affollato ristorante dove pranzava di solito anche il fior fiore della città. Il contadino trovò un posto in un tavolo a cui sedevano già altri avventori e fece la sua ordinazione al cameriere.
Quando l’ebbe fatta, congiunse le mani e recitò una preghiera. I suoi vicini lo osservarono con curiosità piena di ironia; un giovane gli chiese: “A casa vostra fate sempre così? Pregate veramente tutti?”.
Il contadino, che aveva incominciato tranquillamente a mangiare rispose: “No, anche da noi c’è qualcuno che non prega”.
Il giovane ghignò: “Ah, sì? Chi è che non prega?”. “Beh”, proseguì il contadino “per esempio le mie mucche, il mio asino e i miei maiali…”.
Bruno Ferrero
(da “Il canto del grillo – Piccole storie per l’anima”)
Mi ricordo che una volta, dopo aver camminato tutta la notte ci addormentammo all’alba vicino a un boschetto. Un derviscio che era nostro compagno di viaggio lanciò un grido e si inoltrò nel deserto senza riposarsi un solo istante.Quando fu giorno gli domandai: “Che ti è successo?”.
Rispose: “Vedevo gli usignoli che cominciavano a cinguettare sugli albrei, vedevo le pernici sui monti, le rane nell’acqua e gli animali nel bosco. Ho pensato allora che non era giusto che tutti fossero intenti a lodare il Signore, e che io solo dormissi senza pensare a Lui”.
Sa’di
(da “Il canto del grillo – Piccole storie per l’anima”
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domenica 27 novembre 2011
si è sempre certi di trovare
“... se noi acconsentiamo, Dio depone in noi un piccolo seme e se ne va. Da quel momento, a Dio non resta altro da fare, e a noi nemmeno, se non attendere"
(da "Attesa di Dio” si Simone Weil)
Dietro un 'immaginetta della Madonna, dimenticata in un santuarietto di montagna, ho trovato la "Preghiera dell 'accoglienza". Eccola:
Signore, aiutami ad essere per tutti un amico,
che attende senza stancarsi,
che accoglie con bontà,
che dà con amore,
che ascolta senza fatica,
che ringrazia con gioia,
Un amico che si è sempre certi di trovare
quando se ne ha bisogno.
Aiutami ad essere una presenza sicura,
a cui ci si può rivolgere
quando lo si desidera,
ad offrire un'amicizia riposante,
ad irradiare una pace gioiosa,
la tua pace, o Signore.
Fa' che sia disponibile e accogliente
soprattutto verso i più deboli e indifesi.
Così senza compiere opere straordinarie,
io potrò aiutare gli altri a sentirti più vicino,
Signore della tenerezza. (Bruno Ferrero, L'importante è la rosa)
venerdì 10 giugno 2011
Asseconda, pertanto, il nostro desiderio di prenderti per mano, (don tonino)
Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. Le persone contano, non le cose. Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l'organizzazione, l'efficienza materiale. Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso. Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incoraggiarsi, ridere, passeggiare...
Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio.
Noi e la nostra capacità d'amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo...
Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. "Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?".
"Prendimi la mano" rispose il bambino.
(Bruno Ferrero, A volte basta un raggio di sole)
domenica 8 maggio 2011
Questa qui te ne fa perdere di tempo, eh?
Il buon Dio aveva deciso di creare... la mamma.
Ci si arrabattava intorno già da sei giorni, quand'ecco comparire un angelo che gli fa: "Questa qui te ne fa perdere di tempo, eh?".
E Lui: "Sì, ma hai letto i requisiti dell'ordinazione?
Dev'essere completamente lavabile, ma non di plastica... avere 180 parti mobili tutte sostituibili... funzionare a caffè e avanzi del giorno prima... avere un bacio capace di guarire tutto, da una sbucciatura ad una delusione d'amore... e sei paia di mani".
L'angelo scosse la testa e ribatté incredulo: "Sei paia?!".
"Il difficile non sono le mani – disse il buon Dio –
ma le tre paia di occhi che una mamma deve avere".
"Così tanti?". Dio annuì. "Un paio per vedere attraverso le porte chiuse quando domanda "che state combinando lì dentro, bambini?", anche se lo sa già; un altro paio dietro la testa, per vedere quello che non dovrebbe vedere, ma che deve sapere; un altro paio ancora per dire tacitamente al figlio che si è messo in un guaio "capisco e ti voglio bene lo stesso".
"Signore – fece l'angelo sfiorandogli gentilmente un braccio – va' a dormire. Domani è un altro...". "Non posso – ripose il Signore – ho quasi finito ormai. Ne ho già una che guarisce da sola se è malata, che può lavorare 18 ore di seguito, preparare un pranzo per sei con mezzo chilo di carne tritata e che riesce a tenere sotto la doccia un bambino di nove anni".
L'angelo girò lentamente intorno al modello di madre, esaminandolo con curiosità: "E' troppo tenera", disse poi con un sospiro.
"Ma resistente – ribatté il Signore con foga – tu non hai idea di
quello che può sopportare una mamma!".
"Sa pensare?". "Non solo, ma sa anche fare un ottimo uso della ragione e venire a compromessi", ribatté il Creatore.
A quel punto l'angelo si chinò sul modello della madre e le passò un dito su una guancia: "Qui c'è una perdita", dichiarò.
"Non è una perdita – lo corresse il Signore – è una lacrima".
"E a che serve?". "Esprime gioia, tristezza, delusione, dolore, solitudine, orgoglio".
"Ma sei un genio!", esclamò l'angelo.
Con sottile malinconia Dio aggiunse: "A dire il vero, non sono stato io a mettercela quella cosa lì..."
(don Bruno Ferrero)
Fonte :“40 Storie nel deserto”
sabato 12 febbraio 2011
Non farmi sprecare mai il mio dolore
Signore,
Non farmi sprecare mai il mio dolore; perché…
fallire senza imparare,
cadere senza rialzarsi,
peccare senza superare i peccati,
essere feriti senza perdonare,
essere scontenti senza migliorare,
essere schiacciati senza diventare più attenti,
soffrire senza diventare più sensibili,
rende la sofferenza un esercizio inutile,
senza senso….
Autore: Bruno Ferrero
Non farmi sprecare mai il mio dolore; perché…
fallire senza imparare,
cadere senza rialzarsi,
peccare senza superare i peccati,
essere feriti senza perdonare,
essere scontenti senza migliorare,
essere schiacciati senza diventare più attenti,
soffrire senza diventare più sensibili,
rende la sofferenza un esercizio inutile,
senza senso….
Autore: Bruno Ferrero
martedì 8 febbraio 2011
Noi veniamo da gente così... anche noi
L’ottimismo va alimentato: occorrono ingredienti nuovi e un frullatore nella mente per rimescolare ben bene le cose. Dobbiamo tenere in funzione delle fonti di energia per ricaricare le batterie dell’entusiasmo: vedere il bello, saper ammirare, godere di quanto si ha, ascoltare musica, fare passeggiate, ridere spesso.
Margherita entrò per prima nella nuova casa: tre stanzette nude e squallide, con due letti, due sedie e qualche casseruola. Sorrise, e disse al figlio:
«Ai Becchi, ogni giorno dovevo darmi da fare per mettere in ordine, pulire i mobili, lavare le pentole. Ora potrò riposare molto di più».
Ripresero fiato poi si misero tranquilli a lavorare. Mentre Margherita preparava un po’ di cena, don Bosco appese alla parete un crocifisso e un quadretto della Madonna, poi preparò i letti per la notte.
E insieme Madre e Figlio si misero a cantare.
La canzone diceva: «Guai al mondo – se ci sente / forestieri – senza niente...»
Noi veniamo da gente così.
autore: Bruno Ferrero
bisogno di gentilezza
IL MANIFESTO DELLA GENTILEZZA
Noi crediamo che in un mondo che tende alla disumanizzazione, abbiamo più che mai bisogno di gentilezza. Verso noi stessi, gli altri, il pianeta.
Noi crediamo che essere gentili voglia dire essere rispettosi nei confronti di tutto quello che ci circonda: persone, animali ambiente.
Noi siamo convinti che l’era dell’aggressività e del “ciascuno per sé” sia tramontata.
Noi crediamo che sia arrivato il momento di affrontare la vita con più dolcezza, più comprensione, più attenzione.
Noi crediamo che essere gentili significhi essere parte attiva di un processo di miglioramento dell’esistenza di tutti.
Noi crediamo che la gentilezza sia una forza interiore e una forma alta di intelligenza.
Noi crediamo che la gentilezza sia una capacità e che si possa apprendere.
Noi crediamo che la gentilezza sia contagiosa e, di conseguenza, trasmissibile.
Noi siamo convinti che la gentilezza debba concretizzarsi in piccole azioni.
Noi crediamo che tanti piccoli atti di gentilezza cambieranno il mondo.
autore: Bruno Ferrero
sabato 8 gennaio 2011
creare e mantenere un’atmosfera familiare ricca di stimoli che nutra le quattro dimensioni più importanti della vita: fisica, affettiva, mentale e spirituale
L’ottimismo è una combinazione per aprire la cassaforte della vita ma ci vuole qualcuno che fornisca i “numeri” perché ottimisti non si nasce, si diventa. Educare all’ottimismo significa prima di tutto creare e mantenere un’atmosfera familiare ricca di stimoli che nutra le quattro dimensioni più importanti della vita: fisica, affettiva, mentale e spirituale. Lo possono fare soprattutto i genitori con alcune semplici attenzioni.
Dare ai figli una valida immagine di sé. Ammirate i vostri figli e dimostrate loro la vostra stima, fiducia e responsabilità. Il modo migliore consiste nel coinvolgerli sempre più nella vita della famiglia.
Fornire loro dei punti di riferimento. Lo strumento più adatto sono i “no” che, soprattutto nei primi anni di vita “segnano” il cammino fisico e spirituale dei figli. I “no” siano sempre seri e attentamente motivati.
Insegnare ai figli che i problemi si risolvono. I veri ottimisti si concentrano sulle cose che hanno e così non hanno più tempo per mettere a fuoco le ragioni della tristezza. In una famiglia che si dibatteva in grosse difficoltà, la madre trasmise a figli un messaggio di forte intensità: “È quando si fa buio che si possono vedere le stelle”. I figli non lo hanno mai dimenticato.
Proporre delle mete e raggiungerle insieme. L’incertezza, l’oziosità, il “bricolage” morale provocano solo noia e pessimismo. Il potenziale umano è sbalorditivo, se solo decidessimo di usarlo. San Paolo, nella lettera ai Filippesi, scrive: “Infine, fratelli, prendete in considerazione tutto ciò che è buono, che è giusto, puro, degno di essere amato e onorato; ciò che viene dalla virtù ed è degno di lode” (Fil 4,8). Anche lui quindi pensa che noi possiamo scegliere i soggetti della nostra contemplazione e dei nostri pensieri: il contenuto della nostra mente è in gran parte a nostra discrezione e, facendo uso di questo potere selettivo, possiamo modificare il nostro mondo.
Incoraggiarli sempre e abituarli allo sforzo. Evitate i falsi incoraggiamenti. Un incoraggiamento fasullo è in genere l’ultima cosa di cui un ragazzo ha bisogno. Semmai serve qualcuno che dica: “Siamo in un bel pasticcio ma, se tutti noi ci rimbocchiamo le maniche, possiamo fare qualcosa per uscirne”. Impedite loro di commiserarsi con troppa facilità o di prendersi mentalmente a calci. Esistono persone che vivono di catastrofismo, quasi fossero dei “telegiornali ambulanti” , prevedono guai a ogni istante, si sentono incapaci, inadeguati, colpevoli di tutto. Un bambino deve crescere senza pensare al “fallimento”. I figli devono essere educati alla fiducia in se stessi e nel futuro. Insegnate come si può dominare il proprio temperamento.
Cercare la compagnia di persone ricche di speranza. È davvero vitale crescere in un ambiente ricco di stimoli costruttivi. Cercate un rinforzo sociale positivo.
Coltivare la fantasia e la creatività. Donate loro abitudini intellettuali. Abituateli a vedere il bello, ascoltate musica, fate passeggiate, ridete spesso.
Aiutarli a vincere i punti deboli. Devono essere e sentirsi “competenti” in qualcosa.
Alimentare con cura lo spirito. La cosa peggiore che può capitare ad una persona è la perdita della forza dello spirito. Ma lo slancio spirituale tende ad “evaporare” nelle famiglie che non si ritagliano uno spazio per leggere e meditare sulla fede e, soprattutto, per pregare insieme.
di Bruno Ferrero
Da: “Educare all’Ottimismo”, Bollettino Salesiano, giugno 2006
Dare ai figli una valida immagine di sé. Ammirate i vostri figli e dimostrate loro la vostra stima, fiducia e responsabilità. Il modo migliore consiste nel coinvolgerli sempre più nella vita della famiglia.
Fornire loro dei punti di riferimento. Lo strumento più adatto sono i “no” che, soprattutto nei primi anni di vita “segnano” il cammino fisico e spirituale dei figli. I “no” siano sempre seri e attentamente motivati.
Insegnare ai figli che i problemi si risolvono. I veri ottimisti si concentrano sulle cose che hanno e così non hanno più tempo per mettere a fuoco le ragioni della tristezza. In una famiglia che si dibatteva in grosse difficoltà, la madre trasmise a figli un messaggio di forte intensità: “È quando si fa buio che si possono vedere le stelle”. I figli non lo hanno mai dimenticato.
Proporre delle mete e raggiungerle insieme. L’incertezza, l’oziosità, il “bricolage” morale provocano solo noia e pessimismo. Il potenziale umano è sbalorditivo, se solo decidessimo di usarlo. San Paolo, nella lettera ai Filippesi, scrive: “Infine, fratelli, prendete in considerazione tutto ciò che è buono, che è giusto, puro, degno di essere amato e onorato; ciò che viene dalla virtù ed è degno di lode” (Fil 4,8). Anche lui quindi pensa che noi possiamo scegliere i soggetti della nostra contemplazione e dei nostri pensieri: il contenuto della nostra mente è in gran parte a nostra discrezione e, facendo uso di questo potere selettivo, possiamo modificare il nostro mondo.
Incoraggiarli sempre e abituarli allo sforzo. Evitate i falsi incoraggiamenti. Un incoraggiamento fasullo è in genere l’ultima cosa di cui un ragazzo ha bisogno. Semmai serve qualcuno che dica: “Siamo in un bel pasticcio ma, se tutti noi ci rimbocchiamo le maniche, possiamo fare qualcosa per uscirne”. Impedite loro di commiserarsi con troppa facilità o di prendersi mentalmente a calci. Esistono persone che vivono di catastrofismo, quasi fossero dei “telegiornali ambulanti” , prevedono guai a ogni istante, si sentono incapaci, inadeguati, colpevoli di tutto. Un bambino deve crescere senza pensare al “fallimento”. I figli devono essere educati alla fiducia in se stessi e nel futuro. Insegnate come si può dominare il proprio temperamento.
Cercare la compagnia di persone ricche di speranza. È davvero vitale crescere in un ambiente ricco di stimoli costruttivi. Cercate un rinforzo sociale positivo.
Coltivare la fantasia e la creatività. Donate loro abitudini intellettuali. Abituateli a vedere il bello, ascoltate musica, fate passeggiate, ridete spesso.
Aiutarli a vincere i punti deboli. Devono essere e sentirsi “competenti” in qualcosa.
Alimentare con cura lo spirito. La cosa peggiore che può capitare ad una persona è la perdita della forza dello spirito. Ma lo slancio spirituale tende ad “evaporare” nelle famiglie che non si ritagliano uno spazio per leggere e meditare sulla fede e, soprattutto, per pregare insieme.
di Bruno Ferrero
Da: “Educare all’Ottimismo”, Bollettino Salesiano, giugno 2006
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