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lunedì 15 luglio 2013

Solo nei tempi di grande crisi si fa palese la segreta lacerazione di un popolo

Il salmista descrive Israele, lacerato in due:
di qua gli oppressori, di là gli oppressi; 
di qua coloro che s’innalzano, di là gli umilati. 
I primi dicono in cuor loro: “Non c’è Dio!”. 
Non lo dicono a voce alta, 
l’affermazione non sale dal cuore alle labbra, 
con le labbra professano di credere in lui. 
A dire il vero, neanche in cuor loro intendono negarne l’esistenza: 
è anche possibile che esista, un Dio, perché no? 
Ma di certo non si cura di quel che fanno gli uomini sulla terra! 
La realtà, però, è che Dio scruta ciò che fanno le sue creature. 
Vede come gli uomini “divorano” gli uomini; 
e (secondo l’interpretazione più immediata della lectio difficilior del versetto 4), 
a differenza dell’animale sacrificale definito “pane di Dio” (cf Lv 21,6), 
questo non è un cibo su cui si possa invocare il Nome di Dio. 
Il salmista contempla allora in visione profetica ciò che accadrà: 
ecco, di nuovo i corrotti si gettano sulla loro preda, 
ma là sono atterriti insieme da spavento, uno spavento 
– così è scritto nella lezione più prolissa del Salmo 53 – 
come non vi è mai stato: 
là, in mezzo a coloro che essi credevano in balia del loro arbitrio, 
appare la Presenza di Dio, 
di quel Dio che essi credevano non si curasse delle faccende umane 
e invece è il rifugio degli oppressi. 
E la sentenza di Dio tuona contro di loro. [...] 
Un interprete più tardo dei Salmi quale io sono, non può, come il salmista, 
appagarsi di una mera bipartizione di Israele o del mondo degli uomini. 
La lacerazione fra chi fa violenza e chi la subisce, 
fra l’elemento fedele e quello ribelle, 
egli la vede correre non solo attraverso ciascun popolo, 
ma attraverso ciascun gruppo di un popolo, anzi: 
ciascuna anima. 
Solo nei tempi di grande crisi si fa palese la segreta lacerazione di un popolo. 
(Martin Buber, Il cammino del giusto).

mercoledì 22 agosto 2012

diventa una bocca di menzogna

Rabbi Pinchàs raccontava ai suoi scolari: “Niente mi è stato più difficile da superare della menzogna. Ci sono voluti quattordici anni, ho rotto tutte le mie ossa, finalmente ne sono venuto fuori”. Raccontava anche: “Ventunanno ho servito per la verità. Sette per apprendere che cos’è la verità. Sette per scacciare la falsità. Sette per accogliere la verità”. Una volta che Rabbi Pinchàs recitava la preghiera della sera davanti al leggio e arrivò alle parole “Colui che custodisce il suo popolo di Israele”, mandò un grido dal più profondo dell’anima. La contessa a cui appartenevano mi dintorni di Korez passava in quel momento davanti alla sinagoga. Si curvò su una delle basse finestre e ascoltò. Poi disse a quelli che le stavano intorno: “Come questo grido è vero, senza alcuna mescolanza di menzogna!”. Quando lo raccontarono a Rabbi Pinchàs, egli disse sorridendo: “Anche i popoli del mondo sanno che cosa è la verità”. Una volta, la sera precedente il Giorno del Perdono, prima della preghiera “Tutti i voti”, i radunati recitavano i salmi gridando confusamente. Rabbi Pinchàs si rivolse alla comunità e disse: “Perché vi sforzate tanto? Sì, voi vedete che le vostre parole non arrivano in alto. Ma perché è così? La bocca di chi tutto l’anno ha mentito diventa una bocca di menzogna. E da una bocca di menzogna come possono uscire parole vere che arrivino in alto? Io che vi parlo so di che si tratta; perché io stesso ho dovuto lavorarvi molto. Così credetemi: dovete impegnarvi a non dire menzogne ; allora otterrete una bocca di verità le cui vere parole salgono al cielo”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).