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giovedì 3 marzo 2011

la carità si estende con premurosa sollecitudine alle opere di tutte le virtù

In verità per legge di Cristo nulla si può intendere più convenientemente della carità, che adempiamo quando portiamo per amore i pesi dei fratelli.
    Ma questa stessa legge è detta molteplice, perché la carità si estende con premurosa sollecitudine alle opere di tutte le virtù.
    Essa comincia certo da due precetti, ma si dilata a innumerevoli altri. Assai bene Paolo enumera la complessità di questa legge, col dire: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità» (1 Cor 13, 4-6).
    «La carità è paziente», perché sopporta con serenità i torti ricevuti.
    «È benigna», perché in cambio dei mali offre beni con larghezza.
    «Non è invidiosa», perché nulla desidera in questo mondo, e quindi non sa invidiare i successi terreni.
    «Non si vanta», perché non si esalta dei beni esteriori, mentre desidera ardentemente il premio di una ricompensa interiore.
    «Non manca di rispetto», perché dilatandosi nel solo amore di Dio e del prossimo, ignora tutto ciò che è contrario alla rettitudine.
    «Non è ambiziosa», perché, occupandosi intensamente dei suoi beni interni, non sente affatto all'esterno il desiderio delle cose altrui.
    «Non cerca il suo interesse», perché tutto quello che possiede in modo transitorio quaggiù lo trascura come fosse di altri, e non riconosce nulla di suo, se non quello che perdura con essa.
    «Non si adira», perché, anche se provocata dalle ingiustizie, non si eccita ad alcun moto di vendetta, e attende maggiori ricompense future per i grandi travagli sostenuti.
    «Non tiene conto del male ricevuto», perché rinsaldando l'anima nell'amore del bene, svelle dalle radici ogni forma di odio e non sa trattenere nell'anima ciò che macchia.
    «Non gode dell'ingiustizia», perché, anelando unicamente all'amore verso tutti, non si compiace in alcun modo della rovina degli avversari.
    «Ma si compiace della verità», perché, amando gli altri come se stessa, e vedendo in essi la rettitudine, si rallegra come di un profitto e progresso proprio.

    Complessa e polivalente dunque è questa legge di Dio.
Dal «Commento al libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa


(Lib. 10, 7-8. 10; PL 75, 922. 925-926)
Molteplice è la legge di Dio

venerdì 7 maggio 2010

Carità: finchè Dio non gli racconta la tua musica

Quello che tu non sai
che gli altri non osano
è che la tua carità è musica
è musica senza parole
che arriva al cuore
di chi ti vuol bene, di chi
ti ama e che non sa esprimere
la sua volontà.
Alle volte uno tace e sente
di essere ingrato
finchè Dio non esplode
in lui e non gli racconta
la tua musica d’uomo.

Alda Merini

Beato chi... volentieri cerca di correggersi!

http://cogitor.splinder.com/
“Non rimproverare con asprezza la persona che ha fatto uno sbaglio.
Aspetta pazientemente:
otterrai di più parlando gentilmente e con dolcezza
che con una lunga sequenza di rampogne.
Così facendo finirai per avere ragione (le cose andranno a posto, soprattutto, non darai l'impressione di aver vinto rendendo l'altro perdente)
e ti manterrai calmo”.
“Quando stai per dire qualcosa,
esamina il tuo modo di parlare ( anche l'atteggiamento);
la carità e la gentilezza renderanno più appetibile (condivisibile) il tuo messaggio.
La stessa cosa detta in due modi diversi da due persone con diversi stati d’animo
produce due diversi risultati” (F.X. Nguyen Van Thuan).
Aspetta pazientemente: otterrai di più parlando gentilmente e con dolcezza. E’ proprio questa pazienza che talvolta viene meno dialogando con qualcuno! Altro che “dolcezza”, le rampogne navigano incontrastate in moltissimi dei nostri discorsi. Dovremmo davvero seguire il saggio monito del vescovo vietnamita Van Thuan, che in tredici anni di prigionia di pazienza ne ha avuta davvero tanta!Il nostro modo di parlare è spesso privo di carità. E’ più facile inveire contro una persona piuttosto che aiutarla a comprendere l’errore commesso. A quanti di noi non darebbe fastidio essere rimproverati per aver usato parole inadeguate o per aver compiuto un’azione sbagliata? A tal proposito San Francesco d’Assisi suggerisce il metodo della “beata” correzione fraterna: “Beato chi accetta di essere corretto, accusato e rimproverato da un altro, come se lo facesse da se stesso. Beato chi quando viene rimproverato non è pronto a scusarsi, ma con umiltà confessa la sua colpa e volentieri cerca di correggersi. Anzi, ancora più beato chi non si difende e accetta il rimprovero anche di una colpa che non ha commesso” (S. Francesco). I Santi… che grandi uomini, tutto facile per loro… sempre disposti ad accogliere nel loro cuore il “cibo spirituale” che il buon Dio provvede loro. Talvolta, però, questo “cibo” a noi va di traverso! Soprattutto se si pizzicano le corde della nostra sacrosanta suscettibilità! Di per sé l’ammonimento del Santo d’Assisi potrebbe anche essere preso in seria considerazione dalla nostra “sapiente” capacità di riconoscere tutto ciò che è buono per noi. E’ il “volentieri cerca di correggersi” che purtroppo difficilmente riusciamo ad accettare. Si può entrare nella schiera dei beati se accettiamo la correzione fraterna come la possibilità di ritornare a guardare tutto e tutti con lo stesso sguardo misericordioso di Cristo.Non è impossibile!Ci si potrebbe già iniziare a lavorare!!!