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martedì 4 giugno 2013

Se gli altri odiano, non è una ragione perché odiamo anche noi.

La pace cristiana non è regolata dal “do ut des”:
se tu sarai pacifico con me, io lo sarò con te. [...] 
Al pari della fede, della speranza e della carità, 
la pace è vera beatitudine 
quando non c’è tornaconto né convenienza né interesse di pace, 
vale a dire 
quando incomincia a parere una follia 
davanti al buon senso della gente “ragionevole”. 
Se uno raccorcia la pace, 
o cerca di contenerla nell’area di una “ragione computistica”, 
sarà portato a concludere che 
il non essere in pace con chi non è in pace con noi, 
non è un peccato, 
ma un diritto 
che arriva fino allo sterminio della parte avversa. 
La contabilità cristiana conosce la sola partita del dare: 
se vi aggiungiamo l’avere, 
non ci dobbiamo sorprendere 
se rivedremo sul tappeto le ragioni del lupo, 
il quale, essendo a monte del fiume, 
trovava che l’agnello gli intorbidava le acque. 
Se gli altri odiano, 
non è una ragione perché odiamo anche noi. 
Si vince il male col bene; 
la malattia con la salute; 
si oppone all’ostilità la carità: 
questo è il comandamento di Dio. 
Gli altri sono comandamenti di uomini, 
e uomini senza Dio, 
anche se fanno salamelecchi al prete. 
Quando ci si giustifica delle ingiurie nostre col fatto delle ingiurie altrui, 
decadiamo dal cristianesimo: 
rendiamo nulla l’incarnazione con la passione e la risurrezione di Cristo. 
Ad amare i soli amici erano buoni anche i pagani. 
La pace comincia in noi... in me e da me, da te, da ciascuno.... 
Come la guerra. 
Ma come si può arrivare alla pace 
se si seguita a coltivare, 
quasi orto per ortaggi, 
questa spartizione manichea dell’umanità e della spiritualità; 
se si seguita ad alimentare una polemica fatta di apriorismi e ingiurie; 
deformazioni e repulse; 
se si aumentano ogni giorno più la disparità economica 
tra chi spedisce lingotti d’oro all’estero 
e chi vive nelle baracche 
e intristisce nella disoccupazione; 
se si insiste a vedere nel fratello insignito 
di un diverso distintivo politico 
un cane da abbattere, 
un rivale da sopprimere, 
un nemico da odiare? 
Quanti cristiani, 
per assicurarsi un diritto all’odio, 
si tramutano in farisei che non vedono fratelli, 
ma pubblicani, ma samaritani, ma pagani. 
Come se Gesù non fosse mai venuto, 
e non fosse morto e risorto!... 
(Primo Mazzolari, Tu non uccidere).

giovedì 30 maggio 2013

come può comunicare i segni della Pasqua? .

Ora, sappiamo dove si fa la Pasqua, e ne sappiamo anche la strada, 
che passa attraverso i segni dei chiodi. 
Non ce n’è un’altra. 
Noi cristiani abbiamo fretta di vedere i segni della Pasqua del Signore, 
e quasi gli muoviamo rimprovero di ogni indugio, che fa parte del mistero della Redenzione. 
I non-cristiani hanno fretta di vedere i segni della nostra Pasqua, 
che aiutano a capire i segni della Pasqua del Signore. 
Un sepolcro imbiancato, che di fuori appare lucente, 
ma dentro è pieno di marciume, non è un sepolcro glorioso. 
Chi mette insieme pesanti fardelli per caricarli sulle spalle degli altri, 
senza smuoverli nemmeno con un dito, 
è fuori della Pasqua. 
Chi fa le sue opere per richiamare l’attenzione della gente, 
invitando stampa e televisione, 
non vede la Pasqua
Chi chiude il Regno dei Cieli in faccia agli uomini per mancanza di misericordia, 
non sente la Pasqua
Chi paga le piccole decime e trascura la giustizia, la misericordia e la fedeltà, 
rinnega la Pasqua. 
Chi lava il piatto dall’esterno, mentre dentro è pieno di rapina e d’intemperanza, 
non fa posto alla Pasqua. 
Oggi è Pasqua, anche se noi non siamo anime pasquali: 
il sepolcro si spalanca ugualmente, 
e l’alleluia della vita esulta perfino nell’aria e nei campi; 
ma chi sulle strade dell’uomo, questa mattina, 
sa camminargli accanto e, lungo il cammino, risollevargli il cuore? 
Una cristianità che s’incanta dietro memorie 
e che ripete, senza spasimo, gesti e parole divine, 
e a cui l’alleluia è soltanto un rito 
e non ha trasfigurante irradiazione della fede e della gioia nella vita che vince il male e la morte dell'uomo, 
come può comunicare i segni della Pasqua? .
(Primo Mazzolari, La Pasqua).

mercoledì 3 aprile 2013

Ma se non siamo colpiti personalmente, noi passiamo avanti a tutte le conseguenze della crisi.

Come ritenere estraneo alla religione un fatto come la crisi, che interessa tutti, sconcerta tutti e fa soffrire tutti? Lo studieremo considerandolo sotto tre aspetti: i nostri torti come maestri cristiani di fronte alla crisi; gli effetti materiali della crisi e i nostri doveri come maestri cristiani di fronte alla crisi. Il primo torto è di occuparci della crisi soltanto personalmente. Quando siamo colpiti, mettiamo per esempio da una diminuzione di stipendio, allora, sì, esiste la crisi. Ma se non siamo colpiti personalmente, noi passiamo avanti a tutte le conseguenze della crisi. Con quella spaventosa indifferenza che l’egoismo sa trovare. Il secondo torto è di non occuparci della crisi religiosamente, ossia di non sentire le influenze disastrose che la crisi porta nel mondo religioso. È l’incapacità di vedere tutto in una visuale cristiana. Si è tentati di chiedere: «Ma la crisi non fa bene religiosamente? Se i cristiani parlano sempre di sofferenza, se la considerano come la strada regia per arrivare al cielo, questa crisi tremenda avvicinerà ancor di più a Dio»
don Primo Mazzolari

venerdì 8 febbraio 2013

credere che sia rimasto di là


Niente lo ferma

L’hanno arrestato come un malfattore, inchiodato sulla croce come un assassino, hanno sigillato il suo sepolcro…
Niente lo ferma.
I suoi discepoli lo volevano circoscrivere alla Palestina con la scusa che egli era un ebreo. E se lo trovarono in Antiochia, in Alessandria, in Atene, in Roma prima ancora che gli Apostoli vi ponessero piede.
Gli volevano dare la cittadinanza romana, ed egli era già là con i barbari.
Gli fabbricarono basiliche stupende di travertino, ed egli aveva già accettato l’ospitalità sotto la capanna del monaco, sulle rive della Mosa, del Reno, del Danubio.
Gli avevano fissato come mare il Mediterraneo, ed egli passava l’Atlantico con Colombo.
La cultura greca gli rivestiva di ragione i paradossi del suo Vangelo, ed egli compitava con gli indotti.
Il feudalesimo gli offriva il castello, ed egli faceva casa con i servi della gleba.
I re lo nominavano ciambellano o cappellano di corte, ed egli si faceva galeotto con San Vincenzo de’ Paoli.
I nobili già pensavano di poterlo avvolgere negli stucchi dorati, in mezzo ai santi e agli angeli, sotto le volte delle loro chiese barocche, quando la rivoluzione francese lo mandava in esilio.
Dopo averlo deriso la borghesia è andata in cerca di lui, la povera gente credette e continua a credere che sia rimasto di là con coloro che non le vogliono bene, mentre cammina portando le sue pene e le sue speranze.
(PRIMO MAZZOLARI, Il Natale)

mercoledì 7 novembre 2012

è l'uomo che domanda a tutti pietà e amore

Devo una risposta Massimo. Il testo di Don Primo, come quello che cito di seguito sono tratte da La parola ai poveri, La Locusta, Vicenza 1960

Senza una conoscenza umana del povero, non si arriva alla conoscenza fraterna. l'uomo deve vedere l'uomo nel povero. Il "compagno" non basta, il "camerata" non basta, come non basta colui che è della nostra razza, della nostra classe, della nostra nazione.
Non disprezzo nessuna conoscenza e nessun vincolo, ma abbiamo troppo sofferto, e tuttora soffriamo, di questi limiti di umanità: abbiamo troppo sofferto per quello che è legato alle parole razza, nazione, casta, classe, per accoglierle come il momento della nostra conoscenza. Abbiamo bisogno di veder subito l'uomo, per non cadere di nuovo nella tentazione d'ipotecare la giustizia e di restringere il cuore. Vogliamo anzitutto una visione umana del povero, perché il povero non ha nazione, né classe, né razza, né partito: è l'uomo che domanda a tutti pietà e amore.
E quando dico voglio vedere l'uomo, non intendo l'uomo dei filosofi, che non m'interessa, come non m'interessa il dio dei filosofi. Intendo l'uomo reale, l'uomo vero, in carne e ossa: uno cioè che posso toccare. E quest'uomo che posso toccare e che chiede pietà sono io stesso. Povero è l'uomo, ogni uomo. Non per quello che non ha, ma per quello che è, per quello che non gli basta, e che lo fa mendicante ovunque, sia che tenda la mano, sia che la chiuda.
Il povero sono io, chi ha fame sono io, chi è senza scarpe sono io. Questa è la realtà: così è il vedere reale. Io sono il povero; ogni uomo è il povero!

La parola ai poveri, La Locusta, Vicenza 1960.

mercoledì 3 ottobre 2012

Non per quello che non ha, ma per quello che è

Senza una conoscenza umana del povero, non si arriva alla conoscenza fraterna. L'uomo deve vedere l'uomo nel povero. Il "compagno" non basta, il "camerata" non basta, come non basta colui che è della nostra razza, della nostra classe, della nostra nazione.
Non disprezzo nessuna conoscenza e nessun vincolo, ma abbiamo troppo sofferto, e tuttora soffriamo, di questi limiti di umanità: abbiamo troppo sofferto per quello che è legato alle parole razza, nazione, casta, classe, per accoglierle come il momento della nostra conoscenza. Abbiamo bisogno di veder subito l'uomo, per non cadere di nuovo nella tentazione d'ipotecare la giustizia e di restringere il cuore. Vogliamo anzitutto una visione umana del povero, perché il povero non ha nazione, né classe, né razza, né partito: è l'uomo che domanda a tutti pietà e amore.
E quando dico voglio vedere l'uomo, non intendo l'uomo dei filosofi, che non m'interessa, come non m'interessa il dio dei filosofi. Intendo l'uomo reale, l'uomo vero, in carne e ossa: uno cioè che posso toccare. E quest'uomo che posso toccare e che chiede pietà sono io stesso. Povero è l'uomo, ogni uomo. Non per quello che non ha, ma per quello che è, per quello che non gli basta, e che lo fa mendicante ovunque, sia che tenda la mano, sia che la chiuda. Il povero sono io, chi ha fame sono io, chi è senza scarpe sono io. Questa è la realtà: così è il vedere reale. Io sono il povero; ogni uomo è il povero! Don Primo Mazzolari

martedì 2 ottobre 2012

poi, non ne posso più, e vedo Dio, la morte, il dolore

Quella dei poveri, come quella di Dio, è una presenza scomoda. Sarebbe meglio che Dio non fosse; sarebbe meglio che i poveri non fossero: poiché se Dio c'è, la mia vita non può essere la vita che conduco; se i poveri ci sono, la mia vita non può essere la vita che conduco. Sono parecchie le cose che non vorremmo che fossero. Ne nomino alcune, le più scomode, ma le più certe, purtroppo: la morte, il dolore, i poveri, Dio. Non vogliamo vedere Dio: non vogliamo vedere la morte: non vogliamo vedere il dolore: non vogliamo vedere i poveri. E sono invece le realtà più presenti; direi le presenze che non possiamo non vedere e non ricordare. Fino a quando riusciremo a tenere chiusi gli occhi davanti a queste certezze, che l'uomo può anche non voler vedere? Chiudo gli occhi un giorno; chiudo il cuore un giorno; chiudo la ragione un giorno, un anno, molti anni; poi, non ne posso più, e vedo Dio, la morte, il dolore, i poveri; proprio chi non vorrei vedere. Su ogni strada c'è una svolta: all'improvviso, ecco che dal mio intimo stesso risale la certezza che Dio c'è, e il dolore m'attanaglia, e la morte mi viene vicina, e il povero m'appare […].
È incredibile che il più buono degli uomini, il più mansueto, colui che da secoli porta la croce di tutti, faccia paura! Eppure, molti hanno paura del povero, come molti farisei avevano paura di Gesù, e non solo quando predicava, ma anche quando, condannato a morte, saliva il Calvario. Non fa paura il povero, non fa paura la voce di giustizia che Dio fa sua, fa paura il numero dei poveri. Don Primo Mazzolari

lunedì 1 ottobre 2012

È difficile misurare la profondità del suo dolore e la superficialità del suo piacere

Per conoscere i poveri non basta la statistica. Anche la politica, che sembra aver dato coscienza ai poveri della loro forza, dei loro diritti, della possibilità di riacquistare la libertà perduta, il più delle volte, in realtà, li tradisce. I poveri, o sono il "sottoproletariato" di cui la strategia rivoluzionaria si serve come forza d'urto e di rottura, o l'"oggetto" di adescamento dei conservatori per rompere l'unità popolare.
Non basta neppure l'amore per conoscere i poveri: neppure l'amore di chi si mette generosamente e concretamente a loro disposizione, pagando di persona, e non con le parole e con i sacrifici degli altri, come troppo spesso fanno i politici. Io credo che anche questa forma di conoscenza sia incompleta e molte volte illusoria. Perché è impossibile superare un diaframma che realmente esiste, di capire cioè che cosa sia dover essere povero senza possibilità di elezione e di uscita. I poveri sono scomodi, ingombranti, suscitano ripulsione, intimidiscono. È facile dire una parola gentile a un uomo della nostra condizione. Si sa o si può prevedere fino a che punto essa viene compresa. Ma non si sa mai che cosa il povero capisce e che cosa non capisce. È difficile misurare la profondità del suo dolore e la superficialità del suo piacere.
Per conoscere veramente i poveri, per parlarne con competenza, bisognerebbe conoscere il mistero di Dio, che li ha chiamati "beati" riservando loro il suo regno. Don Primo Mazzolari

sabato 22 settembre 2012

L'uomo non è mai tanto povero come quando si accorge che gli manca tutto


La vita di ognuno è un'attesa. Il presente non basta a nessuno: l'occhio e il cuore sono sempre avanti, oltre la breve gioia, oltre il limite del nostro possesso, oltre le mete raggiunte con aspra fatica.
In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno.
E lo attendiamo.
Ogni popolo, come ogni cuore, è in stato messianico. La nostra epoca è forse l'epoca più messianica della storia.
Tale attesa, calma o disperata, silenziosa o urlante, è il disegno inconfondibile della nostra povertà e della nostra grandezza.
L'uomo non è mai tanto povero come quando si accorge che gli manca tutto: non è mai tanto grande come quando, da questa stessa povertà, tende le braccia e il cuore verso Qualcuno.
Cristo è questo Qualcuno.
Il profeta lo chiama «il Veniente».
Poiché egli è colui che viene, io sono colui che attende.
E l'inquietudine di chi attende si placa nella carità di chi viene: come l'incarnazione è l'inizio compiuto ed esemplare dell'incontro, il suo fermento.
La nostra attesa è così assetata, che spesso rivolgiamo male la nostra ricerca e ancor peggio collochiamo il nostro cuore.
Gli stessi eletti possono avere momenti di esitazione. Il fatto di Giovanni il Battista, secondo l'odierno Vangelo, insegna.
Egli aveva visto Gesù sulle rive del Giordano: l'aveva battezzato e indicato al popolo come «l'Agnello di Dio...». Poi, non l'aveva più incontrato. E, adesso, era in prigione a motivo di Erodiade...
Certe prove mettono in discussione tutte le nostre certezze.
Io l'ho provato qualche mese fa. Lo scoramento spirituale può prendere anche i santi e i profeti; solo coloro, che si dimenticano di ascoltare il cuore dell’uomo nel santo, ne fanno meraviglia.
La differenza tra noi e i santi è nella maniera con cui si fa fronte allo smarrimento.
Noi accogliamo il dubbio e ci lasciamo prendere dall'accidia...
Nella domanda che i discepoli di Giovanni portano a Cristo c'è già qualcosa di bruciante.
Senza fede non si vive.
Un naufrago si attacca a tutto: a una tavola, a una corda, a un filo d'erba.
L'uomo non può fare il naufrago per tutta la vita.
Purché sia uomo e non «una canna agitata dal vento»! I problemi dello spirito sono guardati seriamente e vissuti passionalmente soltanto dai veri uomini.
Le «canne agitate dal vento» (che non hanno nulla a che vedere con «le canne pensanti» di Pascal perché non pensano affatto) si credono libere perché servono tutti i padroni e deridono il profeta che, per servire uno solo, abbandona la propria testa sul piatto del festino
Tratto da Primo Mazzolari - ”La parola che salva”- Edb 1995

mercoledì 18 aprile 2012

brevità della nostra giornata

Cristo, so di essere amato
per quello che è propriamente mio:
la mia povertà;
e sento il bisogno di amare
per quanto in proporzione
mi venne e mi viene ogni giorno perdonato.
Credo nell'inestimabile dono della libertà,
che illumina ma non costringe.
So di portare dentro
la presenza, il fermento
di una speranza che va al di là
della brevità della nostra giornata.

Sento che la vita
ha un ordine di sacrificio a cui non ci si può rifiutare,
senza sentirsi colpevoli:
la vita è un dovere,
la vita è un costo,
la vita è un impegno,
la vita bisogna guadagnarsela.

Mettiamo un attimo di silenzio
e di raccoglimento sulla nostra giornata:
un pochino di coraggio
per poter mantenere fedeltà
al proprio impegno quotidiano
e alimentare quella lampada della speranza,
senza la quale non è possibile vivere.


PRIMO MAZZOLARI

mercoledì 21 marzo 2012

l'arrivo della primavera


Aprire le finestre, annusare fuori l'arrivo della primavera e vedere arrivare davanti agli occhi del ricordo queste parole
"Io posso anche non vederlo il Signore: lui, mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. L’amore si ferma e viene inchiodato dalla pietà. (…) Quando l’amore si ferma davanti all’inamabile, e , in luogo d’inorridirne, si china, l’amore prende il nome di pietà. Io guardo e mi scandalizzo, guardo e giudico, guardo e condanno, guardo e tiro dritto: lui mi guarda, si ferma e si muove a pietà. (…) La pietà riscopre e riveste. La primavera è la pietà che passa sui campi e sugli alberi e li riveste di erbe, di foglie e di fiori. La speranza è la pietà che passa attraverso le tombe e scrive su ognuna: “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se morto, vivrà”." (Primo Mazzolari)

sabato 5 novembre 2011

La Chiesa non può sopportare

Cosa la Chiesa può sopportare e cosa non può sopportare
Chi capisce come dev'essere presente la Chiesa in questa svolta della storia capisce anche ciò che la sua carità può sopportare e ciò che non può sopportare proprio in nome della stessa carità. Ripeto: in nome della carità, poiché la rivoluzione cristiana, l'unica che può essere giustificata anche davanti alla storia, più che da diritti conculcati o offesi nasce da doveri suggeriti e imposti al nostro cuore dalla carità che ci lega al nostro prossimo. Chi più ama è potenzialmente l'unico e vero rivoluzionario.
La Chiesa sopporta:
* il male che le fanno i suoi nemici, che, per quanto si allontanino e la rinneghino, portano sempre l'incancellabile volto di figli, e di figli tanto più cari quanto più cresce il loro perdimento;
* di essere spogliata di ogni bene materiale e di ogni privilegio concessole più o meno disinteressatamente dagli uomini;
* di vedere le sue basiliche e le sue chiese distrutte, chiusi i suoi conventi e le sue scuole, poiché è già "l'ora che né in Gerusalemme né su questo monte i veri ad6ratori adorano il Padre in spirito e in verità";
* le persecuzioni aperte e subdole, le calunnie e le blandizie, i vituperi e i panegirici menzogneri;
* gli erranti e in un certo senso perfino l'errore quando esso non può venire colpito senza offesa mortale all' anima dell'errante;
* di essere misconosciuta nella sua carità, colmata di obbrobrio per colpe non sue;
* il disonore che le viene dalla vita indegna dei suoi figlioli stessi, i loro rinnegamenti e i loro tradimenti;
* d'essere baciata da un Giuda, rinnegata da un Pietro.
La Chiesa non può sopportare:
* che vengano negate o diminuite o falsate le verità che essa ha il dovere di custodire e che costituiscono il patrimonio dell'umanità redenta;
* che sia cancellato dalla storia e dal cuore il senso della giustizia che è il patrimonio di tutti, ma in modo particolare dei poveri;
* la libertà e la dignità della persona e della coscienza, che sono il nostro divino respiro. Mentre sopporta senza aprir bocca di essere spogliata e tiranneggiata in qualsiasi modo, non può sopportare che vengano spogliati, conculcati, manomessi i diritti dei poveri e dei deboli, individui, città, nazioni e popoli, cristiani e non cristiani. E nella sua difesa materna e invitta è tanto più grande quanto più la sua tutela si estende alla plebs infedele, egualmente santa. Alcuni gesti di munifica protezione di Pio XII, in favore di ebrei perseguitati, hanno commosso e sollevato l'ammirazione del mondo;
* il potente che abusa della propria forza per opprimere i deboli;
* il sapiente che abusa della propria intelligenza per circuire e trarre in inganno l'ignorante;
* il ricco che abusa delle proprie ricchezze per angariare e affamare il popolo.
Vi sono quindi dei limiti nella sopportazione della Chiesa, e questi limiti vengono non dai raffreddamenti ma dai colmi della sua carità. Ciò che è abominevole per il Signore lo è pure per la sua Chiesa; la quale, senza parteggiare, non può trattare alla stessa stregua la vittima e il carnefice, l'oppressore e l'oppresso. Chi fermerebbe la mano del malvagio, chi solleverebbe il cuore abbandonato dell'oppresso se un'egual voce raccogliesse il grido dell'uno e il gemito dell'altro? Sarebbe un delitto il pensare, per il fatto che la Chiesa predica la pazienza ed esalta l'infinito valore del dolore, specialmente del dolore innocente, ch'essa accettasse le tristezze dei prepotenti come un mezzo provvidenziale per moltiplicare i meriti sovrannaturali dei buoni. Purtroppo il nostro linguaggio ascetico, sprovveduto di ampiezza e d'audacia mistica, può indurre un profano in apprezzamenti non solo sproporzionati ma contrari al buon senso. La sofferenza ben sopportata mi redime e redime, ma non fa diventar buona l'ingiustizia di chi ha pesato su di me. E una bontà conseguente, che non ha nulla da spartire con la causa ingiusta che ha generato la mia sofferenza. Soffrendo bene l'ingiustizia, creo una corrente di bontà: ma non per questo gli uomini sono dispensati dal fermare con tutte le forze la sorgente di male che continua a generare l'errore. Perché c'è uno che espia in modo edificante, io non sono scusato di lasciar fare e di lasciar passare. Il soffrire non è un bene in sé e se il Signore ci aiuta a cavare il bene dal male non vuole che noi chiamiamo bene il male, il quale va tolto di mezzo nei limiti della nostra responsabilità e della nostra carità. Il perdono stesso delle offese va all'uomo, non all'azione di lui, la quale rimane giudicata anche dopo il perdono, anzi giudicata veramente e irrevocabilmente solo dopo il perdono.
don Primo Mazzolari, Risposta ad un aviatore [1941], in La chiesa, il fascismo, la guerra, Vallecchi, Firenze 1966.

giovedì 26 maggio 2011

Mi dichiaro contro di me

Quando mi imbatto in Don Primo vorrei centellinare ogni parola. E' troppo ingollarlo tutto d'un fiato, ti prende la testa e ti sommerge in un'apnea che costringe  il respiro a esplodere in un urlo straziante e incomprensibile come dopo un pugno nello stomaco. Allora calma, devo prendermi tutto il tempo ed il silenzio che posso, per comprendere che la novità che noi siamo è il Vangelo. Avere umiltà per capire che non tutta  la nostra novità è il Vangelo, solo così faremo la rivoluzione che non invidia ma che ama.


Rivoluzione cristiana
di don Primo Mazzolari
Non vogliamo una rivoluzione che invidi, ma una rivoluzione che ami: non vogliamo portar via a nessuno il suo piccolo star bene, vogliamo solo impedirgli che il suo piccolo star bene determini lo star male di molti. Vogliamo una rivoluzione che sia la manifestazione liberatrice ed educatrice della nostra pietà e della nostra carità. Il suo punto di partenza non può essere quindi che interioreMi dichiaro contro di me: se no, il mio pormi contro gli altri, che fanno l'ingiustizia, avrebbe un significato farisaico e non cambierebbe nulla. Non mi nascondo: mi metto in prima fila, al muro, se occorre: altrimenti sarei un rivoluzionario di mestiere. Una rivoluzione che non mirasse alla piena libertà dell'uomo e alla sua divina dignità sarebbe insopportabile […]. La rivoluzione cristiana, a differenza degli altri movimenti rivoluzionari quasi sempre sporadici e contingenti, ha una tradizione e una continuità, un passato e un domani. Un motivo d'insoddisfazione, che costituisce non la colpa ma la beatitudine dell'uomo che ne è travagliato, ispira e guida la rivoluzione cristiana, che ha la sua storia nella storia della cristianità. Ma non tutta la storia della cristianità è una esperienza rivoluzionaria nel senso vero che deve avere per noi questa parola; quindi, la storia della cristianità va intelligentemente ripulita di quelle scorie e di quegli arresti che, ragionevolmente, scandalizzano quanti non riescono a riallacciarsi, attraverso i rivoli incontaminati di ogni tempo, alla purissima e viva sorgente del Vangelo e della storia della Chiesa. Anche oggi la forza rivoluzionaria cristiana è una divina capacità seminale, più che una serie logica e ben costruita di fatti e di conquiste […]. La conclusione è chiara: abbiamo una tradizione, ma non tutto il passato è il nostro passato; abbiamo una tradizione, ma non tutta la tradizione che passa sotto il nome di cristiana è la nostra tradizione. Siamo la novità, anche se portiamo sulle spalle duemila anni di storia. Il Vangelo è la novità.

lunedì 16 maggio 2011

illumina ma non costringe


Cristo, so di essere amato per quello che è propriamente mio:
la mia povertà; e sento il bisogno di amare per quanto in proporzione mi venne e mi viene ogni giorno perdonato. 


Credo nell'inestimabile dono della libertà, che illumina ma non costringe.

So di portare dentro la presenza, il fermento di una speranza
che va al di là della brevità della nostra giornata.

Sento che la vita ha un ordine di sacrificio a cui non ci si può rifiutare,
senza sentirsi colpevoli; la vita è un dovere, la vita è un costo,
la vita è un impegno, la vita bisogna guadagnarsela.

(don Primo Mazzolari) 

sabato 30 aprile 2011

continuare a rubare e credermi un galantuomo

L'ideale della giustizia, della verità, della libertà mi affascina facilmente, ma solo quando m'accorgo che c'è qualcuno che paga duramente le mie ingiustizie o le mie menzogne o le mie oppressioni, solo allora io mi sento impegnato. Se dal mio rubare, dal mio inganno o dal mio sopraffare, nessuno ne soffrisse, potrei continuare a rubare e credermi un galantuomo, ingannare e credermi un uomo leale, opprimere e far parte della lega dei diritti dell'uomo.
don Primo Mazzolari

giovedì 21 aprile 2011

le cose dure a farsi, il cuore non vuol comprenderle

È proprio l'aspetto esemplare e quindi impegnativo delle strade percorse dal Maestro che ci indispone e non ci lascia comprendere la sua pasqua. Le cose sublimi si possono capire con l'intelletto: ma le cose dure a farsi, il cuore non vuol comprenderle. Più che l'incapacità della nostra mente, scontiamo la ripugnanza del nostro cuore, che spinge la volontà a serrare la porta, fino a parere insensata.
«O insensati e tardi di cuore a credere! Non sapevate che il Cristo soffrisse queste cose?»Il Signore sa che anche questa «stoltezza» è legata alla nostra condizione umana; una pigrizia che facilmente non si desta, così ogni volta che ci vedremo impegnati per il soffrire di un altro, saremo tentati di negare ogni senso al soffrire e ogni impegno alla pasqua.
Ma è proprio da questo soffrire non capito, da questo oscuro parlare, che veniamo «presi a opra» per il regno di Dio e portati ad assumerne gli impegni.
don Primo Mazzolari

è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito


«Capite quel che vi ho fatto?»
«Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto» (Giovanni 13,15)
Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire. «Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodato. Forse passa per quest'impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla chiesa. Ma se ci tornassi quest'anno con l'animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all'insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare anche contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose: capite voi quello che fate? - Forse non l'avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell'azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito».
Amico caro e lontano, nella mia chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce - il tono dell'indegnità che si confessa - davanti al cenacolo, dopo l'Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé...

Amico lontano e caro, non ti dico: torna anche quest'anno al rito del Mandato. Non ti dico neppure: non chiederti se noi comprendiamo quello che il Cristo ha fatto.
Appunto perché hai l'impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento sia in pericolo di diventare una semplice «forma rituale», io ti scongiuro di non fermarti quest'anno nella navata della tua chiesa, spettatore indeciso e indisposto. Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per «levarti» subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell'Amore che deve cambiare il mondo.
I «capovolgimenti» non si attendono, si fanno. 
«Se sapete queste cose, 
  siete beati se le fate».

  Don Primo Mazzolari Dietro la croce

venerdì 1 aprile 2011

Schiavi di tutte le tirannie degli uomini

Il Getsemani o Frantoio è l’ora cruciale d’un’agonia per nulla paragonabile a quella del deserto.

Il deserto fu la tentazione della mente e dell’orientamento: il Getsemani gli prende il cuore.
Nel calice presentatogli c’è dentro:  il tuo amore non sarà ricambiato; il tuo amore non sarà capito; il
tuo amore sarà rifiutato; il tuo amore sarà crocifisso.
—  Da chi?
— Da me; da tutti.
Dai discepoli che s’addormentano, mentre tu sudi sangue; da colui che poco fa metteva la sua mano nel
tuo piatto; da colui che giurava d’esser pronto a morire per te; da colui che ha riposato sul tuo cuore...
Ognun ti fugge. Ti lascian solo come un lebbroso... Hai la lebbra dell’amore!
—  Da me; da tutti.
Son secoli e secoli che gridiamo contro l’agonizzante: —Non vogliamo che egli regni su di noi.
Schiavi di tutte le tirannie degli uomini piuttosto che «amici dello Sposo».

DON PRIMO MAZZOLARI, Dietro la croce, 41-45
prima edizione: 1942

lunedì 28 marzo 2011

non si sa dove porre il proprio cuore


Ma la fede non esclude lo strazio degli occhi che vedono l’amarezza del calice. «L’anima mia è oppressa da tristezza mortale...

E si gettò con la faccia a terra pregando e dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice»
(Matteo 26,38-39).
Adesso mi par di comprendere qualche cosa.
Il dare è cosa difficile poiché non si sa dove porre il proprio cuore.
Se io rinuncio a star bene per voler bene... son proprio coloro che non mi capiscono o mi capiscono
male, che mi giudicano un ambizioso, un arruffapopolo... Poi m’insultano, mi denunciano, mi
rinnegano, mi condannano, mi crocifiggono...
Vorrei difendermi.
—  È il mio amore, capite. Non colpitemi la faccia. Ecco l’ora delle tenebre: lo scandalo dell’amore. Gesù
è passato nel fondo di questa valle.
DON PRIMO MAZZOLARI, Dietro la croce,

domenica 27 marzo 2011

è ancora più in alto

Eppure, mi fu anche detto, 
e mi pare una gran cosa, 
che quando uno è tranquillo nella propria coscienza
lo stesso soffrire perde molto della sua acerbità.
L’ineffabile della tua agonia, Signore, è ancora più in alto.
don Primo Mazzolari