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domenica 24 giugno 2012

Ho conosciuto


Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare,
il silenzio dei boschi prima che sorga il vento di primavera.
Il silenzio di un grande amore, 
il silenzio di una profonda pace dell'anima
Il silenzio tra padre e figlio
e il silenzio dei vecchi carichi di saggezza
[Edgar Lee Masters]

lunedì 23 gennaio 2012

si nascondono nelle tane del destino


Da ragazzo, Theodore, te ne stavi lunghe ore 
sulla riva del torbido Spoon
a fissare con occhi incavati la tana del gambero, 
in attesa di vederlo, mentre spinge avanti, 
prima le antenne ondeggianti, come festuche, 
e poi subito il corpo, color steatite, 
gemmato con occhi di gaietto.
E ti chiedevi rapito nel pensiero
cosa sapesse, cosa desiderasse, e perché mai vivesse. 
Ma poi il tuo sguardo si volse agli uomini e alle donne
che si nascondono nelle tane del destino in grandi città,
per veder uscire le loro anime, 
e così capire
come vivessero, e per che cosa, 
e perché s'affannassero tanto a strisciare
lungo la strada sabbiosa dove manca l'acqua 
quando l'estate declina.
(Edgar Lee Masters)


“Potete onestamente dire che avete una maniera di vita? Non solo, ma che cosa voi chiamate autenticamente vostro? La casa in cui vivete? Il cibo di cui v’ingozzate? Le vesti che portate? Voi non avete costruito quella casa, non coltivato il cibo, non fatto le vesti. Avete fatto il danaro – e come! – per comprare queste necessità. Qualcun altro le ha fatte per voi. Lo stesso vale per le vostre idee.  Le avete prese già confezionate. Qualcun altro le ha pensate per voi. In quanto a voi, non avete il tempo per pensare, non l’energia, e nemmeno il desiderio. E voi volete obbedienza e rispetto, voi che non siete nulla, voi che non avete mai fatto nulla di vitale…”Henry Miller, Come il colibrì

giovedì 12 gennaio 2012

Cos’è questa storia di dolori e stanchezza, e ira, scontento e speranze cadute?


Lucinda Matlock

Andavo a ballare a Chandlerville,
e giocavo a carte a Winchester.
Una volta ci scambiammo i cavalieri
al ritorno in carrozza sotto la luna di giugno,
e così conobbi Davis.
Ci sposammo e vivemmo insieme settant’anni,
divertendoci, lavorando, crescendo dodici figli,
otto dei quali ci morirono,
prima che arrivassi a sessant’anni.
Filavo, tessevo, tenevo in ordine la casa, assistevo i malati,
curavo il giardino, e alla festa
andavo a zonzo per i campi dove cantavano le allodole,
e lungo lo Spoon River raccogliendo molte conchiglie,
e molti fiori ed erbe medicinali—
gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
e passai a un dolce riposo.
Cos’è questa storia di dolori e stanchezza,
e ira, scontento e speranze cadute?
Figli e figlie degeneri,
la vita è troppo forte per voi—
ci vuole vita per amare la Vita.

(Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River)

mercoledì 5 ottobre 2011

bramavo sempre di dare un senso alla vita


Dare un senso alla vita

Ho osservato tante volte il marmo che mi hanno scolpito – una nave alla fonda con la vela ammainata. In realtà non rappresenta il mio approdo ma la mia vita.
Perché l’amore mi fu offerto ma fuggii le sue lusinghe;
il dolore bussò alla mia porta ma ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma paventai i rischi.
Eppure bramavo sempre di dare un senso alla vita.
Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave.
Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vago desiderio – è una nave che anela al mare ardentemente ma ha paura.


[Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, "George Gray"]

sabato 30 luglio 2011

Noi siamo senza voce di fronte alla realtà


Ho conosciuto il silenzio
delle stelle e del mare
e il silenzio della città quando si placa,
e il silenzio di un uomo e di una vergine
e il silenzio per cui soltanto la musica trova linguaggio,
il silenzio dei boschi prima che
sorga il vento di primavera
e il silenzio dei malati
quando girano gli occhi per la stanza.
E chiedo: “Per le cose profonde a cosa serve il linguaggio?”
Un animale nei campi geme una o due volte
quando la morte coglie i suoi piccoli.
Noi siamo senza voce di fronte alla realtà,
noi non sappiamo parlare.

Un ragazzo curioso domanda a un vecchio soldato
seduto davanti alla drogheria: “Dove hai perduto la gamba?”
Il vecchio soldato è colpito di silenzio.
E poi gli dice: “Me l’ha mangiata un orso”.
Il ragazzo stupisce mentre il vecchio soldato muto
rivive come in un sogno i lampi del fucile, il tuo del cannone,
le grida dei colpiti a morte e se stesso disteso al suolo,
i chirurghi dell’ospedale, i ferri, i lunghi giorni di letto.
Ma se sapesse descrivere ogni cosa, sarebbe un artista.
Ma se fosse un artista, vi sarebbero più profonde ferite
che non sarebbe descrivere.

C’è il silenzio di un grande odio e il silenzio di un grande amore,
e il silenzio di una profonda pace dell’anima,
c’è il silenzio degli dei che si capiscono senza linguaggio.
C’è il silenzio della sconfitta,
il silenzio di coloro che sono ingiustamente puniti
e il silenzio del morente la cui mano stringe subitamente la vostra.
C’è il silenzio che interviene tra la moglie e il marito.
C’è il silenzio dei falliti.
Il vasto silenzio che copre le nazioni disfatte e i condottieri vinti
C’è il silenzio di Lincoln che pensa alla povertà della sua giovinezza
e il silenzio di Napoleone dopo Waterloo
e il silenzio di Giovanna d’Arco che dice tra le fiamme: “Gesù benedetto!”
e c’è il silenzio dei morti.

Se noi che siamo vivi,
non sappiamo parlare di profonde esperienze,
perché vi stupite che i morti non vi parlino dopo la morte?
Il loro silenzio avrà spiegazione?
Quando li avremo raggiunti.
Qui

Edgar Lee Masters "Il silenzio"