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lunedì 19 dicembre 2011

non potrai essere falso con gli altri

Tutti ti valutano per quello che appari. Pochi comprendono quel che tu sei”.Niccolò Macchiavelli

 ’L’ ASINO VESTITO DA DEL LEONE’
Un asino aveva trovato la pelle di un leone e dopo essersela mess addosso.andava attorno seminando il terrore fra tutte le bestie che lo prendevano per un leone.
Ad un certo punto incontrò una volpe e volle provare a far paura anche a lei.

Come si sa la volpe è nota per la sua furbizia e non si lascia abbindolare con facilità. Quella volpe ,che per caso aveva già sentito la  voce dell’asino un’altra volta, gli disse: - Sta’ pur sicuro che, se non ti avessi mai sentito ragliare, avresti fatto paura anche a me. -

Cosa insegna questa favola?
Che è facile recitare la parte di qualcun altro ma le persone vicine o quelle che riescono a vedere al di là della ‘parte’ si accorgeranno subito che è tutta apparenza

La reputazione è ciò che la gente pensa che tu siaCome ti vedono gli altri? La personalità è ciò  che sembri esserequali sono i punti di forza sui quali far leva per costruire il tuo branding?
Il carattere è ciò che sei veramentequesto è la radice del tuo branding
I tuoi obiettivi dovrebbero fondere le  linee fra le 3 cosefinché arriveranno ad essere una.Cosa significa questo?
Vivere la tua vita partendo dal tuo interno verso l’esterno.Se vivi la tua vita dando importanza all’esterno allora l’apparenza sarà la cosa più importante
Quello che gli altri pensano di te diventerà il tuo principio guida.
Questo significa che la tua immagine e la tua autostima è fuori dal tuo controllo

Sii fedele a te stesso, ne conseguirà come la notte al giorno, che non potrai essere falso con gli altri.
[W Shakespeare  "Amleto"]

venerdì 4 marzo 2011

pazienza e verità


Gli uomini santi, pur se torchiati dalle prove, sanno sopportare chi li percuote e, nello stesso tempo, tener fronte a chi li vuole trascinare nell’errore.
Contro quelli alzano lo scudo della pazienza, contro questi impugnano le armi della verità. Abbinano così i due metodi di lotta ricorrendo all’arte veramente insuperabile della fortezza.
All’interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l’insegnamento illuminato, all’esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione.

Correggono gli uni ammaestrandoli, sconfiggono gli altri sopportandoli. Con la pazienza si sentono più forti contro i nemici, con la carità sono più idonei a curare le anime ferite dal male.
A quelli oppongono resistenza perché non facciano deviare anche gli altri.
Seguono questi con timore e preoccupazione perché non abbandonino del tutto la via della rettitudine.
Consideriamo quanta fatica sia sopportare al medesimo tempo le avversità all’esterno e difendersi allo interno contro le proprie debolezze.
Dal "Commento sul Libro di Giobbe" di S. Gregorio Magno

sabato 1 maggio 2010

«Far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la mia luce, ma quella di Cristo».

È approdato a Malta con la barca della Chiesa in piena burrasca. E si è trovato salvato da un folla straripante e festante. L'enigma del pontificato di Benedetto XVI è anche qui. I suoi 14 viaggi all'estero hanno sempre capovolto le fosche previsioni di ogni vigilia...
L'enigma di papa Benedetto è che egli è attaccato proprio dove i fatti gli danno ragione...
E oggi che tanti gli tirano pietre, è di nuovo lui a predicare alla Chiesa che non basta rimettere tutto alla giustizia terrena, perché il proprio della Chiesa è l'ordine della grazia, che va al di là della legge, e significa «fare penitenza, riconoscere ciò che si è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare». Non si ricorda nessun papa che nell'età moderna abbia messo un'intera Chiesa nazionale in stato di penitenza pubblica per i suoi peccati, come ha fatto Benedetto XVI con la Chiesa d'Irlanda. Il mite papa Benedetto passerà alla storia per parole e atti di grande audacia.
Benedetto XVI è un grande "illuminista" in un'epoca in cui la verità ha pochi estimatori e il dubbio la fa da padrone. All'uomo moderno egli chiede di aprire gli spazi della ragione, non di rinchiuderla nei soli dati misurati dalla scienza. È sua l'idea di aprire un «cortile dei Gentili», dove tutti possano incontrarsi sotto l'ombra di Dio, anche chi non lo conosce. È sua la proposta agli uomini del nostro tempo di «vivere come se Dio ci fosse», perché da questa scommessa, come disse Pascal, c'è solo tutto da guadagnare e niente da perdere...
n mese fa, in una udienza del mercoledì ai pellegrini, Benedetto XVI paragonò l'ora presente della Chiesa a quella dopo san Francesco. Anche allora c'erano nella cristianità correnti che invocavano una « età dello Spirito», una nuova Chiesa senza più gerarchia né dogmi. Oggi qualcosa di simile avviene quando, sull'onda di accuse che pretendono di travolgere tutto, si invoca un Concilio Vaticano li che sia «nuovo inizio e rottura». Poi, stringi stringi, il programma dell'immaginario Concilio si riduce al1'abolizione del celibato del clero, al sacerdozio per le donne, alla liberalizzazione della morale sessuale e a più democrazia nel governo della Chiesa. Le stesse cose che, attuate in alcune Chiese protestanti, non ne hanno prodotto rigenerazione alcuna. Anzi, come si vede nella Comunione anglicana, hanno piuttosto generato robuste correnti di migrazione verso la Chiesa di Roma, come al solo porto sicuro. All'utopia spiritualista che si risolve in anarchia, papa Benedetto oppone un arte di governo della barca di Pietro che è «pensiero illuminato dalla preghiera». A un mondo di povera fede, parla di Dio e di Gesù. Perché nient'altro che questo disse di voler fare, quando fu eletto papa: «Far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la mia luce, ma quella di Cristo».Enigma Benedetto di Sandro Magister

Dio quando chiude una porta, apre un portone

noi cerchiamo la verità. Solo essa libera dalle tenebre e dalla disperazione.
Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. (atti 13)
Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli (Gv 8,31)
"Verità" è un termine chiave. Per lo spirito profano evoca una formula, una teoria, una cosa dello spirito, insomma, e, soprattutto, qualche cosa che si possiede. Cristo rovescia questa concezione della "verità", rifiutandola in quanto superficiale. Egli non dice: "Io ho", ma "Io sono": "Io sono la verità".
In prospettiva puramente umana, una disgrazia rimane semplicemente tale; un imprevisto increscioso è letto come un incidente di percorso, da attribuirsi al fato avverso. In ottica di fede, anche gli avvenimenti tristi possono essere letti in modo diverso. Il Manzoni, facendo una sintesi del messaggio di fondo del suo romanzo, afferma che Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una di più certa e grande. Sarebbe semplicistico e contro l'intenzione dell'autore, riferire la frase solo alla beatitudine del paradiso. La sofferenza, secondo Dio, ha lo scopo di aumentare la gioia anche su questa terra; infatti l'amore umano di Renzo e Lucia è più forte, più gioioso e più maturo, dopo le traversie che i due personaggi hanno dovuto sopportare. Dio, pure a noi, quando chiude una porta, apre un portone. La cosa importante è che, ogni volta che ci capita , ci rendiamo conto che è Dio a chiudere la porta e non un fato cieco; che prendiamo atto contemporaneamente del portone spalancatosi davanti a noi, sempre a opera di Dio. Se non ci comportiamo in questo modo, è inevitabile che soffriamo di mortale claustrofobia.
Molti non credenti sarebbero agevolati a intraprendere un cammino di fede, se noi cristiani fossimo in grado di mostrare loro quel Padre, al quale l'itinerario tende a condurli.
Non ci rimane che la via delle opere, indicata da Gesù stesso ai discepoli. Dio è amore; manifestarlo, significa rendere visibile l'amore divino.
Più noi siamo caritatevoli, più incarniamo Dio in noi e nelle nostre opere, e più veniamo incontro alla richiesta di Dio, avanzata dagli uomini smarriti del nostro tempo. Più viviamo egoisticamente la nostra esistenza, e più deludiamo le loro aspettative, e impediamo loro di conoscere Dio.

venerdì 23 aprile 2010

Perchè c'è una verità, e l'obbligo verso di essa

"Bisogna dare battaglia perché Dio doni la vittoria"
Giovanna D'Arco

Quando parli, discuti con qualcuno, può capitare che la tua tesi venga fraintesa. Certo, succede.
Può anche capitare che, in base a quella tesi fraintesa, tu venga attaccato. Anche pesantemente. Magari insultato. O persino minacciato.

Può capitare che tu, dopo un po', ti renda conto che in realtà ai tuoi accusatori non importa molto quello che dici, della giustezza delle tue affermazioni, delle prove che porti. Neanche le considerano, anzi.

Sembra importare molto di più quello che sei; quello che rappresenti. E quindi cercano di intimorirti per costringerti a ritirarti. In maniera da averla vinta. Screditarti. Eliminarti. Toglierti dai piedi. Definitivamente.

E ciò è più importante della verità. Secondaria, la verità. Ininfluente. Se fosse vera verità, sarebbe dalla nostra parte, questo è il ragionamento. Se pure v'è un ragionamento.

Se non c'è violenza fisica, non ancora, è perchè manca l'opportunità.

Ma non ci si può ritirare. Perchè c'è una verità, e l'obbligo verso di essa; e se non andiamo noi, chi lo farà al posto nostro?

Il libro essenziale, il solo libro vero, un grande scrittore non deve, nel senso corrente, inventarlo, poiché esiste già in ciascuno di noi, ma tradurlo. Il dovere e il compito di uno scrittore sono quelli di un traduttore.

Marcel Proust, Il tempo ritrovato