Io ho creduto, umilmente e ingenuamente, che il gran problema del rapporto tra il clero e il laicato potesse essere affrontato e in parte risolto, attraverso un cambiamento radicale del clero. Abbreviarne le distanze, cancellare le differenze, spazzar via i privilegi, camminare sulla stessa strada, essere uguali o meglio ancora sotto i piedi di tutti, essere gli ultimi, senza diritti e solo con infiniti doveri… non essere più preti, clero, mondo ecclesiastico, ma semplicemente degli accattoni della bontà altrui, dei coinvolti e possibilmente dei travolti dalle lotte per la libertà, la giustizia, la testimonianza di una alternativa che si chiama Regno di Dio al regno degli uomini...
Il mio racconto, insignificante ma chiarissimo di Fede e di Amore alla Chiesa. L’essere operaio ha voluto dir questo, prima di qualsiasi altra cosa: togliere via una qualificazione, quella di essere prete eppur rimanere serenamente prete, uomo di Dio, fratello universale. Come lasciar cadere una maschera, un paludamento, una “divisa” e ritrovarmi, come solo, io, allo scoperto, con tutta la mia Fede e quella misteriosa carica di Amore fraterno, appassionata e inesauribile. Il racconto può essere, è lungo quanto tutta la mia vita sacerdotale e il raccontarlo richiederebbe lunghe serate intorno al caminetto come nelle novelle del nonno. Lo so che non è stato accettato durante l’avventura e tanto meno può essere gradito il racconto “quando ormai si fa sera” e non solo individualmente, ma anche nella Chiesa. Allora i Sinodi per dibattere la spinosa questione del clero e del laicato: ma è perché tutto rimanga e si solidifichi così: il clero, il clero e i laici, laici. E cioè come dire: amici e nemici. Potere e servizio. Autorità e popolo. Il monumento e il piedistallo. Il carro e chi sta sul carro e guida l’asino che rassegnatamente da millenni tira il carro e tutti coloro (sono tanti) che vi stanno comodamente adagiati. (Sirio Politi, Un’utopia per la Chiesa).
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