martedì 9 luglio 2013

un rumore di fondo continuo nel quale si va progressivamente perdendo la capacità di stare in silenzio, di rispettare l’altrui silenzio e, in ultima analisi, di ascoltare.

Di fronte al mistero della sofferenza
La sacra inutilità
del silenzio

di Ferdinando Cancelli
Il medico che accompagna un malato giunto ai suoi ultimi giorni di vita
si confronta spesso con una dimensione quasi perduta nella nostra società:
il silenzio.
Chiusa la porta della stanza,
soli di fronte al mistero della vita
che si trasforma attraversando quello della sofferenza,
non si può fare a meno di sentirsi
come calati in un’atmosfera diversa,
di avvertirne quasi il palpitare.

Eppure, scrive il medico e filosofo Max Picard,
«oggi vale soltanto ciò che è contenuto nel brusio, solo ciò che in esso accade»,
a tal punto che,
per usare le parole di Kierkegaard,
«gli individui amanti della solitudine e del silenzio
sono classificati insieme ai delinquenti»
o perlomeno guardati con molto sospetto.
< Viviamo in un mondo nel quale
— scrive Silvano Zucal rifacendosi a Picard —
«sembra ormai dominare soltanto il puro brusio verbale (Wortgeräusch),
ovvero una parola ormai uccisa»,
come un rumore di fondo continuo
nel quale si va progressivamente perdendo la capacità
di stare in silenzio,
di rispettare l’altrui silenzio
e, in ultima analisi, di ascoltare.
L’ascolto, quello dell’orecchio e quello del cuore,
è secondo Zucal
«una virtù sconosciuta (…),
assolutamente trasgressiva
perché va a incidere su una società per lo più abitata
da inascoltanti a tutti i livelli (…) narcisisti e replicanti
che parlano sempre e non ascoltano mai».
Se si perde la dimensione del silenzio
non si è più capaci di dare peso alle parole,
non si riesce più ad ascoltare l’uomo,
specie quando quest’ultimo è malato
e non ha più la forza di imporre a nessuno il proprio discorso e le proprie ragioni.
E così se, come diceva Pier Paolo Pasolini,
«la morte non consiste nel non poter più comunicare
ma nel non potere più essere compresi»,
il malato muore davvero,
relegato in un angolo nel quale,
incompreso,
sarà considerato solo un fardello inutile.
È interessante notare a questo proposito la radice comune
tra perdita del silenzio
e perdita dell’uomo tout court:
la categoria che Picard riferisce positivamente al silenzio,
«senza utilità»,
cioè «totalmente estraneo al mondo dell’utile»,
è la stessa che finisce, negativamente,
per essere applicata al malato morente, in coma,
in stato vegetativo o al figlio in grembo non desiderato
perché magari malformato.
La soluzione eutanasica o abortista
è spesso proprio figlia della perdita della capacità
di ascoltare gli altri e prima ancora se stessi,
dello stordimento mediatico
che insinua conoscenze superficiali vendute come verità
e «pressate negli uomini come una materia qualsiasi in vuoti barattoli» (Picard).
Eppure, misteriosamente, nel silenzio o di fronte all’uomo ferito,
a chi ascolta pare di sentire una voce nuova:
«Proprio dal silenzio promanano più aiuto
e più prosperità che da tutto quanto è utile.
Esso, l’inutile,
si pone accanto a ciò che è fin troppo utile,
appare improvvisamente al suo fianco e
spaventa per la sua assoluta mancanza di scopo,
interrompe il flusso e la corsa di ciò che è fin troppo utile».
Quasi come un atto liturgico o un uomo inchiodato dalla malattia
«il silenzio — continua Picard —
rafforza ciò che vi è d’intangibile o di inviolabile nelle cose,
attenua il danno che lo sfruttamento arreca alle cose,
le restituisce nella loro integrità (…)
poiché proprio questo è il silenzio:
sacra inutilità».
O, come ha scritto don Giuseppe Dossetti,
L’uomo non mette alla prova il silenzio,
ma è quest’ultimo a mettere alla prova l’uomo.«puro dono di Dio».



(©L'Osservatore Romano 7 luglio 2012)

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