Dio mio, ti ringrazio perché mi hai creato così come sono. Ti ringrazio perché a volte posso essere così colma di vastità, quella vastità che non è poi nient’altro che il mio essere ricolma di te. Ti prometto che tutta la mia vita sarà un tendere verso quella bella armonia e anche verso quell’umiltà e quel vero amore di cui mi sento capace nei miei momenti migliori. S. dice che in quei momenti noi siamo in contatto diretto con le forze creative e cosmiche che operano in ogni persona e dice che in definitiva quelle forze creatrici sono parte di Dio e si dovrebbe avere il coraggio di dirlo. (Etty Hillesum)
sabato 19 novembre 2011
venerdì 18 novembre 2011
prima cosa scartare
Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere. Poi occorre saper semplificare, ridurre all'essenziale l'enorme numero d'elementi che ad ogni secondo la città mette sotto gli occhi di chi la guarda, e collegare i frammenti sparsi in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma d'una macchina, dal quale si possa capire come funziona...
(Italo Calvino)
giovedì 17 novembre 2011
Come si alzerebbe l’uomo al mattino
ELOGIO DELLA DIMENTICANZA
Buona cosa è la dimenticanza!
Altrimenti come farebbe
il figlio ad allontanarsi dalle madre che lo ha allattato?
Che gli ha dato le forza delle membra
e lo trattiene per metterle alla prova?
Oppure come farebbe l’allievo ad abbandonare il maestro
che gli ha dato il sapere?
Quando il sapere è dato
l’allievo deve mettersi in cammino.
Nella casa vecchia
prendono alloggio i nuovi inquilini.
Se vi fossero rimasti quelli che l’hanno costruita
la casa sarebbe troppo piccola.
La stufa riscalda. Il fumista
non si sa più chi sia. L’aratore
non riconosce la forma di pane.
Come si alzerebbe l’uomo al mattino
senza l’oblio della notte cancella le tracce?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe risollevarsi la settima
per rivoltare il suolo pietroso,
per rischiare il volo nel cielo?
La fragilità della memoria
dà forza agli uomini.
da “Poesie” di Bertolt Brecht
Buona cosa è la dimenticanza!
Altrimenti come farebbe
il figlio ad allontanarsi dalle madre che lo ha allattato?
Che gli ha dato le forza delle membra
e lo trattiene per metterle alla prova?
Oppure come farebbe l’allievo ad abbandonare il maestro
che gli ha dato il sapere?
Quando il sapere è dato
l’allievo deve mettersi in cammino.
Nella casa vecchia
prendono alloggio i nuovi inquilini.
Se vi fossero rimasti quelli che l’hanno costruita
la casa sarebbe troppo piccola.
La stufa riscalda. Il fumista
non si sa più chi sia. L’aratore
non riconosce la forma di pane.
Come si alzerebbe l’uomo al mattino
senza l’oblio della notte cancella le tracce?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe risollevarsi la settima
per rivoltare il suolo pietroso,
per rischiare il volo nel cielo?
La fragilità della memoria
dà forza agli uomini.
da “Poesie” di Bertolt Brecht
mercoledì 16 novembre 2011
austero senza tristezza
Aiutami, Signore mio Dio,
ad essere obbediente senza ripugnanza,
povero senza rammarico, casto senza presunzione,
aiutami, Signore mio Dio,
ad essere paziente senza mormorazione,
umile senza finzione, giocondo senza dissipazione,
aiutami, Signore mio Dio,
ad essere austero senza tristezza,
prudente senza fastidio, pronto senza vanità,
aiutami, Signore mio Dio,
ad essere timoroso senza sfiducia,
veritiero senza doppiezza, benefico senza arroganza,
in modo che senza superbia corregga i miei fratelli,
e senza simulazione li edifichi con le parole e con l’esempio.
SAN TOMMASO D’AQUINO.
illudere che è poco, la vita
Non vi lasciate sedurre:
non esiste ritorno.
Il giorno sta alle porte,
già è qui il vento di notte.
Altro mattino non verrà.
non esiste ritorno.
Il giorno sta alle porte,
già è qui il vento di notte.
Altro mattino non verrà.
Non vi lasciate illudere
che è poco, la vita.
Non bevete a gran sorsi,
non vi sarà bastata
quando dovrete perderla.
che è poco, la vita.
Non bevete a gran sorsi,
non vi sarà bastata
quando dovrete perderla.
Non vi date conforto:
vi resta poco tempo.
Chi è disfatto, marcisce?
La vita è la più grande:
Qualcosa di più sarà ancora vostro.
vi resta poco tempo.
Chi è disfatto, marcisce?
La vita è la più grande:
Qualcosa di più sarà ancora vostro.
Non vi fate sedurre
da schiavitù e da piaghe.
Voi non morirete con tutte le bestie
e non c'è il nulla, dopo.
da schiavitù e da piaghe.
Voi non morirete con tutte le bestie
e non c'è il nulla, dopo.
Hans Kung
(parafrasi di una poesia di Bertolt Brecht, in Vita eterna?)
martedì 15 novembre 2011
terribile allo stesso tempo
Da "Dalla paura all'amore, riflessioni quaresimali sulla parabola del figlio prodigo, H.J.M. Nouwen, Queriniana":
"Noi siamo nati per amare, ma non siamo capaci di amare in maniera incondizionata. E' meraviglioso ed è terribile allo stesso tempo. Cresci grazie a questo nello stesso tempo per questo soffri. La cosa più importante è che tu cerchi di accogliere e di integrare questo mistero meraviglioso e incredibile: tu sei stato messo in contatto con l'"amore preveniente" di Dio attraverso canali che sono stati spezzati, e mediante le tue ferite hai potuto avere accesso all'esperienza dell'"amore primo, preveniente". "Beati i poveri" comincia ad acquistare un senso in questo contesto".
lunedì 14 novembre 2011
Il Signore ti circonda col suo amore
Il Signore
ti vede nei tuoi giorni di gioia e di tristezza,
si emoziona per le tue speranze e le tue tentazioni.
Il Signore
è partecipe di tutte le tue angosce e dei tuoi ricordi,
presente agli alti e bassi del tuo umore.
Il Signore
ha veramente contato i capelli del tuo capo,
conosce ogni dettaglio del tuo vivere.
Il Signore
ti circonda col suo amore e ti porta tra le sue braccia,
ti solleva da terra e ti porta sul cuore.
Il Signore
ascolta la tua voce e sente i battiti del tuo cuore,
percepisce il soffio del tuo respiro.
Il Signore
ti ama meglio di quanto tu possa amare te stesso!
John Henry Newman
ti vede nei tuoi giorni di gioia e di tristezza,
si emoziona per le tue speranze e le tue tentazioni.
Il Signore
è partecipe di tutte le tue angosce e dei tuoi ricordi,
presente agli alti e bassi del tuo umore.
Il Signore
ha veramente contato i capelli del tuo capo,
conosce ogni dettaglio del tuo vivere.
Il Signore
ti circonda col suo amore e ti porta tra le sue braccia,
ti solleva da terra e ti porta sul cuore.
Il Signore
ascolta la tua voce e sente i battiti del tuo cuore,
percepisce il soffio del tuo respiro.
Il Signore
ti ama meglio di quanto tu possa amare te stesso!
John Henry Newman
domenica 13 novembre 2011
C’è bisogno di memoria, c’è bisogno di pensare c’è bisogno di coraggio, c’è bisogno di sognare.
C’è bisogno di silenzio, c’è bisogno di ascoltare
c’è bisogno di un motore che sia in grado di volare.
C’è bisogno di sentire, c’è bisogno di capire
c’è bisogno di dolori che non lasciano dormire.
C’è bisogno di qualcosa, c’è bisogno di qualcuno
c’è bisogno di parole che non dice mai nessuno.
C’è bisogno di fermarsi, c’è bisogno di aspettare
c’è bisogno di una mano per poter ricominciare.
C’è bisogno di domande, c’è bisogno di risposte
c’è bisogno di sapere cose sempre più nascoste.
C’è bisogno di domani, c’è bisogno di futuro
c’è bisogno di ragazzi che sono al di là del muro.
C’è bisogno di un amore vero
c’è bisogno di un amore grande
c’è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo sempre più distante.
C’è bisogno di silenzio, c’è bisogno di ascoltare,
c’è bisogno di un motore che sia in grado...
...che non dice mai nessuno.
C’è bisogno di un amore vero
c’è bisogno di un amore immenso
c’è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo che ritrovi senso.
Oh...
Abbiamo visto cose nuove
abbiamo fatto tanta strada
ma il mondo che verrà domani
resta un’impresa da titani.
Siamo tutti adesso importanti
siamo tutti un po’ più attori
in questi grandi lavori in corso.
C’è bisogno di un amore vero
c’è bisogno di un amore grande
c’è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo sempre più distante.
C’è bisogno di un amore vero
c’è bisogno di un amore “amore”
c’è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo che abbia più colore.
C’è bisogno di memoria, c’è bisogno di pensare
c’è bisogno di coraggio, c’è bisogno di sognare.
Dio qualche volta può aver voglia di divertirsi
Santi, il miracolo del quotidiano
Anticipiamo qui sotto l'intervista ad Antonio Sicari a firma di Roberto Beretta in uscita sul numero di novembre del mensile di apologetica Il Timone.
Fare l’agiografia. Come modo di dire non è un gran complimento, visto che nel linguaggio comune significa cantare le glorie di qualcuno come se fosse senza difetti e comunque con scarso spirito critico... Eppure padre Antonio Sicari è riuscito nell’intento di essere agiografo senza perciò perdere la dignità e nemmeno la statura di studioso, anzi acquistando un’ottima fama come autore di vite dei santi (pubblicate da Jaca Book in una serie di successo giunta ormai al dodicesimo volume): oltre un centinaio di storie, da san Giuseppe al martire polacco padre Jerzy Popieluszko. Merito della capacità del sacerdote carmelitano nel ricostruire le vicende dei personaggi, certamente, ma anche di un chiarissimo quadro di riferimento teologico, che non dimentica mai quali siano le vere radici del culto dei santi.
Allora, padre: se già abbiamo la Trinità, Gesù Cristo e magari anche la Madonna, a che servono anche tutte queste aureole nel cattolicesimo?
La domanda suppone che i santi esistano perché noi li facciamo tali, ma invece non è affatto così: i santi esistono perché Dio ce li dona. I santi sono un regalo, un avvenimento del cristianesimo; noi dobbiamo accettarli, e semmai chiederci perché accade questo fenomeno.
E qual è la sua spiegazione in merito?
Ammettendo come prima cosa che c’è un solo santo, Dio e suo figlio Gesù, santo è tutto ciò che appartiene a Cristo. Santi sono i suoi doni, la sua parola, i sacramenti, e anche le persone che gli appartengono in modo particolare perché hanno vissuto con lui un rapporto speciale. La santità non è dunque frutto dell’eccellenza di alcune persone che si sono proposte di essere eroiche o di raggiungere certe vette ascetiche; ma è semplicemente essere cristiani (ricordo che all’inizio della Chiesa tutti i fedeli si chiamavano tra loro “i santi”), essere amici di Cristo, avere risposto alla sua grazia. È sempre qui che ha origine il valore della mediazione dei santi: tutte le strade tra terra e cielo si incrociano nella persona di Gesù e quindi tutti coloro che gli sono vicini possono esercitare in parte questa mediazione. Certo, poi a ciò si aggiunge il fatto che i santi in genere hanno dato grandi esempi o impartito insegnamenti importanti, hanno compiuto opere di carità e fondato istituzioni benefiche. Però il fondamento rimane lo stesso: essere santi significa conformarsi a Gesù, e il nostro culto dei santi è essenzialmente un tentativo per imparare ad essere come lui.
Dunque non è importante tanto lo “straordinario”, il miracolo, le stigmate, la manifestazione eccezionale...
Nella lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II (anche lui un beato...) scriveva che il problema della pastorale cristiana è riportare tutto alla santità. Che non è – ripeto - la riuscita eccezionale, bensì una vita cristiana compiuta nella sua pienezza. Dire santo e dire uomo realizzato, per un cristiano dev’essere la stessa cosa. Ma, se tutti abbiamo questa vocazione (questo è il senso e l’origine della comunione dei santi), bisogna poi ammettere che esiste la particolare santità canonica, ovvero “regolata” secondo alcuni canoni, di coloro che vengono indicati dalla Chiesa come modelli o paradigmi perché possiamo imparare da loro; sul piedestallo dell’altare sta l’immagine di quello che io devo essere.
Ripeto: dunque i miracoli o le grazie non sono così fondamentali?
I fenomeni mistici come le visioni, le rivelazioni, le stigmate – cito il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2014) – sono grazie straordinarie date ad alcuni con lo scopo di rendere manifesto il dono fatto a tutti. I miracoli hanno il compito di portare in superficie quello che è per tutti, così come le rivelazioni sono la manifestazione di ciò che è detto per tutti. Le stigmate? Sono un segno dell’amore di Dio che si imprime talmente nella persona fino a risalire alla pelle del suo essere; e Dio le concede per mostrare che si può amarlo a tal punto che le sofferenze di Cristo si stampano sul corpo di un uomo. Certo, per molte persone questi aspetti meravigliosi sono sorprendenti, curiosi, e per qualcuno costituiscono un elemento di attrazione un po’ magica; ma in realtà i miracoli Dio li fa come e quando vuole e anche chi guarisce prodigiosamente poi torna ad ammalarsi e muore... Voglio dire che ancora una volta il miracolo è uno solo: la resurrezione di Cristo. Dio può decidere che qualcosa di quella resurrezione venga anticipato in modo misterioso in un fatto o in una persona particolare, ma sempre perché si ponga in risalto il significato di Cristo risorto.
Non possiamo però dire che questa sia l’interpretazione corrente nella devozione popolare, o anche nella catechesi...
Questo è un guaio. Dovremmo essere capaci di affrontare ogni frammento nel tutto che da essi è composto; sennò ciascuno si innamora del suo pezzettino e pensa che sia la totalità. Come diceva il teologo Hans Urs von Balthasar: dobbiamo imparare a guardare la totalità del disegno di Dio, solo allora i frammenti diventano preziosi, altrimenti rimangono distraenti. Tutto va messo in questo rapporto, nella pastorale come nella catechesi; non sempre con la gente si può fare teologia, d’accordo, ma si deve cercare di ricondurre ogni cosa al suo senso profondo. Per esempio, si può parlare della liquefazione del sangue di san Gennaro, discuterne con argomenti scientifici o religiosi, però il suo unico senso è dire che quell’uomo ha dato il sangue per Cristo; punto e basta. Diceva ancora von Balthasar: i santi sono fessure aperte su Dio.
Ci dia però qualche consiglio pratico.
Anzitutto, nel ritratto dei santi cerchiamo di esaminare con cura la storia personale, l’ambiente, la cultura, per scoprire che cosa Dio davvero chiedeva a quell’uomo o a quella donna e vedere qual è stata la risposta. Non si deve affermare niente che non rimandi alla persona di Gesù. Non bisogna impadronirsi di nulla che non aiuti a dire: ciò che importa è Cristo. È come un innamoramento: nell’ambito di questo attaccamento tra persone, ogni cosa e il mondo stesso acquistano nuovo significato. Poi non lasciamoci troppo impressionare dai fenomeni eccezionali: come diceva Chesterton, anche Dio qualche volta può aver voglia di divertirsi, magari facendo qualcosa che fatichiamo a comprendere...http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-santi-il-miracolo-del-quotidiano-3494.htm
di Roberto Beretta
01-11-2011
Anticipiamo qui sotto l'intervista ad Antonio Sicari a firma di Roberto Beretta in uscita sul numero di novembre del mensile di apologetica Il Timone.
Fare l’agiografia. Come modo di dire non è un gran complimento, visto che nel linguaggio comune significa cantare le glorie di qualcuno come se fosse senza difetti e comunque con scarso spirito critico... Eppure padre Antonio Sicari è riuscito nell’intento di essere agiografo senza perciò perdere la dignità e nemmeno la statura di studioso, anzi acquistando un’ottima fama come autore di vite dei santi (pubblicate da Jaca Book in una serie di successo giunta ormai al dodicesimo volume): oltre un centinaio di storie, da san Giuseppe al martire polacco padre Jerzy Popieluszko. Merito della capacità del sacerdote carmelitano nel ricostruire le vicende dei personaggi, certamente, ma anche di un chiarissimo quadro di riferimento teologico, che non dimentica mai quali siano le vere radici del culto dei santi.
Allora, padre: se già abbiamo la Trinità, Gesù Cristo e magari anche la Madonna, a che servono anche tutte queste aureole nel cattolicesimo?
La domanda suppone che i santi esistano perché noi li facciamo tali, ma invece non è affatto così: i santi esistono perché Dio ce li dona. I santi sono un regalo, un avvenimento del cristianesimo; noi dobbiamo accettarli, e semmai chiederci perché accade questo fenomeno.
E qual è la sua spiegazione in merito?
Ammettendo come prima cosa che c’è un solo santo, Dio e suo figlio Gesù, santo è tutto ciò che appartiene a Cristo. Santi sono i suoi doni, la sua parola, i sacramenti, e anche le persone che gli appartengono in modo particolare perché hanno vissuto con lui un rapporto speciale. La santità non è dunque frutto dell’eccellenza di alcune persone che si sono proposte di essere eroiche o di raggiungere certe vette ascetiche; ma è semplicemente essere cristiani (ricordo che all’inizio della Chiesa tutti i fedeli si chiamavano tra loro “i santi”), essere amici di Cristo, avere risposto alla sua grazia. È sempre qui che ha origine il valore della mediazione dei santi: tutte le strade tra terra e cielo si incrociano nella persona di Gesù e quindi tutti coloro che gli sono vicini possono esercitare in parte questa mediazione. Certo, poi a ciò si aggiunge il fatto che i santi in genere hanno dato grandi esempi o impartito insegnamenti importanti, hanno compiuto opere di carità e fondato istituzioni benefiche. Però il fondamento rimane lo stesso: essere santi significa conformarsi a Gesù, e il nostro culto dei santi è essenzialmente un tentativo per imparare ad essere come lui.
Dunque non è importante tanto lo “straordinario”, il miracolo, le stigmate, la manifestazione eccezionale...
Nella lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II (anche lui un beato...) scriveva che il problema della pastorale cristiana è riportare tutto alla santità. Che non è – ripeto - la riuscita eccezionale, bensì una vita cristiana compiuta nella sua pienezza. Dire santo e dire uomo realizzato, per un cristiano dev’essere la stessa cosa. Ma, se tutti abbiamo questa vocazione (questo è il senso e l’origine della comunione dei santi), bisogna poi ammettere che esiste la particolare santità canonica, ovvero “regolata” secondo alcuni canoni, di coloro che vengono indicati dalla Chiesa come modelli o paradigmi perché possiamo imparare da loro; sul piedestallo dell’altare sta l’immagine di quello che io devo essere.
Ripeto: dunque i miracoli o le grazie non sono così fondamentali?
I fenomeni mistici come le visioni, le rivelazioni, le stigmate – cito il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2014) – sono grazie straordinarie date ad alcuni con lo scopo di rendere manifesto il dono fatto a tutti. I miracoli hanno il compito di portare in superficie quello che è per tutti, così come le rivelazioni sono la manifestazione di ciò che è detto per tutti. Le stigmate? Sono un segno dell’amore di Dio che si imprime talmente nella persona fino a risalire alla pelle del suo essere; e Dio le concede per mostrare che si può amarlo a tal punto che le sofferenze di Cristo si stampano sul corpo di un uomo. Certo, per molte persone questi aspetti meravigliosi sono sorprendenti, curiosi, e per qualcuno costituiscono un elemento di attrazione un po’ magica; ma in realtà i miracoli Dio li fa come e quando vuole e anche chi guarisce prodigiosamente poi torna ad ammalarsi e muore... Voglio dire che ancora una volta il miracolo è uno solo: la resurrezione di Cristo. Dio può decidere che qualcosa di quella resurrezione venga anticipato in modo misterioso in un fatto o in una persona particolare, ma sempre perché si ponga in risalto il significato di Cristo risorto.
Non possiamo però dire che questa sia l’interpretazione corrente nella devozione popolare, o anche nella catechesi...
Questo è un guaio. Dovremmo essere capaci di affrontare ogni frammento nel tutto che da essi è composto; sennò ciascuno si innamora del suo pezzettino e pensa che sia la totalità. Come diceva il teologo Hans Urs von Balthasar: dobbiamo imparare a guardare la totalità del disegno di Dio, solo allora i frammenti diventano preziosi, altrimenti rimangono distraenti. Tutto va messo in questo rapporto, nella pastorale come nella catechesi; non sempre con la gente si può fare teologia, d’accordo, ma si deve cercare di ricondurre ogni cosa al suo senso profondo. Per esempio, si può parlare della liquefazione del sangue di san Gennaro, discuterne con argomenti scientifici o religiosi, però il suo unico senso è dire che quell’uomo ha dato il sangue per Cristo; punto e basta. Diceva ancora von Balthasar: i santi sono fessure aperte su Dio.
Ci dia però qualche consiglio pratico.
Anzitutto, nel ritratto dei santi cerchiamo di esaminare con cura la storia personale, l’ambiente, la cultura, per scoprire che cosa Dio davvero chiedeva a quell’uomo o a quella donna e vedere qual è stata la risposta. Non si deve affermare niente che non rimandi alla persona di Gesù. Non bisogna impadronirsi di nulla che non aiuti a dire: ciò che importa è Cristo. È come un innamoramento: nell’ambito di questo attaccamento tra persone, ogni cosa e il mondo stesso acquistano nuovo significato. Poi non lasciamoci troppo impressionare dai fenomeni eccezionali: come diceva Chesterton, anche Dio qualche volta può aver voglia di divertirsi, magari facendo qualcosa che fatichiamo a comprendere...http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-santi-il-miracolo-del-quotidiano-3494.htm
Potrà sembrarti paradossale, ma non lo è
La capacità di essere soli è la capacità di amare. Potrà sembrarti paradossale, ma non lo è. È una verità esistenziale, solo le persone in grado di essere sole sono capaci di amare, di condividere, di immergersi nell’essenza più intima dell’altra persona, senza possederla, senza diventare dipendente dall’altro, senza ridurlo a un oggetto, e senza esserne assuefatto. Permettono all’altro una libertà assoluta, perché sanno che, se l’altro se ne va, saranno altrettanto felici, quanto lo sono adesso.
La loro felicità non può essere portata via dall’altro, perché non è stata data da lui. Ma allora perché vogliono stare insieme a qualcuno? Non è più un bisogno, è un lusso: godono nel condividere, hanno così tanta gioia che vogliono riversarla in qualcuno.
Sanno suonare la propria vita come un assolo: un solista di flauto sa come godersi il suo strumento in un assolo, ma se incontra un suonatore solista di tabla, si godranno la possibilità di stare insieme e creare un’armonia tra il flauto e le tabla.
La loro felicità non può essere portata via dall’altro, perché non è stata data da lui. Ma allora perché vogliono stare insieme a qualcuno? Non è più un bisogno, è un lusso: godono nel condividere, hanno così tanta gioia che vogliono riversarla in qualcuno.
Sanno suonare la propria vita come un assolo: un solista di flauto sa come godersi il suo strumento in un assolo, ma se incontra un suonatore solista di tabla, si godranno la possibilità di stare insieme e creare un’armonia tra il flauto e le tabla.
Tratto da: Osho, Il velo impalpabile, Urra Edizioni
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