At
15,7-21 “Ritengo non si debba importunare quelli che si
convertono a Dio tra i pagani”
Salmo
95 “Vedano la tua gloria, Signore, tutte le nazioni”
Gv
15,9-11 “Rimanete nel mio amore, affinché la vostra gioia sia
piena”
La liturgia della parola
quest’oggi ha come oggetto di annuncio e di riflessione la vita
della comunità cristiana alla ricerca della volontà di Dio. La
Parola oggi non ci dà tanto degli insegnamenti relativi al cammino
personale dei cristiani, quanto piuttosto la descrizione di un
cammino di ricerca della volontà di Dio compiuto dalla comunità
cristiana nel suo insieme.
La comunità cristiana, dopo la Risurrezione e
l’Ascensione di Gesù, vive una condizione sostanzialmente diversa
da quella sperimentata dai discepoli nel tempo del ministero pubblico
di Cristo, quando cioè il Maestro era ancora fisicamente in mezzo a
loro. Grazie alla sua presenza fisica, infatti, era Lui che indicava
al gruppo apostolico le vie, le scelte da fare, le opere da compiere;
era Lui che esplicitamente dava loro il mandato di predicare, di
guarire gli infermi, di scacciare il demonio, indicando luoghi e
destinatari. Ma dopo l’uscita di Cristo da questo mondo e il suo
ritorno al Padre, la comunità cristiana si ritrova senza un
riferimento visibile per le sue scelte pastorali.
Ed è proprio su questo punto che il testo degli Atti
oggi vuole richiamare la nostra attenzione. La comunità cristiana
non ha più Cristo, che in modo sensibile ed immediato possa dirle
cosa deve fare, ma ha la voce dello Spirito, che essa deve imparare
ad ascoltare in un processo di discernimento comunitario. Il tema del
discernimento comunitario è proprio l’insegnamento principale del
testo odierno degli Atti al cap. 15. Si tratta di un insegnamento che
non è, però, completo, né potrebbe esserlo. Per poter parlare in
modo completo del discernimento comunitario occorrerebbe accostare a
questo testo tanti altri. Ad ogni modo, la liturgia feriale non si
propone insegnamenti sistematici, che invece sono oggetto della
catechesi. Se non altro ci permette di entrare in questo argomento
importante, sebbene in modo provvisorio ed incompleto.
L’immagine di comunità che emerge dal cap. 15 degli
Atti, è quella di una Chiesa posta di fronte a delle scelte
radicali, che avrebbero avuto delle conseguenze di vasta portata per
il suo futuro, e cioè la necessità di stabilire fino a che punto
svincolarsi dalla legge di Mosè. I primi cristiani erano tutti di
origine ebraica e tutti osservavano la legge di Mosè, ma quando
giungono al cristianesimo anche i pagani e vengono battezzati, allora
si pone il problema. Che fare? Introdurli nel sistema delle
consuetudini ebraiche, oppure no? Chiedere la circoncisione e le
altre osservanze, assimilandoli così ai cristiani palestinesi,
oppure elaborare per essi uno statuto a parte? La risposta, che sarà
sostenuta con forza dall’Apostolo Paolo e da Barnaba, è formulata
così: i cristiani sono liberi da tutte le prescrizioni della Legge
mosaica, tranne da quelle fondamentali e perennemente valide. A noi
interessa qui cogliere piuttosto l’insegnamento sul discernimento
comunitario e come la prima comunità cristiana sia stata capace di
giungere a una tale determinazione. Il brano degli Atti non presenta
una decisione compiuta autoritativamente da uno e imposta a tutti.
Nella comunità cristiana non c’è mai una opinione, per quanto
autorevole, che possa essere imposta a tutti, senza che la comunità
nel suo insieme la percepisca come autenticamente voluta da Dio.
Così, per cogliere la voce dello Spirito, la comunità cristiana
delle origini accosta tanti tasselli quanti sono gli interventi di
coloro che nell’assemblea si esprimono su questo medesimo problema.
Parla l’Apostolo Pietro, poi parlerà Giacomo, e parlerà anche
Barnaba. Questo ci sembra significativo per affermare che nella
comunità cristiana nessuno conosce la volontà di Dio in maniera
completa, perché tale conoscenza dipende da tanti tasselli accostati
l’uno all’altro per formare un mosaico. Per questo, prima di
giungere a una determinazione, vengono ascoltati attentamente tutti
gli Apostoli che hanno qualcosa da dire. E’ come se ciascuno di
essi avesse un piccolo frammento che ha bisogno di essere accostato a
quello degli altri per potere manifestare la totalità del disegno.
Il testo odierno presenta infatti la comunità cristiana nell’atto
di mettere accanto i vari tasselli: quello di Pietro, quello di
Paolo, quello di Barnaba, quello di Giacomo. Tanti piccoli tasselli
accostati l’uno all’altro producono un grande disegno che tutta
la comunità cristiana può contemplare e riconoscere come volontà
di Dio. Quindi possiamo affermare che un primo punto fermo del
discernimento comunitario consiste nell’ascolto dello Spirito che
parla per bocca dei fratelli. Il discernimento comunitario si
presenta allora come un disegno che si compone davanti gli occhi
della comunità man mano che ciascuno pone il suo frammento accanto
al frammento degli altri. Ma perché questo si faccia è necessaria
una particolare virtù che è definita da questo versetto chiave:
“Tutta l’assemblea tacque e
stettero ad ascoltare” (v. 12). Il discernimento comunitario
esige delle precise virtù: la capacità di ascoltare gli altri nello
Spirito; la capacità di tacere a lungo; la capacità di accoglienza
rispettosa di quei frammenti che, presi da soli, potrebbero sembrare
poco chiari o poco significativi. Bisogna attendere infatti che tutti
i frammenti vengano alla luce, prima di poter capire il valore e la
posizione di ciascuno. E’ un po’ ciò che accade a un musicista:
se egli isola una voce di una corale polifonica, e la esegue da sola,
essa può sembrare perfino sgradevole all’udito raffinato di chi si
intende di musica; ma quando è eseguita con le altre voci, allora si
manifesta la sua bellezza. Anzi, senza di essa, perfino le altre voci
risulterebbero meno belle.
Per tutto questo è necessaria quella virtù che è la
capacità d’ascolto, un ascolto che non si concluda prima che tutti
i tasselli siano stati collocati al loro posto. E il grande quadro
risulta da questo primo confronto assembleare, tenutosi a
Gerusalemme, e che si può definire - come di fatti è stato definito
- il primo concilio della Chiesa. La comunità cristiana in questa
occasione scopre non soltanto quale sia la decisione da prendersi in
merito ai pagani che diventano cristiani, ma viene anche alla luce un
carattere essenziale della comunità cristiana: la collegialità
degli Apostoli, a cui è affidata la guida delle chiese sparse nel
mondo. Essi decidono alla fine di non imporre nessun giogo giuridico
a coloro che sono venuti alla fede, perché la fede in Cristo, da
sola, purifica i cuori ed è sufficiente a salvare la persona. È qui
che cogliamo un altro aspetto essenziale della comunità cristiana:
essa non è mai padrona dei suoi membri; è piuttosto al servizio
della fede dei battezzati. La fede, a sua volta, purifica i cuori e
salva. Nel momento in cui la comunità cristiana esercitasse una
qualche forma di dominio sui battezzati, cesserebbe di essere serva e
si muterebbe in padrona, tradendo il modello lasciato dall’esempio
di Cristo. Non potrebbe più favorire la crescita della fede, perché
tale crescita avviene solo nella libertà di coscienza.
Così alla fine di quest’assemblea, dove tutti hanno
messo il loro tassello accanto a quello degli altri, e dove il quadro
della volontà di Dio si è completato, anche il volto della Chiesa
ne esce più nitido. La Chiesa è serva della fede dei suoi membri,
serva del cammino di santità. Una volta comunicata la fede ha già
fatto tutto, e il resto è un elemento aggiuntivo, complementare, che
non deve mai assumere una prevalenza su ciò che è più importante,
ossia il rimanere nell’amore di Cristo. Il servizio della Chiesa ha
solo questo come unico obiettivo: “Se
osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore” (v.
10). “Come il Padre ha amato
me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”
(v. 9). Prima ancora di essere chiamati a servire la Chiesa, noi
siamo chiamati ad amare Cristo e a lasciarci assimilare da Lui.