sabato 24 maggio 2014

quelli che hanno consegnato la loro vita a Cristo hanno anche rinunciato a cercare se stessi e perciò non usano mai i loro ministeri e i loro servizi a proprio vantaggio, per comandare o per imporre se stessi


Gli Apostoli guidano la Chiesa solo visibilmente, come strumenti docili, ma è lo Spirito di Dio che indica alla Chiesa le sue strade. Da questo momento, la comunità cristiana comprende che la decisione presa alla luce dello Spirito di Dio, nel momento in cui gli Apostoli si riuniscono nell’esercizio del loro carisma, è una decisione che è valida e normativa per tutta la Chiesa; esattamente come avviene oggi: i documenti del concilio sono validi e normativi per tutta la Chiesa. Anche del concilio Vaticano II, l’ultimo in ordine di tempo, si deve dire: “Lo Spirito Santo e noi, abbiamo deciso”.
Vi sono ancora altri insegnamenti notevoli che provengono dal testo odierno degli Atti; quando gli Apostoli prendono la decisione suddetta, a chi affidano l’incarico di comunicare alle comunità cristiane la loro decisione? L’affidano ad alcuni che sono tenuti in grande considerazione tra i fratelli. E perché sono tenuti in grande considerazione? Rileggiamo il versetto chiave: “Abbiamo deciso di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Paolo e Barnaba, uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo” (vv. 25-26). Nella Chiesa questi sono coloro a cui si può affidare tutto! Quelli che hanno votato, ovvero hanno consegnato senza riserve, la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. A questi si può affidare davvero tutto; si può avere cieca fiducia nel loro servizio, perché quelli che hanno consegnato la loro vita a Cristo hanno anche rinunciato a cercare se stessi e perciò non usano mai i loro ministeri e i loro servizi a proprio vantaggio, per comandare o per imporre se stessi. Quindi non sono le molte iniziative, né le molte cose buone che si fanno, ciò che dal punto di vista di Dio ci rende affidabili; in verità siamo affidabili e utili per la comunità cristiana solo se abbiamo consegnato incondizionatamente la nostra vita a Cristo. Il segno che invece non abbiamo dato la vita a Cristo si ha quando i nostri servizi, i nostri ministeri, nella Chiesa diventano un luogo o un’occasione di comando; quando usiamo i ministeri per comandare meglio, invece che per servire meglio, quello è il segno inconfondibile che la nostra vita a Cristo non è stata ancora consegnata. Ci spieghiamo allora perché gli Apostoli, per il delicato servizio di comunicare alle Chiese le loro decisioni (ci poteva essere il rischio di messaggeri che fornissero un’interpretazione inesatta del dettato apostolico), scelgono uomini di cui è chiara e sicura una cosa sola, che hanno votato la vita al nome del signore Gesù Cristo. 
Don Vincenzo Cuffaro

venerdì 23 maggio 2014

Gli Apostoli si mettono in seconda posizione, perché è lo Spirito Santo colui che guida la Chiesa.


At 15,22-31 “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun obbligo”
Salmo 57 “Sei tu la mia lode, Signore, in mezzo alle genti”
Gv 15,12-17 “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”

La prima lettura odierna è la continuazione del racconto del concilio di Gerusalemme, quando gli Apostoli si sono riuniti per affrontare un problema che si era posto all’inizio dell’evangelizzazione e della nascita della Chiesa: cosa richiedere ai pagani che si convertono al cristianesimo circa le esigenze dei precetti mosaici. La cosa più importante di questa prima riunione degli Apostoli è che lo Spirito Santo garantisce la sua presenza e la sua luce agli Apostoli che si radunano nel tentativo di conoscere la volontà di Dio. Scrivono infine una lettera da distribuire a tutte le comunità cristiane, perché la decisione degli Apostoli venga diffusa e osservata da tutti, essendo una decisione normativa per la Chiesa, appunto perché è una decisione che essi prendono sotto la presidenza dello Spirito Santo, nell’esercizio del carisma apostolico ricevuto direttamente da Cristo; un passaggio della lettera dice precisamente: “Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi” (v. 28). Lo Spirito Santo è in prima posizione per indicare il suo primato nelle scelte e nelle decisioni degli Apostoli. Gli Apostoli si mettono in seconda posizione, perché è lo Spirito Santo colui che guida la Chiesa. 
Don Vincenzo Cuffaro

giovedì 22 maggio 2014

la descrizione di un cammino di ricerca della volontà di Dio compiuto dalla comunità cristiana nel suo insieme


At 15,7-21 “Ritengo non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani”
Salmo 95 “Vedano la tua gloria, Signore, tutte le nazioni”
Gv 15,9-11 “Rimanete nel mio amore, affinché la vostra gioia sia piena”

La liturgia della parola quest’oggi ha come oggetto di annuncio e di riflessione la vita della comunità cristiana alla ricerca della volontà di Dio. La Parola oggi non ci dà tanto degli insegnamenti relativi al cammino personale dei cristiani, quanto piuttosto la descrizione di un cammino di ricerca della volontà di Dio compiuto dalla comunità cristiana nel suo insieme.
La comunità cristiana, dopo la Risurrezione e l’Ascensione di Gesù, vive una condizione sostanzialmente diversa da quella sperimentata dai discepoli nel tempo del ministero pubblico di Cristo, quando cioè il Maestro era ancora fisicamente in mezzo a loro. Grazie alla sua presenza fisica, infatti, era Lui che indicava al gruppo apostolico le vie, le scelte da fare, le opere da compiere; era Lui che esplicitamente dava loro il mandato di predicare, di guarire gli infermi, di scacciare il demonio, indicando luoghi e destinatari. Ma dopo l’uscita di Cristo da questo mondo e il suo ritorno al Padre, la comunità cristiana si ritrova senza un riferimento visibile per le sue scelte pastorali.
Ed è proprio su questo punto che il testo degli Atti oggi vuole richiamare la nostra attenzione. La comunità cristiana non ha più Cristo, che in modo sensibile ed immediato possa dirle cosa deve fare, ma ha la voce dello Spirito, che essa deve imparare ad ascoltare in un processo di discernimento comunitario. Il tema del discernimento comunitario è proprio l’insegnamento principale del testo odierno degli Atti al cap. 15. Si tratta di un insegnamento che non è, però, completo, né potrebbe esserlo. Per poter parlare in modo completo del discernimento comunitario occorrerebbe accostare a questo testo tanti altri. Ad ogni modo, la liturgia feriale non si propone insegnamenti sistematici, che invece sono oggetto della catechesi. Se non altro ci permette di entrare in questo argomento importante, sebbene in modo provvisorio ed incompleto.
L’immagine di comunità che emerge dal cap. 15 degli Atti, è quella di una Chiesa posta di fronte a delle scelte radicali, che avrebbero avuto delle conseguenze di vasta portata per il suo futuro, e cioè la necessità di stabilire fino a che punto svincolarsi dalla legge di Mosè. I primi cristiani erano tutti di origine ebraica e tutti osservavano la legge di Mosè, ma quando giungono al cristianesimo anche i pagani e vengono battezzati, allora si pone il problema. Che fare? Introdurli nel sistema delle consuetudini ebraiche, oppure no? Chiedere la circoncisione e le altre osservanze, assimilandoli così ai cristiani palestinesi, oppure elaborare per essi uno statuto a parte? La risposta, che sarà sostenuta con forza dall’Apostolo Paolo e da Barnaba, è formulata così: i cristiani sono liberi da tutte le prescrizioni della Legge mosaica, tranne da quelle fondamentali e perennemente valide. A noi interessa qui cogliere piuttosto l’insegnamento sul discernimento comunitario e come la prima comunità cristiana sia stata capace di giungere a una tale determinazione. Il brano degli Atti non presenta una decisione compiuta autoritativamente da uno e imposta a tutti. Nella comunità cristiana non c’è mai una opinione, per quanto autorevole, che possa essere imposta a tutti, senza che la comunità nel suo insieme la percepisca come autenticamente voluta da Dio. Così, per cogliere la voce dello Spirito, la comunità cristiana delle origini accosta tanti tasselli quanti sono gli interventi di coloro che nell’assemblea si esprimono su questo medesimo problema. Parla l’Apostolo Pietro, poi parlerà Giacomo, e parlerà anche Barnaba. Questo ci sembra significativo per affermare che nella comunità cristiana nessuno conosce la volontà di Dio in maniera completa, perché tale conoscenza dipende da tanti tasselli accostati l’uno all’altro per formare un mosaico. Per questo, prima di giungere a una determinazione, vengono ascoltati attentamente tutti gli Apostoli che hanno qualcosa da dire. E’ come se ciascuno di essi avesse un piccolo frammento che ha bisogno di essere accostato a quello degli altri per potere manifestare la totalità del disegno. Il testo odierno presenta infatti la comunità cristiana nell’atto di mettere accanto i vari tasselli: quello di Pietro, quello di Paolo, quello di Barnaba, quello di Giacomo. Tanti piccoli tasselli accostati l’uno all’altro producono un grande disegno che tutta la comunità cristiana può contemplare e riconoscere come volontà di Dio. Quindi possiamo affermare che un primo punto fermo del discernimento comunitario consiste nell’ascolto dello Spirito che parla per bocca dei fratelli. Il discernimento comunitario si presenta allora come un disegno che si compone davanti gli occhi della comunità man mano che ciascuno pone il suo frammento accanto al frammento degli altri. Ma perché questo si faccia è necessaria una particolare virtù che è definita da questo versetto chiave: “Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare” (v. 12). Il discernimento comunitario esige delle precise virtù: la capacità di ascoltare gli altri nello Spirito; la capacità di tacere a lungo; la capacità di accoglienza rispettosa di quei frammenti che, presi da soli, potrebbero sembrare poco chiari o poco significativi. Bisogna attendere infatti che tutti i frammenti vengano alla luce, prima di poter capire il valore e la posizione di ciascuno. E’ un po’ ciò che accade a un musicista: se egli isola una voce di una corale polifonica, e la esegue da sola, essa può sembrare perfino sgradevole all’udito raffinato di chi si intende di musica; ma quando è eseguita con le altre voci, allora si manifesta la sua bellezza. Anzi, senza di essa, perfino le altre voci risulterebbero meno belle.
Per tutto questo è necessaria quella virtù che è la capacità d’ascolto, un ascolto che non si concluda prima che tutti i tasselli siano stati collocati al loro posto. E il grande quadro risulta da questo primo confronto assembleare, tenutosi a Gerusalemme, e che si può definire - come di fatti è stato definito - il primo concilio della Chiesa. La comunità cristiana in questa occasione scopre non soltanto quale sia la decisione da prendersi in merito ai pagani che diventano cristiani, ma viene anche alla luce un carattere essenziale della comunità cristiana: la collegialità degli Apostoli, a cui è affidata la guida delle chiese sparse nel mondo. Essi decidono alla fine di non imporre nessun giogo giuridico a coloro che sono venuti alla fede, perché la fede in Cristo, da sola, purifica i cuori ed è sufficiente a salvare la persona. È qui che cogliamo un altro aspetto essenziale della comunità cristiana: essa non è mai padrona dei suoi membri; è piuttosto al servizio della fede dei battezzati. La fede, a sua volta, purifica i cuori e salva. Nel momento in cui la comunità cristiana esercitasse una qualche forma di dominio sui battezzati, cesserebbe di essere serva e si muterebbe in padrona, tradendo il modello lasciato dall’esempio di Cristo. Non potrebbe più favorire la crescita della fede, perché tale crescita avviene solo nella libertà di coscienza.
Così alla fine di quest’assemblea, dove tutti hanno messo il loro tassello accanto a quello degli altri, e dove il quadro della volontà di Dio si è completato, anche il volto della Chiesa ne esce più nitido. La Chiesa è serva della fede dei suoi membri, serva del cammino di santità. Una volta comunicata la fede ha già fatto tutto, e il resto è un elemento aggiuntivo, complementare, che non deve mai assumere una prevalenza su ciò che è più importante, ossia il rimanere nell’amore di Cristo. Il servizio della Chiesa ha solo questo come unico obiettivo: “Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore” (v. 10). “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (v. 9). Prima ancora di essere chiamati a servire la Chiesa, noi siamo chiamati ad amare Cristo e a lasciarci assimilare da Lui.

mercoledì 21 maggio 2014

“rimanere”: si tratta non tanto di aggiungere alla mediazione di Cristo qualche altra cosa, quanto piuttosto di “rimanere” attaccati a Lu


At 15,1-6 “Fu stabilito che Paolo e Barnaba andassero a Gerusalemme dagli apostoli”
Salmo 121 “Andiamo con gioia alla casa del Signore”
Gv 15,1-8 “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto

Il tema centrale che unisce le due letture odierne è l’unicità della mediazione di Gesù Cristo nella salvezza dell’uomo, una mediazione non bisognosa d’integrazioni di sorta. La prima lettura presenta un gruppo di persone provenienti dal giudaismo farisaico, che, all’interno della comunità cristiana, affermano la necessità di aggiungere alla mediazione di Gesù Cristo anche alcune pratiche giudaiche prescritte dalla Legge mosaica. Ciò comportava un cristianesimo integrato nell’orizzonte del giudaismo e, peggio ancora, equivaleva ad affermare che l’azione salvifica di Gesù avesse bisogno di essere completata dalle pratiche mosaiche. La prima comunità cristiana si trova così divisa intorno al problema dei pagani che entravano nel discepolato cristiano: se dovevano o no essere circoncisi, secondo l’usanza della comunità palestinese. L’Apostolo Paolo si schiererà contro questa posizione, affermando – sulla scia del cristianesimo progressista di Antiochia - che la fede in Cristo è sufficiente da sola a salvare l’uomo; inoltre, il cristianesimo comincia a presentarsi nell’annuncio paolino come una religione veramente nuova e indipendente dal giudaismo, sebbene proveniente dalle sue stesse radici. Sarà questa posizione ad avere la preminenza all’interno del primo concilio di Gerusalemme. L’unicità di Gesù Cristo viene riaffermata nel vangelo sotto il simbolo della vite e del vignaiolo: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” (v. 1). In questa metafora Cristo attribuisce a Se Stesso il canale di comunicazione della vita divina, che arricchisce l’esistenza del battezzato e la riempie di significati nuovi e divini. Così come la vite non ha bisogno di altro per nutrire i grappoli, se non del fatto che essi siano congiunti a essa, allo stesso modo Cristo non ha bisogno di pratiche né di precetti per compiere la sua opera di santificazione dell’uomo. Gli basta che ciascun uomo aderisca a Lui con fedeltà perenne. La vita divina non è come un pieno di benzina: nessuno può farsene una scorta. La grazia di Dio si riceve se si rimane uniti a Lui e si perde se gli si voltano le spalle. E’ per questo motivo che la metafora della vite e dei tralci insiste sul tema del “rimanere”: si tratta non tanto di aggiungere alla mediazione di Cristo qualche altra cosa, quanto piuttosto di “rimanere” attaccati a Lui; ciò garantisce la comunicazione continua della vita divina, dalla quale risultano le opere della vita cristiana. Cristo afferma radicalmente che il cristiano non può far niente senza di Lui (cfr. v. 5), dal momento che tutte le opere dell’uomo acquistano valore, davanti al Padre, solo in quanto sono convalidate dal Figlio suo. 

martedì 20 maggio 2014

Sul tema dell’evangelizzazione, e della conseguente posizione che gli ascoltatori assumono verso di essa, il testo degli Atti ci indica alcune particolari condizioni che rivelano in parte l’agire di Dio e in parte l’agire di Satana.

Ancora...

L’annuncio apostolico è il canale necessario e imprescindibile per conoscere Dio e Colui che il Padre ha mandato per la nostra liberazione. Sul tema dell’evangelizzazione, e della conseguente posizione che gli ascoltatori assumono verso di essa, il testo degli Atti ci indica alcune particolari condizioni che rivelano in parte l’agire di Dio e in parte l’agire di Satana. L’agire di Dio si presenta come un sostegno alla predicazione dell’Apostolo e come una conferma della verità della sua parola, mediante i segni che l’accompagnano. Però, va notato che questi segni non si presentano immediatamente, né tutti insieme in modo simultaneo; essi si manifestano solo successivamente, dopo che un’intera folla di ascoltatori si chiude alla predicazione di Paolo e di Barnaba. Infatti, in un primo momento si dice che giudei e pagani tentano di catturare Paolo e Barnaba durante la loro attività apostolica, per maltrattarli e lapidarli. E’ significativo come il testo degli Atti racconti la manifestazione di un segno di guarigione subito dopo che Paolo e Barnaba sono stati respinti, maltrattati e quasi lapidati. Il Signore non manca quindi di confermare la santità dei suoi servi, ma lo fa quando le circostanze giungono ad un punto critico, quando il vangelo rischierebbe di naufragare totalmente sotto le ondate dell’ostinazione e della chiusura dei cuori, ondate che si innalzano contro la Parola del vangelo e respingono i servi di Dio. Allora, proprio in quel momento drammatico, il segno carismatico operato da Dio a conferma della Parola, permette a molti di rinsavire. Dio conferma con i segni carismatici la santità dei suoi servi e la verità della loro parola, non però in maniera sistematica o inflazionata – sarebbe semplicistico pretendere da Dio una conferma carismatica ad ogni singolo annuncio - bensì solo in momenti cruciali, noti a Lui, e scelti secondo i criteri della sua Sapienza. In questo caso, Paolo e Barnaba sono davvero giunti, nel loro ministero, a un punto di alta tensione drammatica, in cui il vangelo, unanimemente rifiutato, poteva naufragare, e con esso anche la possibilità di salvezza per coloro che, onesti ma più deboli, erano stati trascinati dalla ribellione popolare. In queste circostanze difficili, divenute oramai superiori alle risorse umane, Dio dà un grande segnale, perché chi vuole rinsavire possa rientrare in se stesso e sottrarsi al polverone sollevato dallo spirito delle tenebre, per confondere la mente dei deboli e distoglierle dalla verità di Dio.
Il segno operato da Dio è qui un miracolo di guarigione che avviene a Listra per un uomo storpio dalla nascita, che ovviamente non aveva mai camminato; l’autore sottolinea il carattere soprannaturale di questa guarigione che ha come destinatario un uomo malato dalla nascita e perciò inguaribile dal punto di vista delle risorse della scienza umana. Il testo si esprime in questi termini: “Paolo fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di essere risanato, disse a gran voce: Alzati dritto in piedi” (vv. 9-10). Qui si vede come il segno carismatico sia preceduto da un atto di discernimento compiuto dall’Apostolo: vale a dire che Dio non opera il segno, senza dare all’Apostolo una luce di discernimento che gli fa presentire quanto Dio sta per fare e come egli stesso debba disporsi a esserne strumento. Questo uomo ammalato, che Paolo incontra nel suo ministero, non è il primo e neanche l’ultimo, ma ha la caratteristica, a differenza di parecchi altri (che magari non hanno ottenuto la guarigione), di essere stato scelto da Dio come segnale per la sua gloria. Per questa ragione Paolo avverte dentro di sé una particolare spinta che lo porta a fissare, con un sguardo diverso dal consueto, questo storpio; uno sguardo nel quale la luce dello Spirito Santo gli permette di vedere dentro di lui e di cogliere quella fede sufficiente per essere guarito. Il seguito non ha bisogno di commento: “Egli fece un balzo e si mise a camminare” (v. 10): immediatamente lo storpio balza in piedi con una guarigione istantanea e soprannaturale. Il segno è compiuto e Dio ha confermato la verità e la potenza di liberazione di quella Parola così respinta e così odiata. Ma nel momento in cui Paolo compie questo gesto carismatico, subentra una seconda strategia del Maligno. La prima era stata quella di spingere giudei e pagani contro Paolo e Barnaba, con una persecuzione violenta, respingendoli fisicamente lontano dai loro territori, in modo che non potessero più testimoniare il vangelo di Cristo. Si tratta di una prima strategia di Satana, che colpisce solamente l’esterno, ma che porta dei frutti, quando - come in questo caso - Paolo e Barnaba sono costretti ad andarsene, fuggendo dalla città di Iconio, dove appunto questa congiura era stata organizzata per mandarli via. Nel momento in cui Dio compie quel segno di guarigione per confermare la parola dell’Apostolo, e ciò si verifica in un momento di particolare crisi del suo ministero, Satana ritorna sulla scena con un’altra strategia: fa in modo di snaturare, nella mente dei pagani, questo segno dato da Dio a conferma della verità del vangelo: “La gente, al vedere quel che Paolo aveva fatto, esclamò in dialetto licaònio e disse: Gli dei sono scesi tra noi in figura umana! E chiamavano Barnaba Zeus e Paolo Hermes, perché era il più eloquente” (vv. 11-12). Questa seconda strategia di Satana diventa qui più sottile e più pericolosa della prima. Mentre nella prima strategia gli Apostoli erano stati colpiti e allontanati soltanto fisicamente, nella seconda sono colpiti invece i destinatari, ma non fisicamente; essi vengono fuorviati nella loro interpretazione dei fatti, e cadono nel rischio di una nuova idolatria, attribuendo a qualcun altro l’opera compiuta da Dio. La conseguenza è quella di fermarsi allo strumento di Dio senza arrivare a Dio. A queste condizioni, il segno carismatico diventa un punto di arrivo e non un rimando a qualcos’altro: Dio, infatti, aveva dato il segno della guarigione perché da questo segno si risalisse a Lui, comprendendo che quegli uomini erano suoi servi; i pagani, invece, fuorviati da una suggestione maligna, si fermano al segno e non vanno oltre. Lo stravolgimento del pensiero dei destinatari dell’annuncio della Parola è ancora più pericoloso della persecuzione fisica degli evangelizzatori; ecco perché Paolo e Barnaba resistono con molta energia al tentativo, fatto dalla folla, di offrire loro degli olocausti come se fossero delle divinità e richiamano fortemente quei cittadini alla realtà dell’unico Dio, a cui solo spetta ogni adorazione.  
Don Vincenzo Cuffaro

lunedì 19 maggio 2014

Il Signore non manca quindi di confermare la santità dei suoi servi, ma lo fa quando le circostanze giungono ad un punto critico, quando il vangelo rischierebbe di naufragare totalmente sotto le ondate dell’ostinazione e della chiusura dei cuori, ondate che si innalzano contro la Parola del vangelo e respingono i servi di Dio.


Continuando nella spiegazione degli atti...
L’annuncio apostolico è il canale necessario e imprescindibile per conoscere Dio e Colui che il Padre ha mandato per la nostra liberazione. Sul tema dell’evangelizzazione, e della conseguente posizione che gli ascoltatori assumono verso di essa, il testo degli Atti ci indica alcune particolari condizioni che rivelano in parte l’agire di Dio e in parte l’agire di Satana. L’agire di Dio si presenta come un sostegno alla predicazione dell’Apostolo e come una conferma della verità della sua parola, mediante i segni che l’accompagnano. Però, va notato che questi segni non si presentano immediatamente, né tutti insieme in modo simultaneo; essi si manifestano solo successivamente, dopo che un’intera folla di ascoltatori si chiude alla predicazione di Paolo e di Barnaba. Infatti, in un primo momento si dice che giudei e pagani tentano di catturare Paolo e Barnaba durante la loro attività apostolica, per maltrattarli e lapidarli. E’ significativo come il testo degli Atti racconti la manifestazione di un segno di guarigione subito dopo che Paolo e Barnaba sono stati respinti, maltrattati e quasi lapidati. Il Signore non manca quindi di confermare la santità dei suoi servi, ma lo fa quando le circostanze giungono ad un punto critico, quando il vangelo rischierebbe di naufragare totalmente sotto le ondate dell’ostinazione e della chiusura dei cuori, ondate che si innalzano contro la Parola del vangelo e respingono i servi di Dio. Allora, proprio in quel momento drammatico, il segno carismatico operato da Dio a conferma della Parola, permette a molti di rinsavire. Dio conferma con i segni carismatici la santità dei suoi servi e la verità della loro parola, non però in maniera sistematica o inflazionata – sarebbe semplicistico pretendere da Dio una conferma carismatica ad ogni singolo annuncio - bensì solo in momenti cruciali, noti a Lui, e scelti secondo i criteri della sua Sapienza. In questo caso, Paolo e Barnaba sono davvero giunti, nel loro ministero, a un punto di alta tensione drammatica, in cui il vangelo, unanimemente rifiutato, poteva naufragare, e con esso anche la possibilità di salvezza per coloro che, onesti ma più deboli, erano stati trascinati dalla ribellione popolare. In queste circostanze difficili, divenute oramai superiori alle risorse umane, Dio dà un grande segnale, perché chi vuole rinsavire possa rientrare in se stesso e sottrarsi al polverone sollevato dallo spirito delle tenebre, per confondere la mente dei deboli e distoglierle dalla verità di Dio. 
Don Vincenzo Cuffaro

domenica 18 maggio 2014

La posizione che si prende, quando si è raggiunti dalla Parola di Dio, determina la possibilità di progredire nella conoscenza di Dio e nella manifestazione di Gesù Cristo, oppure il suo contrario.


At 14,5-18 “Vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio Vivente”
Salmo 113 “A te la gloria, Signore, nei secoli”
Gv 14,21-26 “Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa”

Nel vangelo odierno è riportata una affermazione di Cristo che identifica l’amore e l’ubbidienza. In seguito alla domanda di un Apostolo, il Maestro risponde dicendo che tutti quelli che lo amano osservano la sua Parola. La domanda era questa: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” (v. 22). Nella sua risposta, Gesù gli fa comprendere che non c’è un ambito esclusivo per la sua manifestazione, e che là dove c’è uno che lo ama e che si apre alla rivelazione della verità di Dio, lì Cristo si manifesta. Questo medesimo tema della rivelazione di Dio, il quale ama manifestarsi a coloro che lo cercano con cuore sincero - e lo fa senza porre confini, o categorie, o limiti prestabiliti - viene presentato nel testo degli Atti sotto l’aspetto concreto dell’evangelizzazione, dinanzi alla quale gli uomini effettivamente si dividono, in quanto vengono messi nella condizione di decidere se schierarsi dalla parte del vero Dio o se fare scelte diverse. La posizione che si prende, quando si è raggiunti dalla Parola di Dio, determina la possibilità di progredire nella conoscenza di Dio e nella manifestazione di Gesù Cristo, oppure il suo contrario. Dall’indifferenza e dalla chiusura nei confronti della Parola che risuona nella predicazione apostolica, deriva una impossibilità, per il Signore, di continuare a rivelare Se Stesso. Dunque, l’insegnamento centrale della Parola odierna è questo: da un lato, il vangelo afferma che Dio, senza restrizioni e senza confini, si manifesta a tutti coloro che lo cercano; dall’altro lato, nel testo degli Atti si dimostra concretamente come l’evangelizzazione - che è il canale ordinario della rivelazione di Dio - possa andare a vuoto, quando i destinatari assumono una posizione di ostilità e di sospetto verso la Parola.
Don Vincenzo Cuffaro