La crisi e le alternative di fronte alle quali ci si trova
Le percezioni e le constatazioni fin qui elencate diventano, nella vita dell' adulto, la preparazione di un tempo di crisi che andrà inevitabilmente affrontata. L'avverbio "inevitabilmente" è giusto perché non è possibile ritenere buono un atteggiamento che potremmo dire "neutrale". Ci troviamo dinanzi a una difficile alternativa.
La prima è quella che ci conduce a essere scettici, o falsamente ottimisti o in fuga nell'attivismo: «Questo disincanto e disillusione, questa conoscenza della meschinità dell'esistenza prende il sopravvento, e l'uomo diventa scettico e sprezzante, e si riduce a fare meccanicamente il minimo necessario, proprio perché vi è costretto, dato che deve vivere; e forse si ostinerà in un ottimismo forzato, non sentito nel profondo di se stesso; accumulerà lavoro su lavoro; sarà affaccendato in mille cose...». (21) È evidente che una scelta di questo genere copre di nubi il presente e il futuro. Tutto quello che si farà o si dirà non avrà il colore smagliante dell' azzurro di una giornata di sole; avrà piuttosto quello di una grigia giornata d'autunno.
Ma si può fare un'altra scelta chiaramente positiva e coraggiosamente costruttiva che Guardini illustra sia per lo sguardo che ciascuno di noi può recuperare su se stesso, sia per l'atteggiamento da assumere nei confronti delle figure di umanità con le quali ci dobbiamo confrontare ogni giorno.
Quanto al primo aspetto sembra molto importante a Guardini scoprire l'ancoramento antropologico dell'impegno di ciascuno di noi: si tratta della «riaffermazione della vita che viene dalla serietà e dalla fedeltà e che genera un sentimento nuovo del valore dell'esistenza». (22)Tutto questo avviene, a differenza di quanto poteva caratterizzare l'adolescenza o la giovinezza, mentre si è ormai acquisita «una lucida consapevolezza della realtà. Tale figura è caratterizzata dal fatto che l'uomo vede e accetta ciò che si chiama limite, cioè le insufficienze e le miserie dell'esistenza umana». (23)Questo atteggiamento potrebbe essere equivocato e va dunque attentamente spiegato. La figura dell'uomo ora evocata non cambia, per sopravvivere, l'identità delle cose «non viene a definire l'ingiustizia, il male e la volgarità come aspetti del bene; neppure dichiara ricchezza ciò che è povertà, o verità ciò che è apparenza, o compito ciò che è vuoto. Tutto questo è percepito, ma è "accettato" nel senso che le cose stanno così e che bisogna farsene una ragione». (24)
Nel medesimo tempo cerca di intervenire sulla realtà, guidato dal senso di responsabilità e dalla consapevolezza della fragilità della condizione umana. «Egli non smette di lavorare, continuando anzi fedelmente le opere intraprese; ricomincia sempre daccapo i suoi tentativi di dare ordine e di aiutare, perché è conscio che le azioni umane, in apparenza vane, danno origine ad impulsi, che, dispiegandosi autonomamente, conservano l'esistenza umana, peraltro così profondamente minacciata». (25)
Guardini non si nasconde che «questo atteggiamento esige molta disciplina e molta rinuncia: un coraggio che non ha tanto il carattere dell'audacia, quanto quello della risolutezza». (26)
Credo che andrebbero meditati questi due termini: audacia e risolutezza. È più importante la seconda che non la prima, soprattutto perché la prima può far pensare a qualcosa di eccezionale o di irrazionale, mentre la seconda conduce a considerare ciò che è feriale e viene consapevolmente affrontato. Mi chiedo se non andrebbe maggiormente approfondita e coltivata la virtù della risolutezza, che richiama la virtù cardinale della fortezza.
La prima è quella che ci conduce a essere scettici, o falsamente ottimisti o in fuga nell'attivismo: «Questo disincanto e disillusione, questa conoscenza della meschinità dell'esistenza prende il sopravvento, e l'uomo diventa scettico e sprezzante, e si riduce a fare meccanicamente il minimo necessario, proprio perché vi è costretto, dato che deve vivere; e forse si ostinerà in un ottimismo forzato, non sentito nel profondo di se stesso; accumulerà lavoro su lavoro; sarà affaccendato in mille cose...». (21) È evidente che una scelta di questo genere copre di nubi il presente e il futuro. Tutto quello che si farà o si dirà non avrà il colore smagliante dell' azzurro di una giornata di sole; avrà piuttosto quello di una grigia giornata d'autunno.
Ma si può fare un'altra scelta chiaramente positiva e coraggiosamente costruttiva che Guardini illustra sia per lo sguardo che ciascuno di noi può recuperare su se stesso, sia per l'atteggiamento da assumere nei confronti delle figure di umanità con le quali ci dobbiamo confrontare ogni giorno.
Quanto al primo aspetto sembra molto importante a Guardini scoprire l'ancoramento antropologico dell'impegno di ciascuno di noi: si tratta della «riaffermazione della vita che viene dalla serietà e dalla fedeltà e che genera un sentimento nuovo del valore dell'esistenza». (22)Tutto questo avviene, a differenza di quanto poteva caratterizzare l'adolescenza o la giovinezza, mentre si è ormai acquisita «una lucida consapevolezza della realtà. Tale figura è caratterizzata dal fatto che l'uomo vede e accetta ciò che si chiama limite, cioè le insufficienze e le miserie dell'esistenza umana». (23)Questo atteggiamento potrebbe essere equivocato e va dunque attentamente spiegato. La figura dell'uomo ora evocata non cambia, per sopravvivere, l'identità delle cose «non viene a definire l'ingiustizia, il male e la volgarità come aspetti del bene; neppure dichiara ricchezza ciò che è povertà, o verità ciò che è apparenza, o compito ciò che è vuoto. Tutto questo è percepito, ma è "accettato" nel senso che le cose stanno così e che bisogna farsene una ragione». (24)
Nel medesimo tempo cerca di intervenire sulla realtà, guidato dal senso di responsabilità e dalla consapevolezza della fragilità della condizione umana. «Egli non smette di lavorare, continuando anzi fedelmente le opere intraprese; ricomincia sempre daccapo i suoi tentativi di dare ordine e di aiutare, perché è conscio che le azioni umane, in apparenza vane, danno origine ad impulsi, che, dispiegandosi autonomamente, conservano l'esistenza umana, peraltro così profondamente minacciata». (25)
Guardini non si nasconde che «questo atteggiamento esige molta disciplina e molta rinuncia: un coraggio che non ha tanto il carattere dell'audacia, quanto quello della risolutezza». (26)
Credo che andrebbero meditati questi due termini: audacia e risolutezza. È più importante la seconda che non la prima, soprattutto perché la prima può far pensare a qualcosa di eccezionale o di irrazionale, mentre la seconda conduce a considerare ciò che è feriale e viene consapevolmente affrontato. Mi chiedo se non andrebbe maggiormente approfondita e coltivata la virtù della risolutezza, che richiama la virtù cardinale della fortezza.
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La conclusione di Guardini è un elogio delle persone diventate "adulte". È su di loro infatti «che l'esistenza può fare affidamento. Proprio perché non hanno più l'illusione del grande successo e delle brillanti vittorie, essi sono capaci di compiere opere che hanno valore e durano nel tempo. Questa dovrebbe essere la natura dell'autentico statista, del medico, dell'educatore, in tutte le sue forme». (27)
E aggiunge, come nota finale, che «è lecito giudicare il livello umano, così come le prospettive culturali di un'epoca, considerando sia il numero degli uomini di tale levatura che vivono in quel periodo, sia l'ampiezza dell'influsso da essi esercitato». (28)
Come non domandarsi che cosa sta avvenendo in quest'epoca e in questa società? E come non interrogarsi anche sulla nostra azione formativa nei confronti dei giovani: li stiamo conducendo verso l'età adulta? E come non interrogarci su noi stessi, dato che possiamo essere compresi nella categoria indicata da Guardini con il termine "educatori"?
E aggiunge, come nota finale, che «è lecito giudicare il livello umano, così come le prospettive culturali di un'epoca, considerando sia il numero degli uomini di tale levatura che vivono in quel periodo, sia l'ampiezza dell'influsso da essi esercitato». (28)
Come non domandarsi che cosa sta avvenendo in quest'epoca e in questa società? E come non interrogarsi anche sulla nostra azione formativa nei confronti dei giovani: li stiamo conducendo verso l'età adulta? E come non interrogarci su noi stessi, dato che possiamo essere compresi nella categoria indicata da Guardini con il termine "educatori"?
Renato CortiL'ETÀ ADULTA E LA SECONDA CHIAMATA