sabato 27 marzo 2010

vedere quel raggio di sole


Per un dolore vero, autentico, anche gli imbecilli sono diventati qualche volta intelligenti. Questo sa fare il dolore. (Feodor Dostoevskij)

Emanuela Delle Donne -Quando in una giornata fredda, buia riesci finalmente a vedere quel raggio di sole che si fa strada fra le nuvole e arriva a sfiorarti il viso col suo calore, la giornata cambia immediatamente... Tutto diventa improvvisamente bello e sul tuo volto ecco spuntare un sorriso, un dolce sorriso che esprime gioia, tranquillità e soprattutto serenità... Nelle varie occasioni della vita hai avuto accanto la gioia e il calore delle persone a te care. Fiere e soddisfatte di ogni tuo passo importante... Persone che con gli anni, diventano i pilastri della tua stessa vita. Quei ‘punti fermi’ di cui hai bisogno per vivere bene. Ti danno forza, sicurezza! Sono quei pilastri dove sai di poter costruire qualsiasi cosa, perché non sarà un grande vento a distruggere la costruzione, né una bufera di neve, né un terremoto, perché quei pilastri dalle fondamenta sono costruiti con un elemento particolare: l’Amore. Conoscete forse qualche sentimento più potente dell’Amore?

"Un cristiano si distingue per il suo coraggio, per il coraggio che gli viene dalla fede. Sa che Dio lo guida e lo sostiene" Con queste parole il card. Carlo Maria Martini definisce la cifra distintiva di ogni cristiano nel suo ultimo libro "Conversazioni Notturne a Gerusalemme - Sul rischio della fede".


Vero che passa la voglia?



In questi tempi, ma forse da sempre e per sempre, nel momento dell'impegno, per comodità e per non fare i conti con la nostra coscienza, ci diciamo che non serve, che è inutile manifestare la nostra scelta. Anch'io volevo restarmene fuori: tante le ragioni, troppe. Forse perchè troppe puzzano di disimpegno, consiglio di berlicche ai giovani e vecchi demonietti. Allora ho incominciato a cercare ed ho trovato quanto riporto sotto appena dopo la citazione in corsivo di Don Primo.
Il nostro voto non conterà tanto ma sarà il segno che vogliamo esserci, che noi vogliamo impegnarci.
Noi ci impegniamo…
Ci impegniamo noi, e non gli altri;
unicamente noi, e non gli altri;
né chi sta in alto, né chi sta in basso;
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo,
senza pretendere che gli altri si impegnino,
con noi o per conto loro,
con noi o in altro modo...



http://berlicche.splinder.com/

Ufficialmente, un diavolo che dà consigli ai giovani demonietti. Avrai letto anche tu "Le Lettere di Berlicche" di C.S. Lewis, vero? Attenzione, però: i diavoli CREDONO in Dio. E questo in particolare svolazza, un po' sù un pò giù, ma complessivamente diretto verso l'alto, verso quel cielo di cui ha nostalgia.

Voto, non vuoto
Oh, elezioni. Vero che passa la voglia? Perché, nel gran can can a cui abbiamo assistitito negli ultimi mesi, è come fosse stato dimenticato il punto fondamentale.

Cioè: perché andare a votare? O meglio: cosa stiamo andando a fare? Una gara? Una protesta? Una lotta? Un giudizio?
Perché gli uomini di queste nostre terre si sono messi insieme, perchè si sono dati ordinamenti, leggi, perché certuni sono chiamati a decidere per altri?
Per uno sfizio? Per il potere? Per andare contro? Per una certa idea di stato, nazione, regione, provincia, comune, quello che è?

No. Abbiamo bisogno di qualcuno che pensi alla realtà, che provveda a ciò che non riusciamo. Perché spesso abbiamo troppo presente per pensare bene al futuro. Non riusciamo a fare tutto.
C'è necessità di qualcuno che riesca a ordinare quanto è confuso, faciliti il compito di ogni giorno, protegga il debole, quanto di più debole c'è. Che aiuti a lavorare, a crescere i figli, insomma che aiuti a vivere. Non a morire. E ciò è così importante che dobbiamo scegliere i migliori, per fare questo mestiere.
Non me ne frega niente di odiare qualcuno. Non me ne importa di essere contro. Io voglio gente che sappia fare, mettere d'accordo, progettare, costruire. Che aiuti me, proprio me; e lei che ne ha più bisogno di me. Non che faccia al posto nostro; ma che ci sostenga dove non abbiamo la forza.
In mezzo a questo trambusto, alle urla di chi odia, ci sono persone che sono così. Trovatele, anche voi. Questo è il senso di andare a votare. Questo è il senso di fare politica, governare. Non dimentichiamolo, mai. E ricordiamolo a chi l'ha scordato.

Il segno della croce


Nel tempo di Quaresima il segno della croce che facciamo quasi automaticamente, può diventare un momento di grande consapevolezza e testimonianza della nostra fede cristiana.

Cosa distingue una preghiera cristiana dalle preghiere di altre religioni e culture? Può essere il segno della croce che tracciamo sul nostro corpo dando a ciascuna persona della Trinità il giusto posto. Questo gesto così semplice, che insegniamo ai bambini fin da piccoli, racchiude profondi significati teologici che richiamiamo brevemente alla memoria.
Alzo la mano verso l’alto. E’ la linea del Padre a cui è riservato il posto più alto e nobile della mia persona: il viso, la fronte. Mentre dico: “Nel nome del Padre” mi fermo un istante in questa posizione e riconosco Dio come creatore e signore della mia vita.
Ora la mano si abbassa in verticale dalla fronte al centro del grembo, della mia umanità. E’ la linea dell’incarnazione, la linea del Figlio che, generato dal Padre, è sceso nel mondo per abitare in mezzo a noi, dentro di noi. In questo mio centro è presente il Figlio: la mia umanità gli appartiene.
Ora traccio energicamente e lentamente la linea che congiunge la spalla sinistra alla destra E’ la linea dello Spirito santo che con la sua azione continua a diffondere la salvezza di Gesù sull’intera umanità. Il punto di massima espansione del mio corpo, infatti, sono le spalle. Prendo coscienza che questo gesto significa il passaggio dell’energia dello Spirito datore di vita, sul cosmo, sul mondo intero, sulla mia persona nella sua totalità.
Ho tracciato su di me il movimento della salvezza compiuto dalla Trinità: la sua origine nel Padre, la sua venuta nella persona del Figlio, la sua permanenza ovunque nello Spirito.
Tracciando due linee: dall’alto in basso, da sinistra a destra ho disegnato una croce, il segno in cui sono redento. Il segno dell’amore crocifisso di Dio è impresso in me, opera in me e attraverso di me.
- Nadia Bonaldo - http://www.paoline.it

grande settimana

L’ingresso nella Settimana Santa, la settimana grande dell’amore fino alle estreme conseguenze (Gv 13,1), è segnato quest’anno dal racconto della passione e morte di Cristo, narrata dall’evangelista Luca (Vangelo). Quella Passio non è solo storia del passato: gli stessi avvenimenti si ripetono oggi. I personaggi di allora (Caifa, Erode, Pilato, farisei, sacerdoti, Pietro, Giuda, Cireneo, pie donne, soldati, Centurione, Giuseppe d’Arimatea…) sono emblematici di quanto succede oggi nei riguardi di Cristo e dei sofferenti, con i quali Egli si identifica (cf Mt 25,35s). Ogni persona, ognuno di noi può trovarsi ad essere, oggi, nel bene o nel male, l’uno o l’altro dei personaggi della passione di Gesù. Oggi, ognuno può essere, per esempio, come le pie donne, che accompagnano Gesù nel dolore; o essere come il Cireneo, persone capaci di portare il fardello altrui; o come Maria, ai piedi della croce…
Settimana Santa: con un “cuore grande quanto il mondo”P. Romeo Ballan

Donaci o Padre, di entrare
in questa grande settimana,
con umiltà e riconoscenza
lasciandoci coinvolgere e sorprendere
dall’evento della passione e morte del tuo Figlio Gesù,
nostro Salvatore,
per partecipare gioiosi alla sua risurrezione.

«‘Ho sete!’ Disse Gesù quando, sulla croce, era privo di qualsiasi consolazione. Rinnovate il vostro zelo per saziare la sua sete nelle dolorose sembianze dei più poveri dei poveri: "Voi l’avete fatto a me". Non separate mai queste parole di Gesù: "Ho sete" e "voi l’avete fatto a me"».

(Dagli scritti di Madre Teresa di Calcutta).

«Celebra la Pasqua con Cristo soltanto colui che sa amare, sa perdonare, sa sfruttare la forza più grande che Dio ha posto nel cuore dell’uomo: l’amore. La Chiesa sente che il suo cuore è come quello di Maria, grande quanto il mondo, senza nemici, senza risentimenti».

(Dalle catechesi di mons. Oscar A. Romero, nella Settimana Santa 1978).

L’universalità, la cattolicità significa che nessuno può porre come assoluto se stesso, la sua cultura e il suo mondo. Ciò richiede che tutti ci accogliamo a vicenda, rinunciando a qualcosa di nostro. L’universalità include il mistero della croce – il superamento di se stessi, l’obbedienza verso la comune parola di Gesù Cristo nella comune Chiesa. L’universalità è sempre un superamento di se stessi, rinuncia a qualcosa di personale. L’universalità e la croce vanno insieme. Solo così si crea la pace"

Benedetto XVI

Omelia nella Domenica delle Palme, 5.4.2009


venerdì 26 marzo 2010

Non dire mai: "Mai"


Non dire mai: "Io",
di' invece: "Noi".

Non dire mai: "Mio",
di' invece: "Nostro".
Non dire mai: "Tocca a lui",
di' invece: "Incomincio io".
Non dire mai: "Non posso",
di' invece: "Eccomi".
Non dire mai: "Vattene!",
di' invece: "Vieni!".
Non dire mai: "Domani",
di' invece: "Oggi"
Non dire mai: "Morte",
di' invece: "Vita".

Non dire mai: "Mai"...

S. Lawrence

giovedì 25 marzo 2010

fiat - eccomi


INNO ALLA DONNA

Stupenda

immacolata fortuna

per te tutte le creature del

regno

si sono aperte

e tu sei diventata la regina

delle nostre ombre

per te gli uomini

hanno preso

innumerevoli voli

creato l’alveare del

pensiero

per te donna è sorto

il mormorio dell’acqua

unica grazia

e tremi per i tuoi

incantesimi

che sono nelle tue mani

e tu hai un sogno

per ogni estate

un figlio per ogni pianto

un sospetto d’amore

per ogni capello

ora sei donna tutto un

perdono

e così come vi abita

il pensiero divino

fiorirà in segreto

attorniato

dalla tua grazia.

Alda Merini

La Speranza è la mia vocazione di cristiano


L’oggi si fa chiaro nel domani.
Il contadino, quando semina,
ha negli occhi il fulgore del giugno,e va verso quello
mentre la nebbia ottombrina gli vela lo sguardo.
La primavera incomincia con il primo fiore,
il giorno con il primo barlume,
la notte con la prima stella,
il torrente con la prima goccia,
il fuoco con la prima scintilla,
l’amore con il primo sogno.
La speranza vede la spiga
quando i miei occhi di carne
non vedono che il seme che marcisce.
L’uomo cammina e la Speranza gli fa buona ogni strada,
anche la strada della croce.
Sentirmi ospite e pellegrino in qualunque dimora terrena,
dentro e fuori di ogni casa;
sentirmi da capo ad ogni arrivo,
sotto una tenda anche nel palazzo più quadrato;
avere sempre l’ultimo anello della catena da saldare,
una mano tesa verso qualcuno,
un sospiro per qualche cosa..,
è la mia vocazione di cristiano.
L’uomo non è mai tanto povero
come quando s’accorge che gli manca tutto;
non e mai tanto grande come quando da questa stessa povertà,
tende le braccia e il cuore verso Qualcuno.
Chi ha Qualcuno davanti non si ferma più e nessuno lo ferma,
neanche la morte,
perché Lui è più forte della morte.

don Primo Mazzolari

mercoledì 24 marzo 2010

L’opposto di un popolo cristiano è un popolo triste, un popolo di vecchi.


«Quella è gente impastata di melassa. Ma una cristianità né più ne meno di un uomo, non si tiene in vita a forza di melassa. Non sta scritto che fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Bene, il nostro povero mondo è come il vecchio Giobbe sul letamaio, devastato da piaghe e ulcere. Brucia, sai, il sale su una pelle a vivo. Ma in compenso le impedisce di marcire»

«L’opposto di un popolo cristiano è un popolo triste, un popolo di vecchi. (…) Per quale ragione gli anni della prima infanzia ci sembrano tanto dolci, splendenti? Un bambino soffre come chiunque altro e in fin dei conti è del tutto disarmato contro il dolore, la malattia. L’infanzia e la vecchiaia estrema dovrebbero essere le due grandi prove per l’uomo. Ma è dal sentimento della propria debolezza che il bambino ricava umilmente il principio stesso della gioia. Confida nella madre, capisci? Presente, passato e futuro- tutta la sua vita è racchiusa in uno sguardo, e questo sguardo è un sorriso. (…) La Chiesa ha ricevuto in compito dal buon Dio di conservare nel mondo questo spirito di infanzia, questa semplicità, questa freschezza (…) La Chiesa è depositaria della gioia, di tutto il patrimonio di gioia riservato a questo triste mondo. Quello che avete fatto contro di lei è stato fatto contro la gioia»

(Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna)



Nel 30° anniversario dell’assassinio di Oscar Arnulfo Romero (24 marzo 2010 - giornata di preghiera e digiuno per tutti i missionari martiri)



http://www.aocchiaperti.org/index.php/editoriali/14-notizie/49-ricordando-il-vescovo-romero
Scritto da Enrico Fantoni
“Se mi uccideranno risorgerò nel popolo salvadoregno”
Ricordo perfettamente l’emozione, lo sgomento, la paura che suscitò la notizia dell’assassinio di mons. Romero in quel lontano 24 marzo 1980… E questa memoria non ha niente a che vedere con quel revival di figure e di idee che ha popolato la gioventù di tutti noi. Mons. Romero è presente per ben altri motivi.
Quando fu ordinato vescovo nel 1974, Romero era una persona moderata, sospettosa verso tutto ciò che metteva in discussione l’ordine costituito. Tuttavia possedeva una grande virtù: sapeva ascoltare. Così quando vide cadere intorno a sé, assassinati dagli squadroni della morte, un numero sempre maggiore di sacerdoti e di laici colpevoli solo di vivere la tensione evangelica verso i poveri, Romero cominciò ad interrogarsi seriamente sulla propria vita e sulle scelte pastorali. Come ebbe spesso a ricordare, furono le morti dei suoi sacerdoti a convertirlo, a farlo non solo riflettere, ma a costringerlo a cambiare atteggiamento nei confronti di un regime sempre più violento nel reprimere tutto ciò che si discostava dalla pura obbedienza alla legge del più forte.
Da quel momento mons. Romero divenne e si mantenne fino alla fine l’unica voce non violenta capace di opporsi con successo alle ondate di violenza del regime. Questa fedeltà non venne mai meno. Sicuramente quando la domenica prima di essere ucciso sull’altare pronunciò quelle parole: “In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, vi ordino: non uccidete! Soldati, gettate le armi…”, sapeva benissimo che gli potevano costare la vita, ma non tacque.
Mons. Romero incarna quell’essere Chiesa che attraverso la capacità di ascolto, di conversione e di fedeltà alle scelte fatte è un modello nel quale vorremmo riconoscerci tutti. Per questo quel 24 marzo 1980 è così vicino a noi.




Fratelli che fanno arrossire


Arshad Masih era mio fratello. Fratello nella fede e per quanto mi riguarda fratello a tutti gli effetti. Aveva 38 anni, una moglie e tre figli ed è stato arso vivo in Pakistan perché cristiano. Non lo conoscevo, eppure eravamo fratelli. Credevamo nello stesso Padre, nella stessa Chiesa, nello stesso Salvatore, nella stessa speranza di risorgere alla Vita Eterna. Non so quale fosse il suo cibo preferito, quale il suo colore prediletto, cosa amasse della vita e perché avesse scelto di essere cristiano in un paese a stramaggioranza islamica, ma era mio fratello. So solo che era pakistano, come quelli che tante volte mi si sono avvicinati in pizzeria o a villa Borghese implorando di comprare una rosa e che con ruvida gentilezza ho sempre allontanato. Il suo datore di lavoro musulmano gli aveva intimato di convertirsi all’Islam e, dopo l’ennesimo rifiuto, un gruppo di fanatici ha pensato bene di cospargerlo di benzina e darlo alle fiamme; la moglie è corsa immediatamente a denunciare il misfatto ma i poliziotti, anziché ascoltarla e intervenire, l’hanno stuprata senza pietà di fronte ai suoi tre figli. Arshad Masih era mio fratello. Recitava lo stesso mio Credo, la stessa Eucaristia, tra qualche giorno anche la stessa Pasqua. La sua fede l’ha testimoniata sulla graticola come un novello San Lorenzo mentre per noi, della parte cristiana del mondo, è un problema se la Messa c'è alle 18:00 e alle 19:00 ma non alle 18:30.
L’oste

09:00 Scritto da : osteriavolante in 3- chiesa




Il Cireneo del terzo millennio!

Penso che ogni parola aggiunta a ciò che ho trovato in http://cogitor.splinder.com/ sia inutile.


(Tintoretto, 1565, Venezia)Il volto del Cireneo e quello di Cristo sono rappresentati in asse, uno sopra l’altro. Anche i lineamenti del volto appaiono simili. In entrambi il capo è inclinato e gli occhi sono chiusi; nel loro viso si legge una certa rassegnazione (forzata per il Cireneo, consapevole quella di Cristo). L’idea del Tintoretto sembrerebbe quella di voler sovrapporre le due immagini, divise e unite dal peso della croce.

Perché Signore! Perché proprio a me il carico di questa croce?

«Non limitarti a chiedere “Perché?”. Abbi il coraggio di sciogliere la barca e andare al largo. Solo gli uomini che osano solcare i mari e seguire le vie del vento trovano risposte» (Anonimo).

«Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù» (Lc 23, 26).
«Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”» (Luca 9, 23).

martedì 23 marzo 2010

data presa per ricordare


Un numero una data
che diventa nostra
presa in prestito al tempo
un attimo per ricordare
ancora
quello che abbiamo vissuto
nel bene e nel male
nella nostra vita.
Il tempo solo ci fa ricordare
di un giorno che non tornerà.
Sogna ancora uomo, sogna.
Voglio vivere amare gioire come mi hai insegnato tu.
finchè potrò ricordarti.

Giancarlo Arcucci


lunedì 22 marzo 2010

Un Cristianesimo mutilato è un Cristianesimo inaridito o tradito

Continuando quanto iniziato un'ora fa non dobbiamo mutilare il messaggio ricevuto e da http://shaphiro.splinder.com/

Il tarocco esiziale





«Del Cristianesimo, volenti o nolenti, non v’è scampo perché non è lecito salvarsi da ciò che salva. Anche nel mondo spirituale tutte le difese e le offese che avete tentato per contrapporre nuove fedi e dottrine al Cristianesimo non sono che lacerti o contraffazioni del Cristianesimo stesso. Tutte le eresie filosofiche, tutte le sette e le chiese laiche, tutte le teorie sociali e rivoluzionarie pullulate nei recenti secoli non sono altro che tentativi di prendere uno degli elementi della sintesi cristiana tralasciando o negando tutti gli altri. Ma quell’elemento che è salutare ed efficace finché riman fuso e collegato nella sintesi divina operata da Cristo diviene, appena scerpato dall’insieme a assunto come principio unico di verità, pericolo e causa di errori. Anche qui la separazione è peccato contro lo spirito. Non è lecito dividere ciò che Dio volle unire. Avulsi dalla rivelata unità, deformati con la pretesa di trasformarli in assoluti a sé stanti, quei principi si corrompono e si steriliscono. La promessa del paradiso diventa brama del paese di Cuccagna, l’obbligo del lavoro si muta in confisca dei frutti dell’altrui lavoro, il comando della carità decade in gelida filantropia, l’amor fraterno si muta in solidarietà razionale e convenzionale. Ciò che nella luce soprannaturale della sintesi cristiana era farmaco si converte, trasportato nell’ordine umano e terriano, in veleno. Un Cristianesimo mutilato è un Cristianesimo inaridito o tradito»

(G.Papini, Lettere agli uomini di papa Celestino VI, Firenze, 1947(3a ed.), 274s.)

Cenere siamo

Mi piace riproporre queste rige che ho trovato in
http://quidestveritas.splinder.com/
non servono solo per
mercoledì, 17 febbraio 2010
ma servono per ricordarci chi siamo che dobbiamo

OBBEDIENZA

Occupiamo un posto che non ci è lecito disertare!

Ci sono i cattolici della
domenica, gente che magari
è capace di votare Emma Bonino. Ci
sono i cattolici del Natale: meglio che
niente, ovvio, ma finita la festa gabbato è
Gesù. Ci sono i cattolici della Pasqua,
con l’ottimismo sciocco da uovo di cioccolato.
I cattolici sale, luce, medicina del
mondo sono quelli delle Ceneri, che oggi
vanno a messa ritagliandosi un’ora tra
gli impegni di una giornata normalmente
lavorativa per farsi mettere un po’ di
polvere sui capelli. E’ il contrario di tingersi:
è ingrigirsi. E’ il contrario di fingersi:
è autenticarsi. E’ riconoscere il
proprio ruolo, non esattamente centrale.
Tutto ciò nella giornata mondiale della
lotta contro la Hybris, la più grave malattia
dell’anima.
Camillo Langone
[Il Foglio 17 febbraio 2010]

Crocifisso in classe

In queto periodo della Quaresima riporto un articolo di Natalia Ginzburg che ho trovato sul sito di Rosario Carello il conduttore di "A sua Immagine" http://www.rosariocarello.it/
Non togliete quel crocifisso
Natalia Ginzburg per L’Unità del 22 marzo del 1988

Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente.
Il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo.
Chi è ateo, cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo.
Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. E’ vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti.

Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero.
Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Natalia Ginzburg

domenica 21 marzo 2010

Gesù, abbi pietà di me


I monaci vedono nella preghiera fatta a Gesù il compendio di tutto il vangelo. Essa rimanda all'episodio della guarigione di Bartimeo (Mc 10,47), in cui Bartimeo prega Gesù di guarirlo dalla sua cecità: «Gesù, abbi pietà di me»; e all’episodio in Lc 18,13 in cui il pubblicano si presenta con umiltà a Gesù e lo prega così: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore!».
Due elementi fondamentali trovano espressione in questa preghiera: uno è la preghiera per la guarigione. Ci portiamo appresso tutte le ferite e nella preghiera chiediamo a Dio che le guarisca. E spesso siamo ciechi: non vogliamo vedere la realtà come è veramente, chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà della nostra vita, di fronte alla realtà del nostro prossimo e del mondo intero. Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
Spesso chiediamo troppo a noi stessi quando vogliamo vedere la realtà in faccia. Solo se Cristo ci prende per mano, come ha fatto con Bartimeo, troviamo il coraggio di guardare la realtà apertamente. Non dobbiamo più averne paura perché sappiamo che Cristo è con noi e ci fa scoprire la verità del mondo. Possiamo vedere il mondo nella sua autenticità perché in ogni parte di esso incontriamo anche Dio.
L’altro elemento fondamentale è l’umiltà del pubblicano, che non ha fiducia in se stesso e in ciò che fa, mentre ripone la propria fiducia nella pietà di Dio. E' la grande fiducia nel fatto che Dio ci accetta così come siamo. Se nelle mie preghiere ripeto sempre: «Gesù Cristo, abbi pietà di me», questa non è solo una preghiera incessante perché egli abbia pietà, ma piuttosto rappresenta il prendere coscienza di questa pietà, un ringraziamento nei confronti del Dio misericordioso.
Col passare del tempo questa preghiera produce una profonda pace interiore e una gioia silenziosa nei riguardi di Dio, di fronte al quale posso essere così come sono, anche se debole o colpevole. E gradualmente io stesso divento più misericordioso nei miei confronti. Non mi tormento più con rimproveri se commetto un errore: al contrar
io, sottopongo l’errore alla pietà di Dio. Così mi concilio con esso e provo maggiore compassione per il mio prossimo. Se sento durante l’ascolto di una confessione che giudizi negativi affiorano dentro di me, la preghiera di Gesù mi aiuta ad assumere un atteggiamento di maggiore misericordia nei confronti dell’altro. In questo modo rendo meglio giustizia al suo mistero di quanto potrei fare attraverso i miei pregiudizi affrettati, nei quali vedo l’altro solo attraverso gli occhiali delle mie proiezioni.
Tratto da: A. Grun, Preghiera come incontro - ed. Messaggero Padova