O tu che sei il più intimo spirito del mio essere!
Sei contento di me, Signore della mia vita?
Perché ti ho dato il calice,
pieno di ogni sofferenza e di ogni gioia,
che i grappoli spremuti del mio cuore hanno prodotto.
Io tesso con il ritmo di colori e canti la coperta del tuo letto,
e con l’oro fuso dei miei desideri
ho fatto giocattoli per il tuo diletto.
Non so perché mi hai scelto come tuo compagno,
o Signore della mia vita!
Hai riunito i miei giorni e le mie notti,
i miei atti e i miei sogni per l’alchimia della tua arte,
e suonando al ritmo della tua musica i miei canti di autunno e primavera,
raccogli i fiori dei miei momenti maturi per la tua corona...
Vedo i tuoi occhi contemplare il buio del mio cuore,
o Signore della mia vita!
Mi chiedo se le mie cadute e i mei errori saranno perdonati.
Perché molti furono i miei giorni oziosi
e le mie notti di oblio;
vani furono i fiori che appassirono all’ombra, non dedicati a te.
Spesso le stanche corde del mio liuto
si ruppero alla tensione delle tue canzoni.
Come pure, sovente, davanti al rovinio delle ore dissipate,
si riempirono di pianto le mie desolate notti.
Ma, sono giunti, infine, i miei giorni al loro traguardo,
Signore della mia vita!,
mentre vacillano le mie braccia intorno a te
e i miei baci perdono la loro verità?
Se è così, interrompi l’incontro di questo languido giorno,
rinnova il vecchio in me in nuove forme di piacere,
e si ripetano le nozze
in una nuova cerimonia di vita.
(Rabindranath Tagore, The religion of man).
sabato 10 agosto 2013
venerdì 9 agosto 2013
il cielo diventa nuovo e nuova la terra e tutto va al suo giusto posto con il tuo alito.
Chi sei tu, dolce luce, che mi riempie e rischiara l’oscurità del mio cuore?
Tu mi guidi come una mano materna
e mi lasci libera,
così non saprei più fare un passo.
Tu sei lo spazio che circonda il mio essere e lo racchiude in sé,
da te lasciato cadrebbe nell’abisso del nulla, dal quale tu lo elevi all’essere.
Tu, più vicino a me di me stessa e più intimo del mio intimo
e tuttavia inafferrabile ed incomprensibile che fai esplodere ogni nome:
Spirito Santo - Amore eterno!
Non sei la dolce manna che dal cuore del Figlio fluisce nel mio, cibo degli angeli e dei santi?
Egli, che si levò dalla morte alla vita, ha risvegliato anche me ad una vita nuova
dal sonno della morte e mi dà una nuova vita di giorno in giorno,
e un giorno la sua pienezza mi sommergerà, vita dalla tua vita - tu stesso:
Spirito Santo - Vita eterna.
Sei tu il raggio che guizza giù dal trono del giudice eterno ed irrompe nella notte dell’anima che mai si è conosciuta?
Misericordioso ed inesorabile penetra nelle pieghe nascoste.
Si spaventa alla vista di se stessa lascia spazio
al santo timore, inizio di ogni sapienza,
che viene dall’alto e ci àncora con forza nell’alto:
alla tua opera, come ci fa nuovi,
Spirito Santo - Raggio Impenetrabile!
Sei tu la pienezza dello Spirito e della forza con cui l’agnello sciolse il sigillo dell’eterno decreto divino?
Da te sospinti i messaggeri del giudice cavalcano per il mondo
e separano con spada tagliente il regno della luce dal regno della notte.
Allora il cielo diventa nuovo e nuova la terra e
tutto va al suo giusto posto con il tuo alito.
Spirito Santo - Forza vittoriosa.
Tu sei l'artefice che costruisce il duomo eterno che s’innalza dalla terra al cielo.
Da te animate s’innalzano le colonne e restano saldamente fisse.
Segnate con il nome eterno di Dio si alzano verso la luce sostenendo la cupola,
che chiude il santo duomo coronandolo,
la tua opera che trasforma il mondo.
Spirito Santo - Mano creatrice di Dio.
Sei tu colui che creò il chiaro specchio, vicinissimo al trono supremo, come un mare di cristallo, in cui la divinità amando si guarda?
Ti chini sulla più bella opera della tua creazione
e raggiante ti illumina il tuo proprio splendore,
e la pura bellezza di tutti gli esseri,
unita nel grazioso aspetto della Vergine, tua immacolata sposa:
Spirito Santo - Creatore dell'universo.
Sei tu il dolce canto dell’amore e del santo timore che eternamente risuona attorno al trono della Trinità e sposa in sé il puro suono di tutti gli esseri?
L’armonia che congiunge le membra al capo,
in cui ciascuno, felice, trova il segreto senso del suo essere e giubilante irradia,
liberamente sciolto nel tuo fluire.
Spirito Santo - Giubilo eterno!
(Teresa Benedetta della Croce, Preghiera allo Spirito Santo).
giovedì 8 agosto 2013
ma sono state soprattutto le 'interruzioni' intervenute nella mia vita di ogni giorno a rivelarmi il mistero divino di cui faccio parte.
HENRI J. M. NOUWEN
Al di là dello specchio
Riflessioni sulla vita e sulla morte
Dal Prologo del libro
Libri e articoli hanno avuto una parte importante nella mia ricerca di Dio, ma sono state soprattutto le 'interruzioni' intervenute nella mia vita di ogni giorno a rivelarmi il mistero divino di cui faccio parte.
Un lungo periodo di solitudine in un monastero trappista che interruppe un'intensa attività didattica, la morte improvvisa di mia madre che interruppe il vincolo più saldo con la mia famiglia, il trovarmi a faccia a faccia con la povertà nell' America Latina che interruppe una vita comoda e borghese nell' America settentrionale, un invito a vivere con persone mentalmente handicappate che interruppe una carriera accademica, la rottura di una profonda amicizia che interruppe una sensazione sempre più forte di sicurezza affettiva - tutti questi avvenimenti mi obbligarono più volte a chiedermi: «Dov' è Dio? Chi è Dio per me?». Erano interruzioni che si presentavano come altrettante possibilità di andare al di là dei modelli normali della vita di ogni giorno e di trovare connessioni più profonde che non le antiche salvaguardie del mio benessere fisico, affettivo e spirituale. Ogni interruzione m'invitava a considerare in modo nuovo la mia identità davanti a Dio. Ogni interruzione mi portava via qualche cosa, ma mi offriva qualcosa di nuovo in compenso. Al di là del successo nell'insegnamento c'era la pace interiore della solitudine e della comunità; al di là del vincolo con mia madre c'era la presenza materna di Dio; al di là delle comodità dell' America settentrionale c'erano i sorrisi dei figli di Dio in Bolivia e in Perù; al di là della carriera accademica c'era la vocazione di 'toccare' Dio in coloro che hanno mente e corpo infermi; al di là di un' amicizia quanto mai fraterna c'era la comunione con un Dio che voleva ogni fibra del mio cuore. Insomma, al di là di una posizione sociale che mi rendeva piacevole la vita, c'erano le molte possibilità di una relazione con il Dio di Abramo e Sara, di Isacco e Rebecca, di Giacobbe, Lea e Rachele: col Padre di Gesù che si chiama Amore.
Tutte queste interruzioni che m'invitavano ad andare oltre mi costringevano a scrivere. Anzitutto, per il semplice motivo che lo scrivere mi sembrava l'unico modo che avessi per non scoraggiarmi nelle mie interruzioni, spaventose e spesso disastrose, e per non separarmi dalla mia più intima personalità quando mi trasferivo da luoghi noti a luoghi ignoti. Scrivendo, mi era più facile restare uri po' più raccolto in mezzo al tumulto che mi frastornava e discernere meglio la voce soave dello Spirito di Dio, guida sicura in mezzo alla cacofonia di voci che mi distoglievano dalla retta via. C'era però anche un secondo motivo. In un certo senso ero convinto che scrivendo potevo far emergere qualcosa di valore perenne dalle sofferenze e paure della mia povera, effimera vita. Ogni volta che la vita mi chiedeva di fare un altro passo avanti in un territorio spirituale sconosciuto, sentivo una forte spinta interiore di dirlo agli altri - forse per un bisogno di compagnia, ma forse anche perché sono consapevole che la mia vocazione più profonda è di testimoniare la grazia che Dio mi ha fatto di poterlo intravedere fin da questa vita.
mercoledì 7 agosto 2013
Se invece le interruzioni fossero in realtà delle opportunità, se ci sfidassero ad una risposta interiore che dà luogo ad una crescita, facendoci giungere alla completezza dell’essere?
Henri Nouwen
Le interruzioni che modellano
Durante una visita all’Università di Notre Dame, dove avevo insegnato per qualche anno, ho incontrato un vecchio professore, pieno di esperienza, che vi aveva trascorso gran parte della sua vita. E, mentre passeggiavamo per lo stupendo campus, egli disse con una punta di malinconia nella voce: “Sai....per tutta la vita ho protestato perchèil mio lavoro veniva interrotto continuamente, finchè ho scoperto che quelle interruzioni erano il mio lavoro:”
Noi guardiamo forse spesso ai vari avvenimenti della nostra vita come interruzioni, grandi o piccole, che interrompono i nostri piani, i nostri progetti, i nostri disegni di vita?
Non protestiamo internamente quando uno studente interrompe la nostra lettura, il cattivo tempo la nostra estate, la malattia i nostri progetti bene elaborati, la morte di un amico la nostra pacifica quiete mentale, e le svariate e discordanti realtà dell’esistenza i sogni che avevamo sognato? E questa serie di interruzioni senza fine non produce forse nel nostro cuore sensi di rabbia, di frustrazione e anche di vendetta, tanto che a volte ci appare realmente possibile che vecchiaia sia sinonimo di amarezza?
Se invece le interruzioni fossero in realtà delle opportunità, se ci sfidassero ad una risposta interiore che dà luogo ad una crescita, facendoci giungere alla completezza dell’essere? E se gli avvenimenti della nostra storia ci modellassero come lo scultore modella l’argilla, per cui solo obbedendo assiduamente a queste mani che ci modellano si possa scoprire la nostra vera vocazione, diventando così persone mature? E se le interruzioni improvvise non fossero, di fatto, altro che inviti ad abbandonare i modelli di vita antiquati e fuori moda, dischiudendoci campi di esperienza nuovi ed inesplorati? Infine: se la nostra storia si rivelasse non come una sequenza cieca ed impersonale di eventi che non possiamo controllare, bensì come una mano che ci guida verso un incontro personale in cui tutte le nostre speranze e le nostre aspirazioni saranno soddisfatte?
In questo caso, la nostra vita sarebbe una vita diversa, perchè il fato diventerebbe occasione, le ferite avvertimento, e la paralisi invito a cercare sorgenti più profonde di vitalità. In questo caso, potremmo cercare la speranza nelle città che piangono, negli ospedali in fiamme, nella disperazione dei genitori e dei figli. Allora potremmo respingere la tentazione a disperare, parlando invece dell’albero che fruttifica, mentre osserviamo la morte del seme. Allora potremmo in verità evadere dal carcere dell’anonima serie di eventi per prestare orecchio attento al Dio della Storia che ci parla dal centro della nostra solitudine, rispondendo al suo appello, sempre nuovo, per la nostra conversione.
Le interruzioni che modellano
Durante una visita all’Università di Notre Dame, dove avevo insegnato per qualche anno, ho incontrato un vecchio professore, pieno di esperienza, che vi aveva trascorso gran parte della sua vita. E, mentre passeggiavamo per lo stupendo campus, egli disse con una punta di malinconia nella voce: “Sai....per tutta la vita ho protestato perchèil mio lavoro veniva interrotto continuamente, finchè ho scoperto che quelle interruzioni erano il mio lavoro:”
Noi guardiamo forse spesso ai vari avvenimenti della nostra vita come interruzioni, grandi o piccole, che interrompono i nostri piani, i nostri progetti, i nostri disegni di vita?
Non protestiamo internamente quando uno studente interrompe la nostra lettura, il cattivo tempo la nostra estate, la malattia i nostri progetti bene elaborati, la morte di un amico la nostra pacifica quiete mentale, e le svariate e discordanti realtà dell’esistenza i sogni che avevamo sognato? E questa serie di interruzioni senza fine non produce forse nel nostro cuore sensi di rabbia, di frustrazione e anche di vendetta, tanto che a volte ci appare realmente possibile che vecchiaia sia sinonimo di amarezza?
Se invece le interruzioni fossero in realtà delle opportunità, se ci sfidassero ad una risposta interiore che dà luogo ad una crescita, facendoci giungere alla completezza dell’essere? E se gli avvenimenti della nostra storia ci modellassero come lo scultore modella l’argilla, per cui solo obbedendo assiduamente a queste mani che ci modellano si possa scoprire la nostra vera vocazione, diventando così persone mature? E se le interruzioni improvvise non fossero, di fatto, altro che inviti ad abbandonare i modelli di vita antiquati e fuori moda, dischiudendoci campi di esperienza nuovi ed inesplorati? Infine: se la nostra storia si rivelasse non come una sequenza cieca ed impersonale di eventi che non possiamo controllare, bensì come una mano che ci guida verso un incontro personale in cui tutte le nostre speranze e le nostre aspirazioni saranno soddisfatte?
In questo caso, la nostra vita sarebbe una vita diversa, perchè il fato diventerebbe occasione, le ferite avvertimento, e la paralisi invito a cercare sorgenti più profonde di vitalità. In questo caso, potremmo cercare la speranza nelle città che piangono, negli ospedali in fiamme, nella disperazione dei genitori e dei figli. Allora potremmo respingere la tentazione a disperare, parlando invece dell’albero che fruttifica, mentre osserviamo la morte del seme. Allora potremmo in verità evadere dal carcere dell’anonima serie di eventi per prestare orecchio attento al Dio della Storia che ci parla dal centro della nostra solitudine, rispondendo al suo appello, sempre nuovo, per la nostra conversione.
martedì 6 agosto 2013
non venga scoperto davanti ai tuoi occhi, il mio peccato se, ingannata dalla debolezza della mia natura, ho peccato con la parola,con le azioni e con il pensiero.
Preghiera di Macrina morente
Tu, o Signore, distruggesti per noi la paura della morte.
Tu rendesti per noi inizio della vera vita la fine dell'esistenza di quaggiù.
Tu per qualche tempo fai riposare nel sonno i nostri corpi e li svegli di nuovo al suono dell'ultima tromba.
Tu dai in deposito alla terra, la nostra terra che plasmasti con le tue mani e di nuovo fai rivivere ciò che ci hai dato, trasformando con l'immortalità e la grazia quello che in noi è mortale e deforme.
Tu ci salvasti dalla maledizione e dal peccato, diventando per noi l'una e l'altro.
Tu schiacciasti le teste del serpente, che attraverso l'abisso della disobbedienza afferrò l'uomo nelle sue fauci.
Tu ci apristi la strada della resurrezione, spezzando le porte dell'inferno e rendendo impotente colui che dominava sulla morte.
Tu desti a coloro che ti temono come vessillo il segno della santa croce, per distruggere l'avversario e rendere sicura la nostra vita.
O Dio eterno, verso il quale mi sono slanciata fin dal seno di mia madre, che la mia anima amò con tutta la sua forza, al quale consacrai e la mia carne e il mio spirito dalla mia giovinezza fino ad ora, tu mettimi accanto un angelo luminoso che mi conduca per mano al luogo del refrigerio, dove si trova l'acqua del riposo, presso il seno dei santi patriarchi.
Tu che hai spezzato la spada fiammeggiante e hai restituito al Paradiso l'uomo che è stato crocifisso insieme a te, e che si era affidato alla tua misericordia, anche di me ricordati nel tuo regno, perchè anche io sono stata crocifissa insieme a te, io che ho inchiodato le mie carni per rispetto religioso di te e che ho temuto i tuoi giudizi.
Non mi separi dai tuoi eletti l'abisso spaventoso; non si frapponga il Maligno sul mio cammino; non venga scoperto davanti ai tuoi occhi, il mio peccato se, ingannata dalla debolezza della mia natura, ho peccato con la parola,con le azioni e con il pensiero.
Tu che hai sulla terra il potere di rimettere i peccati, perdonami affinchè io possa avere ristoro e perchè venga trovata al tuo cospetto, nel momento in cui vengo spogliata del mio corpo, senza macchia, nella forma della mia anima, ma che il mio spirito, perfetto ed immacolato, venga accolto nelle tue mani come incenso di fronte a te.
Macrina è la primogenita di dieci figli, nasce a Cesarea, in Cappadocia, da Basilio ed Emmelia, famiglia del Ponto, in Grecia, quando viene alla luce è il 324; la sua è una famiglia benedetta da Dio, in quanto oltre a lei, troviamo Pietro, sacerdote e monaco, San Basilio Magno, Vescovo di Cesarea e San Gregorio di Nissa. Macrina venne soprannominata la giovane, per differenziarla dalla nonna, detta lanziana; venne educata fin da piccola alle Sacre Scritture e dalladolescenza divenne preda di molti spasimanti, grazie alla sua straordinaria bellezza. Il padre scelse per lei lo spasimante giusto, ma il ragazzo morì prematuramente, allora Macrina, che voleva consacrarsi al Signore, giurò fedeltà al giovane, come una sposa che attende il marito; riuscendo così ad evitare ulteriori spasimanti, potendo dedicarsi totalmente a Dio. Rimasta in casa aiutò la madre, diventata vedova e accudì tutti i fratelli, finchè anche l'ultimo non fosse uscito di casa; una volta rimaste sole, convinse la madre a seguirla nella fondazione di un Monastero ad Annesi, presso Hore del Ponto.
Macrina fu molto influente nella preparazione del fratello Basilio, che lasciò la sua vita da erudito, per abbracciare il monachesimo, nel 356, diventando poi Vescovo di Cesarea nel 370; tornò a trovare la sorella in monastero nel 376 ed ordinò sacerdote il fratello minore Pietro, che viveva in un altro monastero vicino alla sorella. Nel 373 morì la madre e il 1° Gennaio 379 morì anche Basilio, lei in quel periodo, divenne superiora del monastero; di ritorno dal Concilio di Antiochia del 379, il fratello Gregorio, nel frattempo diventato Vescovo di Nissa, passò a trovare la sorella, ma la trovò in fin di vita, i due ebbero solo la possibilità di avere un colloquio spirituale e dopo una magnifica preghiera elevata a Dio, Macrina morì; era il 380. La sua vita e spiritualità ci è stata narrata dallo stesso Gregorio di Nissa; il suo corpo è stato sepolto nella Chiesa dei 40 Martiri di Sebaste, a poca distanza dal monastero in cui erano sepolti anche i suoi genitori. I funerali furono officiati dal Vescovo e vi partecipò una moltitudine di gente.
(fonte:santiebeati.it)
lunedì 5 agosto 2013
Nessuno deve sentirsi costretto ad essere assolutamente e perfettamente “originale” in ogni parola che scrive.
Paradossalmente,
ho trovato la pace perché sono sempre stato insoddisfatto.
I miei momenti di depressione e di disperazione finiscono per trasformarsi
in occasione di rinnovamento, in nuovi inizi.
Se mi succedesse una volta o l’altra di restare tranquillo
e soddisfatto con il tram tram quotidiano, con i suoi ritmi e i suoi cliché,
è perché sarebbe giunta l’ora di chiamare l’impresario delle pompe funebri.
Così, allora, questo malcontento che talvolta mi preoccupava
e ha certamente, lo so bene, preoccupato altri,
mi ha di fatto aiutato a muovermi liberamente e
persino allegramente nel flusso della vita.
Le mie proteste taciute (o espresse) mi hanno impedito di aggrapparmi a ciò che era ormai superato. Quando un pensiero è stato espresso, lascialo.
Quando qualcosa è stato scritto, pubblicalo e dedicati a qualcosa d’altro.
Tu potrai dire la stessa cosa un giorno, ad un livello più profondo.
Nessuno deve sentirsi costretto ad essere assolutamente e
perfettamente “originale” in ogni parola che scrive.
(Thomas Merton, A Thomas Merton Reader).
ho trovato la pace perché sono sempre stato insoddisfatto.
I miei momenti di depressione e di disperazione finiscono per trasformarsi
in occasione di rinnovamento, in nuovi inizi.
Se mi succedesse una volta o l’altra di restare tranquillo
e soddisfatto con il tram tram quotidiano, con i suoi ritmi e i suoi cliché,
è perché sarebbe giunta l’ora di chiamare l’impresario delle pompe funebri.
Così, allora, questo malcontento che talvolta mi preoccupava
e ha certamente, lo so bene, preoccupato altri,
mi ha di fatto aiutato a muovermi liberamente e
persino allegramente nel flusso della vita.
Le mie proteste taciute (o espresse) mi hanno impedito di aggrapparmi a ciò che era ormai superato. Quando un pensiero è stato espresso, lascialo.
Quando qualcosa è stato scritto, pubblicalo e dedicati a qualcosa d’altro.
Tu potrai dire la stessa cosa un giorno, ad un livello più profondo.
Nessuno deve sentirsi costretto ad essere assolutamente e
perfettamente “originale” in ogni parola che scrive.
(Thomas Merton, A Thomas Merton Reader).
domenica 4 agosto 2013
In questo modo non viviamo mai, ma speriamo di vivere; e, disponendoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai.
Non so se queste sono frasi per gli auguri ad una persona,
ma è una buona riflessione per chi mi sta a cuore,
sempre,
nell'adesso che passa e arriverà,
il presente che si fa dono ed è felicità che si fa trovare senza cercare.
Il tempo presente
Blaise Pascal, Pensieri (n.172)
Noi non ci atteniamo mai al tempo presente.
Anticipiamo il futuro come troppo lento a venire, come per affrettarne il corso;
oppure ricordiamo il passato per fermarlo come troppo rapido;
così imprudenti, che
erriamo nei tempi che non sono nostri, e
non pensiamo affatto al solo che ci appartiene,
e così vani, che
riflettiamo su quelli che non sono più nulla, e
fuggiamo senza riflettere quel solo che esiste.
Il fatto è che il presente, di solito, ci ferisce.
Lo dissimuliamo alla nostra vista perché ci affligge;
se invece per noi è piacevole, rimpiangiamo di vederlo fuggire.
Tentiamo di sostenerlo per mezzo dell'avvenire, e
ci preoccupiamo di disporre le cose che non sono in nostro potere,
per un tempo al quale non siamo affatto sicuri di arrivare.
Ciascuno esamini i propri pensieri:
li troverà sempre tutti occupati dal passato e dal futuro.
Il presente non è mai il nostro fine:
il passato ed il presente sono i nostri mezzi,
solamente il futuro è il nostro fine.
In questo modo non viviamo mai,
ma speriamo di vivere;
e, disponendoci sempre ad essere felici,
è inevitabile che non lo siamo mai.
ma è una buona riflessione per chi mi sta a cuore,
sempre,
nell'adesso che passa e arriverà,
il presente che si fa dono ed è felicità che si fa trovare senza cercare.
Il tempo presente
Blaise Pascal, Pensieri (n.172)
Noi non ci atteniamo mai al tempo presente.
Anticipiamo il futuro come troppo lento a venire, come per affrettarne il corso;
oppure ricordiamo il passato per fermarlo come troppo rapido;
così imprudenti, che
erriamo nei tempi che non sono nostri, e
non pensiamo affatto al solo che ci appartiene,
e così vani, che
riflettiamo su quelli che non sono più nulla, e
fuggiamo senza riflettere quel solo che esiste.
Il fatto è che il presente, di solito, ci ferisce.
Lo dissimuliamo alla nostra vista perché ci affligge;
se invece per noi è piacevole, rimpiangiamo di vederlo fuggire.
Tentiamo di sostenerlo per mezzo dell'avvenire, e
ci preoccupiamo di disporre le cose che non sono in nostro potere,
per un tempo al quale non siamo affatto sicuri di arrivare.
Ciascuno esamini i propri pensieri:
li troverà sempre tutti occupati dal passato e dal futuro.
Il presente non è mai il nostro fine:
il passato ed il presente sono i nostri mezzi,
solamente il futuro è il nostro fine.
In questo modo non viviamo mai,
ma speriamo di vivere;
e, disponendoci sempre ad essere felici,
è inevitabile che non lo siamo mai.
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