sabato 31 luglio 2010

lo sforzo é esattamente ciò di cui abbiamo bisogno

Esistono le sconfitte. Ma nessuno puo' sfuggirvi. Percio' è meglio perdere alcuni combattimenti nella lotta per i propri sogni, piuttosto che essere sconfitto senza neppure conoscere il motivo per cui si sta lottando.
(Paulo Coelho)

Un giorno, apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava  per caso, si mise a guardare la farfalla che per varie ore, si sforzava per  uscire da quel piccolo buco. Dopo molto tempo,  sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse  fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare niente altro. Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento.  L’uomo continuò ad  osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e  fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla! In quanto, la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di volare. Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinchè la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare. Era la forma con che Dio la faceva crescere e sviluppare

A volte, lo sforzo é esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita. Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati. Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare. 
(Piccole storie per l'anima)

se solo te lo concedessi

Gli animali si riunirono in assemblea e iniziarono a lamentarsi che gli esseri umani non facevano altro che portar via loro qualcosa.
"Si prendono il mio latte", disse la mucca.
"Si prendono le mie uova", disse la gallina.
"Usano la mia carne per farne pancetta" disse il maiale.
"Mi danno la caccia per il mio olio", disse la balena.
E così via.
Infine parlò la lumaca. "Io ho qualcosa che a loro piacerebbe avere, più di ogni altra cosa.
Qualcosa che mi porterebbero sicuramente via se potessero. Ho tempo".

Avresti tutto il tempo del mondo, se solo te lo concedessi.
Che cosa ti impedisce di farlo?
 Una parabola sulla vita moderna (Anthony De Mello)

lo dirò in silenzio e solo con un sorriso

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade
zuffolando, così,
fino a che gli altri dicano: è pazzo!.
E mi fermerò soprattutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò per via
inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani
le campane della torre
A più riprese finché non sarò esausto.
E chiunque venga
anche al ricco dirò:
siedi pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio e solo con un sorriso
(Padre David Maria Turoldo)

consigli di un figlio ai propri genitori

1) Trattami con la stessa cordialità con cui tratti i tuoi amici. L’essere familiari non vuol dire che non possiamo essere amici.
2) Non darmi sempre ordini. Se mi chiedessi di fare una cosa invece di ordinarmela io la farei prima e volentieri.
3) Non cambiare facilmente di opinione su ciò che devo fare. Mantieni le tue decisioni.
4) Non mi dare tutto ciò che chiedo. A volte chiedo per vedere fino a che punto puoi arrivare.
5) Compi le promesse, sia che per me siano favorevoli sia se ci rimetta. Se mi hai promesso un permesso, dammelo. Se mi hai promesso un castigo, pure.
6) Non mi paragonare con nessuno, specialmente con i miei fratelli o sorelle. Se mi innalzi l’altro soffre, se mi abbassi, chi soffre sono io.
7) Non correggermi in pubblico. Non è necessario che gli altri sappiano.
8. Non sgridarmi. Ti rispetto di meno quando lo fai.
9) Lascia che me la cavi da solo. Se tu mi sostieni in tutto, non imparerò mai.
10) Non mentire davanti a me. E non chiedermi mai di mentire per cavartela a buon partito davanti ad altri.
11) Quando sbaglio o faccio qualcosa di negativo, non obbligarmi a spiegarti perché l’ho fatto. A volte non lo so neppure io.
12) Quando sbagli in qualcosa, ammettilo e crescerà la mia stima per te, e anch’io imparerò ad ammettere i miei errori.
13) Non chiedermi di fare una cosa che tu non fai. Imparerò e farò sempre quello che tu fai, anche se non me lo dici.
14) Quando ti racconto un problema non dirmi: «Adesso non ho tempo per le tue sciocchezze» o «Tutto ciò non ha importanza». Cerca di capirmi e di aiutarmi.
15) Amami e dimmelo. Mi piace sentirmelo dire, anche se tu non lo credi necessario. Mi rallegra molto.
U.Borghello, Liberi dal sarcasmo,  p.53

nessuno avrebbe saputo della lotta che avevo combattuto

La mia lotta coraggiosa! Perchè io la chiamo coraggiosa,
in nome degli ideali che mio padre si portò dalla Virginia:
l'odio per la schiavitù come per la guerra.
Io, pieno di ardore, audacia, coraggio...
Rubando insoliti piaceri che mi costarono la reputazione,
e collezionando mali che non avevo seminato;
nemico della chiesa col suo tanfo di ossario,
amante del calore umano della taverna;
impacciato da destini tutti a me estranei,
abbandonato da mani che credevo mie.
Poi quando avvertii la mia forza gigantesca
ridursi allo stremo, ecco che i miei figli
avevano intrecciato le loro vite in giardini stranieri -
e mi ritrovai solo, come solo ero partito!
La mia vita coraggiosa! Morii in piedi,
affrontando il silenzio - affrontando la prospettiva
che nessuno avrebbe saputo della lotta che avevo combattuto.

- E. Lee Masters -
da "Jefferson Howard"
(Antologia di Spoon River)

mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti

“Odio gli indifferenti.
Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
11 febbraio 1917
da 'La città futura'
- Antonio Gramsci
-

gli esseri umani trovano questa semplicità intollerabile

Semplicità intollerabile


Domanda: Ho dei problemi con la meditazione

Risposta: Se hai dei problemi con la meditazione significa che non
stai veramente meditando.
La potenza della meditazione è nella sua radicale semplicità:
Rimani immobile, a tuo agio, presta attenzione.
Questa è la sua bellezza: meditazione significa non fare assolutamente nulla.
Ci sono solo due posizioni in rapporto a questo: o fai così o no.
Ma spesso gli esseri umani trovano questa semplicità intollerabile.
Ci mette a confronto con noi stessi ai livelli più profondi,
e molti di noi non possono sopportare quel grado di trasparenza.
Per questo è importante imparare a meditare.
E’ solo nella squisita semplicità del non fare assolutamente nulla
Che cominci ad essere capace di vedere te stesso
In modi che ordinariamente non saresti mai stato capace.
Se realmente ti impegni in questa intollerabile semplicità
È impossibile nasconderti a te stesso.

Andrew Cohen

Quanto più vivo sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto.

"...Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole,perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni,spronandoci con maggiore ardore a intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17) se non questo: desiderate, senza stancarvi,da colui che solo può concederla, quella vita beata che niente varrebbe se non fosse eterna ?
(S. Agostino – Lettera a Proba)

venerdì 30 luglio 2010

Beati coloro che soffrono per i propri Amici

Beati coloro che hanno degli Amici
senza avere chiesto di averli,
perche' gli Amici non si comprano,
non si vendono, non si permutano.
Amici ci si sente !
Beati coloro che soffrono per i propri Amici,
Coloro che riescono a comunicarsi in uno sguardo.
Perche' l'Amico non tace, non questiona,non si arrende.
L' Amico ti capisce !
Beati coloro che conservano le Amicizie
Coloro che offrono la spalla per piangere.
Perche' l'Amico soffre e piange
E per loro non esiste una ora esatta per consolare!
Beati gli Amici che credono nella tua verita'
E che ti fa vedere la tua realta'.
Perche' l'Amico e' la direzione,
e' la base quando viene a mancare l'appoggio.
Che siano beati tutti gli Amici,
Perche' gli Amici sono eredi
Della reale saggezza.
Avere Amici e' la migliore complicita' !

Amare vuol dire soprattutto ascoltare in silenzio. ~ Antoine de Saint-Exupéry ~

C'è fra voi chi cerca
la compagnia delle persone loquaci
per timore della solitudine.
Il silenzio della solitudine
svela infatti ai loro occhi
la loro nuda essenza,
cosa dalla quale rifuggono.
E vi sono quelli che parlano,
e senza consapevolezza né preveggenza
rivelano una verità
che sono i primi a non capire.
E vi sono coloro che hanno
la verità dentro di sé,
ma non la esprimono a parole.

Kahlil Gibran
~ Il profeta ~

Tu presti fede a quel che senti dire.
Ma dovresti credere
a quanto non vien detto:
il silenzio dell'uomo
si accosta alla verità
più della sua parola.

Kahlil Gibran
~ Jesus the Son of Man ~

La mia anima mi ha parlato,
fratello, e mi ha illuminato.
E spesso anche a te l'anima parla
e ti illumina.
Tu infatti sei come me,
e non c'è differenza tra noi,
se non questa:
io esprimo cio che è dentro di me
in parole che ho udito nel mio silenzio,
mentre tu custodisci tacito
cio' che è dentro di te.
Ma la tua silenziosa custodia
ha lo stesso valore del mio tanto parlare.

Kahlil Gibran
~ Prose e Poems ~

Benchè l'onda delle parole ci sovrasti sempre,
le nostre profondità sono sempre silenti.

Kahlil Gibran
~ Sabbia e schiuma ~


Esiste qualcosa di più grande e più puro 
rispetto a ciò che la bocca pronuncia. 
Il silenzio illumina l'anima, 
sussurra ai cuori e li unisce. 
Il silenzio ci porta lontano da noi stessi, 
ci fa veleggiare 
nel firmamento dello spirito, 
ci avvicina la cielo; 
ci fa sentire che il corpo 
è nulla più che una prigione, 
e questo mondo è un luogo d'esilio. 

K. Gibran 
~ Le ali spezzate ~

Mostraci la volontà divina in tutte le circostanze della nostra vita, così che possiamo prendere le giuste decisioni

Tu che con la tua luce inesorabile distingui la verità dall'errore, aiutaci a discernere il vero.
Dissipa le nostre illusioni e non permettere che ci lasciamo sedurre da apparenze ingannatrici: mostraci la realtà.
Liberaci da ogni falsità, sia verso gli altri che verso noi stessi.
Insegnaci a scoprire le tentazioni appena si presentano e a smascherare la loro falsa e vana seduzione.
Facci riconoscere il linguaggio autentico di Dio nel fondo dell'anima nostra e aiutaci a distinguerlo da ogni altra voce.
Mostraci la volontà divina in tutte le circostanze della nostra vita, così che possiamo prendere le giuste decisioni.
Aiutaci a cogliere negli avvenimenti i segni di Dio, gli inviti che ci rivolge, gli insegnamenti che vuole inculcarci.
Rendici atti a percepire i tuoi suggerimenti, per non perdere nessuna delle tue ispirazioni.
Concedici quella perspicacia soprannaturale che ci faccia scoprire le esigenze della carità e comprendere tutto ciò che richiede un amore generoso.
Ma soprattutto eleva il nostro sguardo perché possa discernere Dio stesso, là dove egli ci si rende presente, ovunque la sua azione ci raggiunge e ci tocca.

Ogni nostra conoscenza, anche la più semplice, è sempre un piccolo prodigio

"L'assolutismo della tecnica tende a produrre un'incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia. Eppure tutti gli uomini sperimentano i tanti aspetti immateriali e spirituali della loro vita. Conoscere non è un atto solo materiale, perché il conosciuto nasconde sempre qualcosa che va al di là del dato empirico. Ogni nostra conoscenza, anche la più semplice, è sempre un piccolo prodigio, perché non si spiega mai completamente con gli strumenti materiali che adoperiamo."
(dalla Caritas in veritate)

Che cosa significa “assolutismo della tecnocrazia”? Una cosa molto semplice: se qualcosa è fattibile ed io desidero che si faccia, nessuno – almeno in linea di principio – deve impedirmi di averla e al tecnico di compiere, su richiesta, la prestazione ... Se non esiste una verità circa il bene della persona: se la carità non è nella verità, l’uomo è esposto ad ogni pericolo.

(Dalla lezione Magistrale per la presentazione dell'Enciclica di Benedetto XVI "Caritas in veritate" del Cardinale Carlo Caffarra Arcivescovo di Bologna 25 settembre 2009

nel nostro cuore è sempre notte

Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni , figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci,
noi siamo sempre più tristi:
e dunque vieni sempre , Signore.
Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni tu che ci ami:
nessuno è in comunione col fratello
se prima non è con te, Signore.
Noi siamo tutti lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.
Vieni, Signore.
Vieni sempre, Signore..

David Maria Turoldo

saper intuire il mistero dentro il più ovvio quotidiano

PREGHIERA DEL MATTINO
Signore, fa' che non valuti priva di senso nessuna parola, nessuna vicenda, nessuna persona.
Donami un cuore che sappia meravigliarsi anche davanti alle realtà più usuali, che sono sempre stupende.
Donami la capacità di scoprirti anche nei momenti più ovvi: e fa' che sappia intuire il tuo amore che mi cerca e mi sollecita. Donami il coraggio di risponderti senza esitazioni e senza difese.
OMELIA
Cerchiamo le meraviglie sempre lontano: in paesi remoti, in luoghi sconosciuti. Quanto è vicino a noi ci appare sempre banale, ovvio, perfino deludente e un poco irritante.
E, invece, c'è di che stupirsi anche guardando dalla finestra. O perfino dentro casa.
Pure le persone - quelle che accostiamo ogni giorno - ci si rivelano scialbe, insignificanti, perfino urtanti.
E, invece, a saperle guardare con attenzione, nascondono drammi, sofferenze, lembi di poesia. Possiamo vivere accanto a uomini e donne la cui esistenza non si sorregge senza la fede, e non accorgerci di nulla: nemmeno sospettare.
E per il Signore?
Lo vorremmo sempre vedere nelle grandi opere, nei fenomeni strabilianti, nelle vicende maestose e magari un poco eccentriche.
E invece egli si è rivelato in un uomo come noi. Straordinarissimo, poiché era il Verbo di Dio, ma come noi, fuorché nel peccato.
E ci è prossimo nella selva di segni che ci sta attorno, nella sua parola, nei suoi sacramenti, nelle persone più comuni, e sicuramente in quelle più povere.
L'importante è saper intuire il mistero dentro il più ovvio quotidiano.
Ci sta cercando. Ci sta sollecitando a rispondere.
Occorrono semplicemente gli occhi della fede.
PREGHIERA DELLA SERA
Signore, grazie per le persone che mi hai fatto incontrare oggi.
Grazie per gli avvenimenti, grandi o piccoli, che mi hai fatto vivere.
Grazie per tutte le occasioni che hai tentato per renderti vicino a me, per scuotermi dal mio torpore, per entrare nella mia esistenza con una dilezione tenerissima.
Perdona le mie distrazioni e le mie ottusità.
Raccoglimi nelle tue braccia.
Donami la capacità di stupirmi sempre davanti alle tue piccole enormi meraviglie.
http://www.laparola.it/laparoladioggi.php

giovedì 29 luglio 2010

Il pensiero «forte» del filosofo «debole»

da http://lettovisto.myblog.it/archive/2010/07/06/il-pensiero-forte-del-filosofo-debole.html#more
...Dove ha trovato la forza, la volontà di superare le diagnosi più cupe che i medici facevano alla sua nascita?
«Credo che al centro della mia battaglia ci siano gli altri e l’umorismo. Ci sono innanzitutto i miei genitori, la prima 'fonte' della mia vita: mia madre, che è ancora viva, e mio padre che oggi non c’è più. Venivano entrambi da un ambiente operaio molto semplice. Senza volerlo, mi hanno mostrato una forma di umorismo che mi impregna ancora oggi. L’umorismo delle piccole cose e dell’autoironia. Ridere di me stesso è uno strumento che mi aiuta enormemente».
Da qui il suo percorso che lei definisce di «battaglia gioiosa» nel mestiere di uomo!
«Sì, è vero. Scrivo anche che l’esistenza procede dalla lotta. Lo so fin troppo bene! Ma oggi rivedrei il senso che do alla parola 'battaglia'. Mi spiego: all’epoca dovevo battermi tutti i giorni e combattere l’handicap.
La mia fortuna è stata che non mi sono mai sentito solo. Ero circondato dai genitori, dai compagni di classe ed era una battaglia per tre motivi. Sul piano fisico, l’urgenza: tutti eravamo 'lì per questo'. Ma anche sul piano della vita in comunità si imparava ad accettare l’altro e a progredire con lui. Infine, nell’adolescenza, la mia battaglia si è trasformata, ha invaso anche il campo spirituale. Obiettivo: cercare di diventare qualcuno di buono…».
Qualcuno di «buono»… Perché questa parola?
«Perché la sentivo a messa da padre Morand, il prete del Centro, e ho avvertito una vocazione a cercare di essere buono e generoso. Ho frequentato a lungo il catechismo, ma non mi ha fatto una grande impressione. Invece l’incontro con quel prete mi ha segnato profondamente. In lui si manifestava tutta un’umanità, predicava con l’esempio. Un giorno sono andato a trovarlo per parlargli di filosofia, di cui aveva una grande conoscenza. Mi ha colpito. Avevo sentito molti discorsi di educatori, ma lui era un vero esempio di bontà, a partire dal sapere. Negli ultimi anni che ho trascorso al Centro mi ha dato strumenti di riflessione per forgiarmi uno spirito critico, mi ha anche insegnato la prudenza nel giudizio sull’altro, soprattutto a non dire sugli altri qualunque cosa. Questa disciplina interiore la percepivo come una gioia perché partecipava davvero alla costruzione del sé».
Il grande pubblico la conosce soprattutto come filosofo, ma lei cammina anche sotto lo sguardo di Dio… 
«Sì, certo, sono stato sempre credente ma a intermittenza. Quando faccio il mio lavoro di scrittore cerco di non ricorrere alla fede perché ciò mi chiuderebbe in una casella,ignaziano in una categoria, come l’handicap. Due anni fa ho seguito un ritiro che mi ha dato una base, con la volontà di approfondire la mia fede e di cercare di viverla tutti i giorni, con maggiore o minore intensità. È stato in Svizzera, al centro protestante di Crêt-Bérard, dove ho scoperto gli esercizi spirituali durante due ritiri di dieci giorni. L’esperienza del ritiro mi è rimasta dentro tutto l’anno. All’inizio il silenzio e la solitudine erano troppo duri per me. In precedenza avevo partecipato a sessioni d’ispirazione orientale, ma il ritiro ignaziano mi ha colpito perché mi ha dato delle risorse».
Quali?
«Ho preso coscienza del concetto di vocazione. È bella, la vocazione, perché non è un sogno a lungo termine o uno scopo, ma è porsi la seguente domanda: 'A che cosa mi chiama oggi Dio?'. Così ho capito di avere tre vocazioni: di scrittore, padre di famiglia e persona disabile. L’ultima non l’ho davvero scelta, ma oggi mi chiedo piuttosto cosa posso vivere 'grazie' a queste tre vocazioni».
Com’è cambiata la sua vita quotidiana?
«Tre volte al giorno mi concedo momenti di meditazione, di preghiera, allo scopo di ritornare all’essenziale e di integrare alla mia giornata le mie tre vocazioni. Per preparare la giornata, al mattino, comincio rivolgendomi direttamente a Dio. All’ora del riposo pomeridiano mi prendo un altro momento di meditazione, per non lasciarmi travolgere dalle attività, e poi la sera rileggo la mia giornata e preghiamo, mia moglie e io, insieme con i bambini. Non c’è nulla di eccezionale in questo, però è una guida».
L’abbandono è una forma di accettazione dell’handicap?
«È stata Etty Hillesum a riconciliarmi con 'l’accettazione', dopo aver letto il suo libro Una vita sconvolta. L’accettazione, e lei lo dimostra, non è una capitolazione. Oggi sono me stesso in una logica di progresso. 'Che cosa posso mettere in atto?'. Ecco l’interrogativo che nasce quando subisco un duro colpo. Nella sofferenza, senza indurirsi, l’uomo non sceglie una postura rigida, ma sente il comandamento della vita: fare di tutto per salvaguardare la gioia e condividerla. Per Etty Hillesum l’abbandono non è rassegnazione, è invece diventare più vivi. Più di ogni cosa, voglio alimentare la mia gratitudine d’avere la temibile fortuna di vivere. Quello che resta duro da accettare è che il mio handicap resterà una difficoltà che mi seguirà per tutta la vita, con fatica, certi giorni con dolore… Ma soprattutto non potrò mai dire 'è passato', no…, l’handicap richiede perseveranza. Se si conta troppo sulla propria volontà, sulla ragione, su se stessi, si diventa esausti. Non ci si può far carico dell’handicap una volta per tutte, bisogna assumerlo ora per ora, giorno per giorno».
Che cosa le ha fatto deporre le armi?
«La nascita di mia figlia Victorine, quasi 5 anni fa. Lei è stata la prima cosa che mi è stata data senza combattere. Imparare la felicità gratuita per me è stato davvero uno shock. Anche se resta una felicità fragile perché l’idea di perdere i figli è un’angoscia assoluta per ogni genitore. L’amore e la dolcezza… C’è qualcosa di inaudito che non rientrava nei miei riferimenti abituali. Mi sono trovato impreparato di fronte a tutta questa sensibilità da sviluppare. Per me era quasi dolorosa, quest’assenza brutale di battaglia, ma a poco a poco ho compreso che non era rassegnazione.
In realtà, se si educano i figli o una persona sofferente alla battaglia, questa diventa il centro della vita ed è molto pericoloso. Perché la battaglia dev’essere per la vita! Il centro della vita è la vita!».

Alexandre Jollien ha firmato tre libri, di cui uno gli è valso un riconoscimento – il «Prix Mottart» – della prestigiosa Académie française. Dopo 17 anni passati in un centro di riabilitazione e gli studi in un istituto commerciale, si è laureato all’università di Friburgo, dove ha avuto come docente il noto medievalista Rudi Imbach. Nel frattempo ha compiuto anche un soggiorno di ricerca al celebre Trinity College di Dublino. Alexandre Jollien, nato nel 1975, si dedica oggi a tempo pieno all’attività di scrittura e alla ricerca filosofica. In italiano ha pubblicato «Elogio della debolezza» e «Il mestiere di uomo», entrambi per i tipi delle Edizioni Qiqajon della Comunità di Bose. Quindi, di recente, «Cara filosofia. Lettere di un giovane filosofo ai grandi maestri» (Colla Editore). Tiene regolarmente una rubrica sul quotidiano locale svizzero «Le Nouvelliste»; qualche anno fa ha tenuto una conferenza al Festivaletteratura di Mantova.

Fallace è la grazia e vana la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare

 S.MARTA
 Parola - Prima lettura Pro 31, 10-13.19-20.30-31
Una donna perfetta chi potrà trovarla! Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Essa gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita... Fallace è la grazia e vana la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare..

Parola - Vangelo Mt 13, 44-46In quel tempo, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella di nome Maria... Marta invece era tutta presa dai molti servizi... Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose... Maria si è presa la parte migliore".

Riflessione
L'azione apostolica non dispiace al Signore; quando però è eccessiva e frenetica annulla un valore: quello di rispettare l'ospite nella sua totalità. Se una persona entra in casa nostra, con l'intento esclusivo di fruire di alcuni servizi, sarà contenta se le saranno forniti nel minor tempo possibile. Se invece lei viene da noi perché sente l'esigenza di essere accolta con affetto, ascoltata con amicizia, di donare a sua volta amore, rimarrebbe male se noi ci preoccupassimo esclusivamente di prestarle sbrigativi servizi materiali. E' Gesù l'ospite che prende l'iniziativa di venire in "casa" nostra, come ha fatto con Marta e Maria, per offrirci la ricchezza della presenza della sua persona, dei doni divini che possiede. Più che preoccuparci di servirlo, dobbiamo essere attenti ad accoglierlo. Esercitiamoci, prima di tutto, a sentire la presenza di Gesù; poi possiamo anche tentare di pregare, di agire, di prendere decisioni. Gesù sta tanto volentieri in casa nostra e noi, paradossalmente, ce ne curiamo poco; crea uno stridente contrasto la sua voglia di rimanere con noi, e la nostra fretta di uscire, perché abbiamo tante altre cose da fare.

dove non condanni chi ti ha fatto male

La libertà è lì
dove le cose non contano più
è lì dove non condanni chi ti ha fatto male
è il silenzio dove ti rifugi
non a preparare la tua difesa
no!
ma per rinascere
dalla solitudine di sempre.
Libertà sei tu!
Nessuno può dartela:
ti darebbe la sua idea di libertà.
A nessuno puoi donarla
si può dare amore.
E quando avrai imparato dalla vita
che la vita sei tu
quando ogni uomo sarà per te niente e tutto
quando non darai la colpa dei tuoi dolori a nessuno
se non a te
allora
sarai già nello spazio
dove la vita sposa la morte
che non sarà più la tua nemica
ma un momento del tuo esistere
e...
diventerai capace di morire.
http://registainvisibile.blogspot.com

mercoledì 28 luglio 2010

una poesia di Emily Dickinson:
Non conosciamo mai la nostra altezza
finché non siamo chiamati ad alzarci.
E se siamo fedeli al nostro compito
arriva al cielo la nostra statura.
L'eroismo che allora recitiamo
sarebbe quotidiano, se noi stessi
non c'incurvassimo di cubiti
per la paura di essere dei re. (figli di Dio)

vendere tutto per acquistare la perla preziosa...tesoro che non è lontano, giacché il regno è già nel nostro cuore

PREGHIERA DEL MATTINO
Signore, guarda i desideri più nobili, le aspirazioni più alte che ci sono in me. Guarda anche la mia debolezza e la mia viltà. Avendoti incontrato, non voglio andarmene via triste a causa dei miei beni che sono soltanto miserie se comparate al tesoro del regno. Concedimi la forza di strapparmi a me stesso, di vendere tutto per acquistare la perla preziosa, per acquistare il campo come un tempo i nostri padri ad Anatot, che è la prima porzione della terra promessa.

Geremia dialoga con Dio, in modo talmente forte, da rasentare l'empietà e la bestemmia; invece si tratta di autentica preghiera. Dio invita all'orazione non un personaggio idealizzato, ma la persona concreta, che siamo noi in quel preciso momento. Terremmo un comportamento inautentico se, essendo tristi, ci presentassimo a Dio allegri; oppure, se angosciati, avessimo la presunzione di offrire a lui un volto artefatto da una finta speranza. Questa inautenticità distruggerebbe la preghiera stessa sul suo nascere. L'importante è che durante il periodo di terribile crisi, mentre innalziamo il nostro sfogo, sentiamo sempre viva la presenza di Dio, che a lui rivolgiamo le nostre parole e che, alla fine, prestiamo ascolto a quanto ci risponde. Avremo la gioia di constatare che la sua ultima parola sarà quella risolutiva; ce ne andremo dalla preghiera rifatti a nuovo.

La parabola ci insegna una realtà fondamentale della spiritualità cristiana: il credente è prima di tutto uno che ha trovato. Egli, qualunque sia la sua condizione, deve iniziare il cammino ascetico non con l'abbandonare, ma con il cercare e il trovare Cristo; dopo di questo, null'altro è per lui necessitante. È importantissimo vivere questa verità a livello esistenziale: un bambino non allenta la presa di un oggetto, se prima non ne ha afferrato uno più attraente; noi tutti, in fondo, non siamo che bambini evangelici. Un termometro veritiero, per misurare il grado della nostra scoperta di Cristo, è costituito dalla gioia con la quale conduciamo l'esistenza, e il coraggio che mettiamo nell'accettare le rinunce, che la conquista del regno ci chiede. L'uomo della parabola è continuamente in azione: è segno dell'autentico ricercatore del Regno; se ci sentiamo sazi, se non cerchiamo, se ci rassegniamo, non troveremo certamente il tesoro. Tesoro che non è lontano, giacché il regno è già nel nostro cuore. Le cose, le persone, le preoccupazioni tendono ad assorbirci, a proiettarci fuori di noi. Per questo facciamo tanta fatica a trovare il Regno che è dentro. Proponiamoci di curare maggiormente la nostra vita interiore, e gusteremo fin d'ora un anticipo della gioia del paradiso.

Dio buono e misericordioso, benedici questa giornata. Me l' hai donata affinché io la viva come un tempo santo, un tempo in cui tu stesso mi sei sempre vicino. Benedici tutto ciò a cui oggi metterò mano. Fa' che il mio lavoro riesca. Benedici i dialoghi che avrò. Benedici gli incontri, affinché veda risplendere il tuo volto in ogni persona. Benedici le persone che mi stanno a cuore. Non lasciarle sole sul loro cammino. Accompagnale e invia i tuoi santi angeli affinché le custodiscano in tutti i loro passi e le proteggano. Benedici questo giorno, affinché lo viva nella consapevolezza della tua presenza di guarigione e d'amore. E benedicimi oggi, affinché anche a me sia concesso di diventare una sorgente di benedizione per le persone che oggi mi incontreranno. Amen.

martedì 27 luglio 2010

Siediti ai bordi

Siediti ai bordi dell'aurora, per te sorgera' il sole. 
Siediti ai bordi della notte, per te brilleranno le stelle. 
Siediti ai bordi del torrente, per te cantera', l'usignolo. 
Siediti ai bordi del silenzio, Dio ti parlera'. (L.Vahira)

Tu che sorridi così gentilmente

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Italo Calvino

il terzo modo sei tu...
Non nascondere
il segreto del tuo cuore,
amico mio!
Dillo a me, solo a me,
in confidenza.
Tu che sorridi così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo ascolterà,
non le mie orecchie.
La notte è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le lacrime esitanti,
tra sorrisi tremanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore.

Rabrindranath Tagore 

rispettare i tempi che non mi appartengono, e le coscienze che non mi è dato di giudicare

PREGHIERA DEL MATTINO
Dio onnipotente, anche oggi tu ci affidi il tuo mondo come un campo che è necessario lavorare. Anche oggi dovrò accorgermi che il grano cresce mescolato con la zizzania: non solo attorno a me, ma in me stesso non riuscirò spesso a distinguere completamente il bene dal male.
Concedimi la grazia di avere una lunga pazienza, di rispettare i tempi che non mi appartengono, e le coscienze che non mi è dato di giudicare. Ma non permettere che la pazienza si tramuti in me in complicità e in indifferenza.
Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare. (Ger 14,18)
OMELIA
La parabola della zizzania mescolata al grano buono così indistinguibili che è meglio lasciarli crescere ambedue fino alla mietitura, rischia di piacere un po' troppo a noi uomini moderni abituati ormai a convivere con tutto.
La pazienza e la prudenza insegnataci da Gesù rischiano di tramutarsi in qualunquismo e complicità con l'errore e col male.
Il nostro punto di vista deve restare quello del padrone che ha seminato del buon seme, e la nostra coscienza deve restare consapevole che c'è dell'erba cattiva seminata dal nemico.
La pazienza necessaria al tempo dell'attesa e del non-ancora non può farci dimenticare neppure per un istante che tutto va verso un inevitabile giudizio che discrimina il grano buono dall'erba destinata a bruciare.
Ci è sottratta la voglia di impadronirci del giudizio di Dio per farlo accadere anzitempo, ma non la coscienza umile e vigilante che già ora è importante essere il grano buono voluto da Dio.
PREGHIERA DELLA SERA
Signore Gesù, mi sono avvicinato di un'altra giornata al tuo giudizio che separerà definitivamente il bene dal male, i buoni dai cattivi. Ti prego perché all'ultimo giorno tu possa "chiamarmi con i benedetti". Fa' che il male che cresce nel mondo non si diffonda. Fa' che gli uomini tutti possano essere vinti e attratti dal miracolo della tua grazia, in modo che il tuo giudizio finale possa essere una sorpresa, al di là di quanto osiamo sperare.

lunedì 26 luglio 2010

noi, proprio noi, mortali

"... la vita si ripete meravigliosamente, nulla accade come ci si aspetterebbe, niente più ci sorprende. Di vere sorprese, pensava, ce n'è solo una nella vita: è quando scopriamo di essere anche noi, proprio noi, mortali. "

Sándor Márai, Divorzio a Buda

Nei paesi felici, dove la dignità umana non viene violata con tanta facilità, i poeti ovviamente desiderano essere pubblicati, letti e compresi

Discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel

In un discorso, pare, la prima frase è sempre la più difficile. E dunque l'ho già alle mie spalle... Ma sento che anche le frasi successive saranno difficili, la terza, la sesta, la decima, fino all'ultima, perché devo parlare della poesia. Su questo argomento mi sono pronunciata di rado, quasi mai. E sempre accompagnata dalla convinzione di non farlo nel migliore dei modi. Per questo il mio discorso non sarà troppo lungo. Ogni imperfezione è più facile da sopportare se la si serve a piccole dosi.

Il poeta odierno è scettico e diffidente anche – e forse soprattutto - nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta - quasi se ne vergognasse un po'. Ma nella nostra epoca chiassosa è molto più facile ammettere i propri difetti, se si presentano bene, e molto più difficile le proprie qualità, perché sono più nascoste, e noi stessi non ne siamo convinti fino in fondo...
In questionari o in conversazioni occasionali, quando il poeta deve necessariamente definire la propria occupazione, egli indica un genere “letterato” o nomina l'altro lavoro da lui svolto. La notizia di avere a che fare con un poeta viene accolta dagli impiegati o dai passeggeri che sono con lui sull'autobus con una leggera incredulità e inquietudine, Suppongo che anche un filosofo susciti un eguale imbarazzo. Egli si trova tuttavia in una situazione migliore, perché per lo più ha la possibilità di abbellire il proprio mestiere con un qualche titolo scientifico, Professore di filosofia – suona molto più serio.

Ma non ci sono professori di poesia. Se così fosse, vorrebbe dire che si tratta d'una occupazione che richiede studi specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di bibliografia e rimandi, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua volta significherebbe che per diventare poeta non bastano fogli di carta, sia pure riempiti di versi più eccelsi – ma che è necessario, e in primo luogo, un qualche certificato con un timbro. Ricordiamoci che proprio su questa base venne condannato al confino il poeta russo, poi premio Nobel, Iosif Brodskij. Fu ritenuto un “parassita” perché non aveva un certificato ufficiale che lo autorizzasse ad essere poeta...

Anni fa ebbi l'onore e la gioia di conoscerlo di persona. Notai che a lui solo, tra i poeti che conoscevo, piaceva dire di sé “poeta”, pronunciava questa parola senza resistenze interiori, perfino con una certa libertà provocatoria. Penso che ciò fosse dovuto alle brutali umiliazioni da lui subite in gioventù.

Nei paesi felici, dove la dignità umana non viene violata con tanta facilità, i poeti ovviamente desiderano essere pubblicati, letti e compresi, ma non fanno molto, o comunque assai poco, per distinguersi quotidianamente fra gli altri esseri umani. Ma fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre di uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta.
E' significativo che si producano di continuo molti film sulla biografia di grandi scienziati e grandi artisti. Registi di una qualche ambizione intendono rappresentare in modo verosimile il processo creativo che ha condotto a importanti scoperte scientifiche o alla nascita di famosissime opere d'arte. E' possibile mostrare con un certo successo il lavoro di taluni scienziati: laboratori, strumentazione varia, meccanismi attivati riescono per un po' a catturare l'attenzione degli spettatori. Ci sono inoltre momenti molto drammatici in cui non si sa se l'esperimento ripetuto per la millesima volta, solo con una leggera modifica darà finalmente il risultato atteso. Possono essere spettacolari i film sui pittori – è possibile ricreare tutte le fasi della nascita di un quadro, dal tratto iniziale fino all'ultimo tocco di pennello. I film sui compositori sono riempiti dalla musica – dalle prime battute che l'artista sente in sé, fino alla partitura completa dell'opera. Tutto questo è ancora ingenuo e non dice nulla su quello strano stato d'animo popolarmente detto “ispirazione”, ma almeno c'è di che guardare e di che ascoltare.
Le cose vanno assai peggio per i poeti. Il loro lavoro non è per nulla fotogenico. Una persona seduta al tavolino o sdraiata sul divano fissa con lo sguardo immobile la parete o il soffitto, di tanto in tanto scrive sette versi, dopo un quarto d'ora ne cancella uno, e passa un'altra ora in cui non accade nulla... Quale spettatore riuscirebbe a reggere un simile spettacolo?
Ho menzionato l'ispirazione. Alla domanda su cosa essa sia, ammesso che esista, i poeti contemporanei danno risposte evasive. Non perché non abbiano mai sentito il beneficio di tale impulso interiore. Il motivo è un altro. Non è facile spiegare a qualcuno qualcosa che noi stessi non capiamo.
Anch'io talvolta, di fronte a questa domanda, eludo la sostanza della cosa. Ma rispondo così: l'ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C'è, c'è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall'ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia. Ci sono medici siffatti, ci sono pedagoghi siffatti, ci sono giardinieri siffatti e ancora un centinaio di altre professioni. Il loro lavoro può costituire un'incessante avventura, se solo sanno scorgere in esso sfide sempre nuove. Malgrado le difficoltà e le sconfitte, la loro curiosità non viene meno. Da ogni nuovo problema risolto scaturisce per loro un profluvio di nuovi interrogativi. L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.
Di persone così non ce ne sono molte. La maggioranza degli abitanti di questa terra lavora per procurasi da vivere, lavora perché deve. Non sono essi a scegliersi il lavoro per passione, sono le circostanze della vita che scelgono per loro. Un lavoro non amato, un lavoro che annoia, apprezzato solo perché comunque non a tutti accessibile, è una delle più grandi sventure umane. E nulla lascia presagire che i prossimi secoli apporteranno in questo campo un qualche felice cambiamento.

Posso dire pertanto che se è vero che tolgo ai poeti il monopolio dell'ispirazione, li colloco comunque nel ristretto gruppo degli eletti dalla sorte.

A questo punto possono sorgere dei dubbi in chi mi ascolta. Allora anche carnefici, dittatori, fanatici, demagoghi in lotta per il potere con l'aiuto di qualche slogan, purché gridato forte, amano il proprio lavoro e lo svolgono altresì con zelante inventiva. D'accordo, loro “sanno”. Sanno, e ciò che sanno gli basta una volta per tutte. Non provano curiosità per nient'altro, perché ciò potrebbe indebolire la forza dei loro argomenti. E ogni sapere da cui non scaturiscono nuove domande, diventa in breve morto, perde la temperatura che favorisce la vita. Nei casi più estremi, come ben ci insegna la storia antica e contemporanea, può addirittura essere un pericolo mortale per la società.
Per questo apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra. Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so” sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica per un convitto di signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del premio Nobel le persone di animo inquieto ed eternamente alla ricerca.
Anche il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”. Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta d'una risposta provvisoria e del tutto insufficiente. Perciò prova ancora una volta e un'altra ancora, finché gli storici della letteratura non legheranno insieme prove della sua insoddisfazione di sé, chiamandole “patrimonio artistico”...
Mi capita di sognare situazioni irrealizzabili. Nella mia temerarietà immagino ad esempio di avere l'occasione di conversare con l'Ecclesiaste, autore di un lamento quanto mai profondo sulla vanità di ogni agire umano. Mi inchinerei profondamente di fronte a lui, perché si tratta – almeno per me- di uno dei potei più importanti. E poi gli prenderei la mano. “ Nulla di nuovo sotto il sole” hai scritto, Ecclesiaste. Però Tu stesso sei nato nuovo sotto il sole. E il poema di cui sei autore è anch'esso nuovo sotto il sole, perché prima di Te non lo ha scritto nessuno. E nuovi sotto il sole sono tutti i Tuoi lettori, perché quelli che sono vissuti prima di Te, dopotutto non hanno potuto leggerlo. Anche il cipresso, alla cui ombra stavi seduto, non cresce qui dall'inizio del mondo. Gli ha dato inizio un qualche altro cipresso, simile al Tuo, ma non proprio lo stesso. E inoltre vorrei chiederti, o Ecclesiaste, che cosa intendi scrivere, adesso, di nuovo sotto il sole. Qualcosa con cui contemplerai ancora i Tuoi pensieri, o non sei forse tentato di smentirne qualcuno? Nel Tuo poema precedente hai intravisto la gioia- che importa se passeggera? Forse dunque è di essa che parlerà il Tuo nuovo poema sotto il sole? Hai già degli appunti, degli schizzi iniziali? Non credo che dirai: “ Ho scritto tutto, non ho nulla da aggiungere”. Nessun poeta al mondo può dirlo, figuriamoci un grande come Te.
Il mondo, qualunque cosa noi ne pensiamo, spaventati dalla sua immensità e dalla nostra impotenza di fronte a esso, amareggiati dalla sua indifferenza alle sofferenze individuali ( di uomini, animali, e forse piante, perché chi ci dà la certezza che le piante siano esenti dalla sofferenza?), qualunque cosa noi pensiamo dei suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle, stelle intorno a cui si sono già cominciati a scoprire pianeti ( già morti? Ancora morti?), qualunque cosa pensiamo di questo smisurato teatro, per cui abbiamo sì il biglietto d'ingresso, ma con una validità ridicolmente breve, limitata dalle due date categoriche, qualunque cosa ancora noi pensassimo di questo mondo – esso è stupefacente.
Ma nella definizione “stupefacente” si cela una sorta di tranello logico. Dopotutto ci stupisce ciò che si discosta da una qualche norma nota e generalmente accettata, da una qualche ovvietà a cui siamo abituati. Ebbene, un simile mondo ovvio non esiste affatto. Il nostro stupore esiste per se stesso e non deriva da nessun paragone con alcunché.
D'accordo, nel parlare comune, che non riflette su ogni parola, tutti usiamo i termini: “mondo normale”, vita normale normale corso delle cose... Tuttavia nel linguaggio della poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c'è più nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue. E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo.
A quanto pare i poeti avranno sempre molto da fare.
7 dicembre 1996
( sta in Wislawa Szymborska, Vista con granello di sabbia, poesie 1957-1993, a cura di Pietro Marchesani, Milano, Adelphi Edizioni,1998)

Ringraziamento

Devo molto
a quelli che non amo.

Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.

La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.

Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l'amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.

Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l'amore non capisce,
perdono
ciò che l'amore non perdonerebbe mai.

Da un incontro a una lettera
passa non un'eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.

I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.

E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.

E' merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.

Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.

«Non devo loro nulla» -
direbbe l'amore
su questa questione aperta.

La stazione

Il mio arrivo nella città di N.
è avvenuto puntualmente.

Eri stato avvertito
con una lettera non spedita.

Hai fatto in tempo a non venire
all'ora prevista.

Il treno è arrivato sul terzo binario.
E' scesa molta gente.

L'assenza della mia persona
si avviava verso l'uscita tra la folla.

Alcune donne mi hanno sostituito
frettolosamente
in quella fretta.

A una è corso incontro
qualcuno che non conoscevo,
ma lei lo ha riconosciuto
immediatamente.

Si sono scambiati
un bacio non nostro,
intanto si è perduta
una valigia non mia.

La stazione della città di N.
ha superato bene la prova
di esistenza oggettiva.

L'insieme restava al suo posto.
I particolari si muovevano
sui binari designati.

E' avvenuto perfino
l'incontro fissato.

Fuori dalla portata
della nostra presenza.

Nel paradiso perduto
della probabilità.

Altrove.
Altrove.
Come risuonano queste piccole parole.
Wislawa Szymborska 
Poesia minimalista, ironica, molto riflessiva, impulsiva, lieve. Poesia drammatica, ma mai enunciata in modo drammatico. Sapiente. Mai virtuosistica. La poesia della Szymborska - che, per la prima volta in Italia, ha letto i suoi versi in un attentissimo e affollato teatro romano - è anzitutto poesia di qualcuno che ha qualcosa da dire.

Una poesia, sottolinea il traduttore Pietro Marchesani, fortemente capace di interrogarsi sull'esistenza, e nella quale «traspare un forte senso degli 'altri', un compatire, un tacito trapassare dall' 'io' al 'noi'. Tale compatire evita il rischio del pathos grazie alla levità e al mai sopito stupore con cui la Szymborska si accosta al reale.»

Una leggerezza mentale, alla quale si unisce una lingua semplice e molto musicale; di quella semplicità costruita con il rigore, di quella musicalità che risuona moderna. E portatrice, da qualche parte, delle ombre di un tempo sprofondato nelle macerie. (cb)http://www.prom.it/rainews/rubrica/libri/incontro.asp?id_info=3641

è sempre fuori casa, anche se ne ha molte

un pensiero di Anna Maria Ortese la quale, in un'intervista a se stessa risalente al 1977, ebbe a dire:
"...Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. E' tornare a casa. Lo stesso che leggere. Chi scrive e legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando - per ragioni pratiche - è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. E' povero, e rende la vita più povera...".

Un bisogno immane di scrivere” di Marcello Marinisi:
[…] Allora scrivete, scrivete nonostante tutto, scrivete anche se vi diranno che non serve a nulla, scrivete anche se si tratta soltanto di un passatempo, perché il vostro lavoro è un altro. Essere scrittori non è una cosa che si decide da sé, è un bisogno che si sente dentro, un'urgenza. […] Forse un giorno la scrittura ci darà la possibilità di non fare nient'altro, oppure no. Ma, alla fine, che importanza ha se quello che sentiamo è soltanto un bisogno immane di scrivere?
Giorgio Manganelli.
Provo a cominciare un libro: in realtà non posso più attendere; sono certo che neppure una pagina di questo verrà mai pubblicata: pazienza. Non direi che mi dispiaccia poco: ma è più importante scrivere un libro che stamparlo. Una pagina non scritta ci sta dentro come un umore maligno, amaro, si fa cattivo; quella parte che doveva scriverlo si fa attratta e cancrenosa. L’incertezza di pubblicare mi ha fino ad oggi impedito di scrivere tranquillamente quello che mi passava per il capo. Ora la sicurezza di non poter pubblicare mi toglie molta inquietudine. Se scrivere una qualche sciocchezza mi dà una qualche felicità, non c’è ragione perché non lo faccia. Anche scrivere un libro è un atto pratico. Serve per rendere tollerabile l’esistenza, per rinviare il suicidio, per dare al lampione che incontriamo l’apparenza di una donna. Non ci può salvare, perché nulla ci può salvare. E un rito magico, uno scongiuro. Forse all’inferno non si può scrivere.

E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE? di Bukowski
Se non ti esplode dentro a dispetto di tutto,
non farlo.
A meno che non ti venga dritto dal cuore e dalla mente e dalla bocca e dalle viscere,
non farlo.
Se devi startene seduto per ore a fissare lo schermo del computer o curvo sulla macchina da scrivere alla ricerca delle parole,
non farlo.
Se lo fai solo per soldi o per fama,
non farlo.
Se lo fai perché vuoi delle donne nel letto,
non farlo.
Se devi startene lì a scrivere e riscrivere,
non farlo.
Se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
Se stai cercando di scrivere come qualcun altro,
lascia perdere.
Se devi aspettare che ti esca come un ruggito,
allora aspetta pazientemente.
Se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
Se prima devi leggerlo a tua moglie o alla tua ragazza o al tuo ragazzo o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.
Non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e pretenzioso,
non farti consumare dall’auto-compiacimento.
Le biblioteche del mondo hanno sbadigliato fino ad addormentarsi per tipi come te. Non aggiungerti a loro.
Non farlo.
A meno che non ti esca dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo non ti porti alla follia o al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
A meno che il sole dentro di te stia bruciandoti le viscere,
non farlo.
Quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da sé e continuerà finché tu morirai o morirà in te.
Non c’è altro modo.
E non c’è mai stato.
Io credo nella "vita organica" di certi libri. Sì, alcuni paiono proprio avere una loro "personalità" o almeno qualcosa di dinamico dentro, se così posso dire. Li vedo in uno scaffale delle mie biblioteche, magari mentre sto cercando altro, e quindi procedo oltre. Poi però torno sui miei passi, perché l'occhio ha ricevuto comunque un segnale. Li prendo in mano, li sfoglio. Esito. Non so perché ma me li porto dietro con nonchalance fino al divano e li poggio accanto agli altri, a quelli che - in teoria - avevano diritto di precedenza (perché facevano parte delle letture che stavo portando avanti prima di alzarmi a cercare loro simili).
Questi libri "dinamici" però non hanno fretta; hanno una volontà calma, riescono a stare a lungo in attesa. Ma arriva un momento, probabilmente deciso da loro e non da me, in cui non posso fare a meno di aprirli e leggere una frase a caso. In quel momento so già che resterò magnetizzata e che continuerò a prelevare ancora qualche frase qua e là; in questo modo il fascino della loro (ri)lettura aumenta e non ne esco più. Il circolo iniziato con l'incontro "occasionale" è virtualmente chiuso. Da quel punto in poi - e per il tempo che deciderà lui - "quel" libro diventa una presenza attiva nelle ore e nei pensieri: non si tratta più di "divorarlo", come mi accade magari con i romanzi avvincenti, e nemmeno di studiarlo, come faccio con certa imprescindibile saggistica. No, si tratta semplicemente di convivere con lui, di farmi fare compagnia, di accettare, insomma, che occupi la mia vita e ne disponga come vuole.
E' una cosa che non farei mai fare a nessun altro, sia chiaro.
Beato lui.

Da Akatalepsia

viene un momento in cui d'improvviso,non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d'un fiato

Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta sempre con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene un momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d'un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione. Ora sappiamo perchè lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare posto; doveva essere un peso; e adesso ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent'anni trascorsi in cui è vissuto, muto, con noi. Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose.
>>> Elias Canetti, La provincia dell' uomo <<<
 

Lettura da viaggio è un concetto che implica una svalutazione. E' diffusa l'idea che quel che si legge in viaggio debbano essere i libri più leggeri e scadenti, stupidaggini "per ammazzare il tempo". Io non l'ho mai condivisa. Anche a prescindere dal fatto che la cosiddetta letteratura amena è la più noiosa del mondo, non riesco a persuadermi perchè mai, in una circostanza così austera e solenne come è sempre un viaggio, si debba abbassare il livello delle proprie consuetudini intellettuali dedicandosi alla stupidaggine. Forse che lo stato di libertà e di tensione insito nel viaggiare crea una disposizione d'animo e di nervi in cui la stoltezza ci ripugna meno del solito?


Il Don Chisciotte è un libro mondiale: sarà il libro che si addice ad un viaggio mondiale. Fu un'ardita avventura lo scriverlo, e l'avventura passiva rappresentata dal leggerlo è adeguata alle circostanze. E' strano, ma io non ne ho mai condotto a termine sistematicamente la lettura. Voglio farlo qui a bordo e superare quest'oceano narrativo, così come entro dieci giorni avremo superato l'Atlantico".

Non chiamarla incertezza: chiamala meraviglia. Non chiamarla incertezza: chiamala libertà!

  La  vita è incerta: l'incertezza è la sua natura intrinseca.
  Una persona  intelligente rimane sempre nell'incertezza.
  La disponibilità stessa a  rimanere nell'incertezza è coraggio.
  La disponibilità stessa a  rimanere nell'incertezza è fiducia.
  Una persona intelligente è quella  che rimane vigile di fronte
  a qualsiasi situazione e risponde con  tutto il suo cuore.
  Non sa che cosa le accadrà, non può dire:
  "Se  farò questo, mi accadrà quest'altro".
  La vita non è una scienza, non è  una catena di causa/effetto.
  Se scaldi l'acqua a cento gradi,  evaporerà: questa è una certezza;
  ma nella vita reale non ci sono  certezze simili a questa!
  Ciascun individuo è una libertà, una libertà  sconosciuta.
  E' impossibile fare previsioni, è impossibile aspettarsi  qualcosa;
  si deve vivere con consapevolezza e acquisire la capacità di
  comprendere.
  Non chiamarla incertezza: chiamala  meraviglia.
  Non chiamarla incertezza: chiamala  libertà!
  (Osho)

Siamo figli di Dio. Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo.

La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E' la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: " Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? "
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c'è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Nelson Mandela

" C' è qualcos' altro che devi sempre ricordare...
Ci sono persone magnifiche su questa terra
che se ne vanno in giro travestite da normali esseri umani...
Non scordarlo mai....  "   da pomodori verdi fritti

Ho amici che non sanno quanto sono miei amici.
Non percepiscono tutto l'amore che sento per loro né quanto siano necessari per me.
L'amicizia è un sentimento più nobile dell'amore. Questo fa sì che il suo oggetto si divida tra altri affetti, mentre l'amore è imprescindibile dalla gelosia, che non ammette rivalità.
Potrei sopportare, anche se non senza dolore, la morte di tutti i miei amori, ma impazzirei se morissero tutti i miei amici!
Anche quelli che non capiscono quanto siano miei amici e quanto la mia vita dipenda dalla loro esistenza...
Non cerco alcuni di loro, mi basta sapere che esistono. Questa semplice condizione mi incoraggia a proseguire la mia vita.  Ma, proprio perché non li cerco con assiduità, non posso dir loro quanto io li ami. Loro non mi crederebbero.
Molti di loro, leggendo adesso questa "crônica" non sanno di essere inclusi nella sacra lista dei miei amici.  Ma è delizioso che io sappia e senta che li amo, anche se non lo dichiaro e non li cerco.
E a volte, quando li cerco, noto che loro non hanno la benché minima nozione di quanto mi siano necessari, di quanto siano indispensabili al mio equilibrio vitale, perché loro fanno parte del mondo che io faticosamente ho costruito, e sono divenuti i pilastri del mio incanto per la vita.
Se uno di loro morisse io diventerei storto.
Se tutti morissero io crollerei.
E' per questo che, a loro insaputa, io prego per la loro vita.
E mi vergogno perché questa mia preghiera è in fondo rivolta al mio proprio benessere. Essa è forse il frutto del mio egoismo.
A volte mi ritrovo a pensare intensamente a qualcuno di loro.  Quando viaggio e sono di fronte a posti meravigliosi, mi cade una lacrima perché non sono con me a condividere quel piacere...
Se qualcosa mi consuma e mi invecchia è perché la furibonda ruota della vita non mi permette di avere sempre con me, mentre parlo, mentre cammino, vivendo, tutti i miei amici, e soprattutto quelli che solo sospettano o forse non sapranno mai che sono miei amici.
Un amico non si fa, si riconosce.

(Vinìcius De Moraes)

Un eroe nella conquista di sé

Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.
(San Francesco)
Tu che possiedi il giorno fallo bello. Prendi i colori del tuo arcobaleno e sarà bello.
(Nootkan)

Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Che si cambi in esempio.
(Albert Camus) 

Un sacerdote deve essere a sua volta
grande e piccolo,
nobile di spirito come di sangue reale,
semplice e naturale come di stirpe contadina.
Un eroe nella conquista di sé,
un uomo che si è battuto con Dio.
Un fonte di santificazione,
un peccatore a cui Dio ha perdonato.
Un servitore per timidi e per deboli,
che non si abbassa davanti ai potenti,
ma si curva davanti ai poveri.
Discepolo del suo Signore,
capo del suo gregge.
Un mendicante dalle mani largamente aperte,
e portatore di innumerevoli doni.
Un uomo sul campo di battaglia,
una madre per riconfortare i malati.
Con la saggezza dell’età
E la confidenza di un fanciullo,
teso verso l’alto, i piedi sulla terra,
fatto per la gioia, conosce la sofferenza,
lontano dall’invidia, chiaroveggente,
che parla con franchezza.
Un amico della pace, un nemico dell’inezia.
Costante sempreScritto da: Darkangel7
Felicità è posserdere degli scopi. 
E' non stancarsi mai di progettare, sognare e realizzare, e ricominciare da capo quando si è raggiunto lo scopo.
Lo scopo dà forza di affrontare i problemi e superarli. Perchè i problemi vanno vissuti, non evitati. Un problema vissuto non è più tale.
(Valerio Albisetti)

Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi ci mutiamo, si fa nuovo se alcuno si fa nuova creatura, imbarbarisce se scateniamo la belva che è in ognuno di noi. L'ordine nuovo incomincia se alcuno si sforza di divenire un uomo nuovo.
Non ci interessa la carriera
non ci interessa il denaro
non ci interessa il successo nè di noi nè delle nostre idee
non ci interessa passare alla storia.
Abbiamo il cuore giovane e ci fa paura il freddo della carta e dei marmi, non ci interessa nè l'essere eroi, nè l'essere traditori davanti agli uomini se ci costasse la fedeltà a noi stessi.
Ci interessa
di perderci per qualcosa o per qualcuno che rimarrà anche dopo che noi saremo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.
Ci interessa
di portare un destino eterno nel tempo, di sentirci responsabili di tutto e di tutti, di avviarci, sia pure attraverso lunghi erramenti, verso l'Amore, che ha diffuso un sorriso di poesia sopra ogni creatura.
Ci impegnamo non per riordinare il mondo non per rifarlo, ma per amarlo.
Per amare quello che non possiamo accettare anche, quello che non è amabile, anche quello che pare rifiutarsi all'amore, poichè dietro ogni volto e sotto ogni cuore c'è, insieme ad una grande sete d'amore il volto e il cuore dell'Amore.
Ci impegnamo perchè noi crediamo all'Amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perdutamente.
(Primo Mazzolari)
 

domenica 25 luglio 2010

non per esser conservato, ma per esser tolto di mezzo

Se gli uomini comprendessero meglio i pericoli che comporta l'uso di certe parole, i dizionari nelle vetrine dei librai sarebbero avvolti da una striscia di carta rossa con su scritto: "Esplosivo... maneggiare con cura".
Andrè Maurois
Nina Berberova da   Il giunco mormorante
 Nella vita di ognuno esistono momenti - quando la porta sbattuta all'improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco "no" che sembrava irrevocabile si muta in "forse" -, momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci riempiamo di speranza come di nuovo sangue. E' stata concessa una proroga a qualcosa di ineluttabile, definitivo; il verdetto del giudice, del dottore, del console, è stato rinviato. Una voce ci avverte che non tutto è perduto. E con gambe tremanti e lacrime di gratitudine passiamo nel locale adiacente, dove ci pregano di aspettare un pocoprima di spingerci nel baratro. Così accadde anche a me quella sera...così a volte accade

"Quando vi sarete arricchiti l’anima
il più possibile,
con i libri, la riflessione, il dolore, la conoscenza
degli uomini,
la capacità d’interpretare sguardi, silenzi,
le pause nei grandi mutamenti,
il genio della divinazione e della profezia;
sicchè vi parrà a volte di tenere il mondo
nel cavo della mano;
allora, se per l’affollarsi di tanti poteri
entro il cerchio della vostra anima,
l’anima prende fuoco,
e nell’incendio dell’anima
il male del mondo illuminato e reso intelligibile –
siate grati se in quell’ora di visione suprema
la vita non v’inganna.”

Edgar Lee Masters

Nathaniel Hawthorne da La casa del tesoro
Un moralista potrebbe trovare in una soffitta vasti temi di astratta speculazione di saggezza. La soffitta è il limbo delle mode defunte: tutte le bagattelle del passato, tutto ciò che ha avuto pregio per una sola generazione, passa in soffitta quando quella generazione se ne va sottoterra; e non per esser conservato, ma per esser tolto di mezzo.