Diversa è la prospettiva che Gesù indica ai suoi discepoli nel
vangelo di Matteo, dove il tema e l’atmosfera giuridica del
Deuteronomio è sostituita dalla visione imitativa: Cristo non
indicherà ai suoi discepoli le leggi e le norme di Dio, ma l’agire
di Dio come norma per il discepolato cristiano. Ritorna però, nei
medesimi termini esposti dal Deuteronomio, la necessità della
risposta dell’uomo, perché l’elezione non può verificarsi solo
dal punto di vista di Dio, se ad essa non si congiunge anche la
risposta dell’uomo. I caratteri del movimento dell’uomo verso Dio
hanno sempre l’aspetto di una risposta, che può avvenire solo dopo
che Dio si è mosso per primo. La risposta umana in sostanza non è
mai una iniziativa autonoma. Il primato della grazia è sempre alla
base di ogni discorso cristiano. Gesù disse ai suoi discepoli:
“Avete inteso che fu detto:
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” (Dt 3,43).
Il riferimento è alla legge mosaica, dove l’odio verso il nemico e
verso i persecutori è permesso, con l’unico vincolo di una
vendetta proporzionata. Ma se il codice mosaico ammette la
possibilità dell’odio, lo stile di Dio nel suo entrare in
relazione con gli uomini non lo permette più, perché Dio “fa
sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i
giusti e sopra gli ingiusti”. Lo stile di Dio non conosce
preferenza di persone. La sua divina condiscendenza fa arrossire le
misure meschine della giustizia umana. Dinanzi all’umanità Dio non
si pone subito come Giudice ma come Padre, e in quanto Padre tratta
tutti i suoi figli con amore, anche se si riserva di giudicare alla
fine l’esito della vita di ciascuno. Durante la vita non è la
bontà né la malvagità degli uomini che spinge Dio a trattare
diversamente gli uomini. A ciascuno Dio dà ciò che gli è
necessario per la salvezza, indistintamente; ciascuno sarà
responsabile successivamente di come userà i doni di Dio, che sono
garantiti a tutti, anche a quelli che li useranno per la propria
rovina.
Don Vincenzo Cuffaro