Il testo di Ezechiele è di grande importanza sul piano della
teologia morale. Nella prima lettura viene chiarito il concetto
biblico della responsabilità personale, che indubbiamente
deve essere ben chiaro, e al contempo in armonia con un altro
concetto, anch’esso ripetutamente affermato dalle Scritture, ed è
la solidarietà nel peccato. Dal primo punto di vista, quello
della responsabilità personale, si afferma che nessuno può
addossare a un altro la colpa del proprio peccato; dal secondo punto
di vista, quello della solidarietà nel peccato, si afferma che ogni
gesto, buono o cattivo, ha inevitabilmente delle conseguenze anche su
chi non lo ha compiuto. Così, chi compie il peccato, ne è
personalmente responsabile quanto alla colpa, ma le conseguenze
negative del suo gesto iniquo colpiranno anche qualche innocente.
Sono questi due aspetti del mistero dell’iniquità. La Bibbia,
infatti, oltre alla responsabilità personale – il cui enunciato
troviamo nella prima lettura odierna - afferma anche, a chiare
lettere, la solidarietà dell’uomo nel peccato come anche nella
santità, così che una generazione può portare il peso degli sbagli
della generazione precedente, ma pure beneficiare della luce di
santità di chi è vissuto prima. Bisogna però affermare con
altrettanta chiarezza che, se da un lato le conseguenze del peccato
di un altro possono ricadere su di me, è vero pure che la
responsabilità del peccato (ossia il peccato inteso come colpa) non
è mai comunitaria ma è sempre individuale e soggettiva. Solo le
conseguenze del peccato possono colpire gli innocenti, ma la
responsabilità del peccato, in quanto esso si può imputare a
qualcuno, non può che ricadere su questo qualcuno.
Il testo di Ezechiele chiarisce questa verità. La responsabilità è
individuale in due sensi: nel senso di una scelta del bene dopo avere
vissuto a lungo nel male, oppure la scelta del male dopo avere
vissuto nel bene. Nell’uno e nell’altro caso il Signore afferma,
per bocca del suo profeta, che viene cancellato il cattivo passato
del malvagio, nel momento in cui egli si incammina per le vie della
giustizia, ma viene anche cancellato il passato luminoso del giusto,
qualora egli si allontanasse dalla giustizia per incamminarsi sulla
via dell’iniquità. Si comprende, sotto questa prospettiva, che la
santità non risulta dall’accumulo quantitativo delle opere buone,
se un’opzione lucida in favore del male, è in grado di annullare
un lungo periodo vissuto al servizio del bene. Tanto la santità
quanto il peccato non risultano dalla quantità di opere buone o
cattive, bensì dalla vicinanza o lontananza del proprio spirito
rispetto a Dio. E a Dio ci si può avvicinare in un istante, anche
dopo anni di vita disordinata, con un pentimento radicale, come
quello del buon ladrone (cfr. Lc 23,39-43). Parimenti, in linea di
principio, da Dio non ci si allontana in proporzione della quantità
di opere cattive: migliaia di peccati veniali non possono separare da
Dio, mentre per essere separati da Dio, basta un solo peccato
mortale. In definitiva, ciò che conta è l’intensità dell’amore.
E’ solo in questa proporzione che ci si unisce a Dio.
Don Vincenzo Cuffaro
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