O Dio, tu che hai del tempo per noi,
donaci del tempo per te.
Tu che tieni nelle tue mani ciò che è stato e ciò che sarà,
fa' che sappiamo raccogliere nelle nostre mani
i momenti dispersi della nostra vita.
Aiutaci a conservare il passato senza esserne immobilizzati,
a vivere rendendoti grazie e senza nostalgia,
a conservare fedeltà e non rigidità.
Libera il nostro passato da tutto ciò che è inutile
che ci schiaccia senza vivificarci,
che irrita il presente senza nutrirlo.
Donaci di restare ancorati al presente
senza esserne assorbiti,
di vivere con slancio e non a rimorchio,
di scegliere l'occasione favorevole
senza aggrapparci alle occasioni perdute,
di leggere i segni senza prenderli per oracoli.
Libera il nostro presente dalla febbre che agita
e dalla pigrizia che spegne ogni decisione.
Donaci il sapore del momento presente
e liberaci da ogni sogno illusorio.
Facci guardare al futuro,
senza bramare la sua illusione,
né temere la sua venuta; insegnaci a vegliare.
Libera il nostro avvenire da ogni preoccupazione inutile,
da ogni apprensione che ci ruba il tempo,
da tutti i calcoli che ci imprigionano.
Tu sei il Dio che mette il tempo
a disposizione della nostra memoria, delle nostre scelte,
della nostra speranza.
Joseph Rozier
sabato 11 dicembre 2010
venerdì 10 dicembre 2010
Confronta le tue sofferenze con le sofferenze e le pene di Cristo per potere, durante le persecuzioni, attingere forza
Pace a te, o Chiesa,
riscattata dal sangue prezioso di Cristo, tu che porti il vessillo del suo amore. Sei nata nelle sofferenze di Cristo sul Calvario, e nella sofferenza generi figli e figlie. A molti di questi affidi la missione della testimonianza dinnanzi alle potenze di questo mondo, nel crogiolo della prova: nelle prigioni e nei lager.
Non piegare la testa afflitta, ma contempla in spirito l'immagine celeste di Gesù e ricorda le offese sopportate per noi... Confronta le tue sofferenze con le sofferenze e le pene di Cristo per potere, durante le persecuzioni, attingere forza nell'immagine meravigliosa di Gesù Cristo; e non desiderare di continuare il cammino se non sulla via del Calvario.
Scalfi, P. Romano
riscattata dal sangue prezioso di Cristo, tu che porti il vessillo del suo amore. Sei nata nelle sofferenze di Cristo sul Calvario, e nella sofferenza generi figli e figlie. A molti di questi affidi la missione della testimonianza dinnanzi alle potenze di questo mondo, nel crogiolo della prova: nelle prigioni e nei lager.
Non piegare la testa afflitta, ma contempla in spirito l'immagine celeste di Gesù e ricorda le offese sopportate per noi... Confronta le tue sofferenze con le sofferenze e le pene di Cristo per potere, durante le persecuzioni, attingere forza nell'immagine meravigliosa di Gesù Cristo; e non desiderare di continuare il cammino se non sulla via del Calvario.
Scalfi, P. Romano
dare le ragioni non significa imporre le proprie ragioni
Questa sera (8 dicembre 2010) ho assistito alla trasmissione Matrix. Sapevo che vi avrebbero partecipato Pino Ciociola, Fabio Cavallari e Massimiliano Tresoldi. Hanno saputo dare le ragioni della loro posizione. Anche la Sen. Binetti. Due frasi mi hanno colpito. Fabio ha detto: «Voler vivere non fa notizia», mentre il professor Alberto Zangrillo parlando di Eluana ha detto: «È stata uccisa».
È un dialogo da riprendere Ricordo di aver incontrato una volta questo pensiero di Max Scheler, filosofo su cui si era esercitato Giovanni Paolo II (cito a senso): “non esiste l’ateo, perché la ragione si esprime sempre in termini assoluti. Quindi o riconosce l’assoluto come realtà a cui tende - e quindi è in posizione religiosa - oppure attribuirà le caratteristiche di assoluto ad un particolare, e sarà quindi propriamente idolatra”. Che è come dire, credo, che il relativista è tale rispetto alla posizione altrui, mentre assolutizza il pensiero proprio. Per accorgersene spesso basta tentare un dialogo con costoro: non accettano che tu possa dire che esiste la verità, infatti l’unica è la loro, “relativisticamente” affermata (quando non imposta, ma ciò dipende dalle circostanze).
Riflettevo su queste cose leggendo il commento di Donata Righetti, su “Il Giorno” del 7 dicembre 2010, sulle posizioni espresse dalla senatrice Paola Binetti a proposito del suicidio di Mario Monicelli. Premetto che, come sapranno i lettori del sito CulturaCattolica.it, con la Binetti non ho avuto molto “feeling”: acqua passata, certo, ma senza che ci siano stati cambiamenti.
È stata accusata – lo dico con le mie parole - di voler imporre la sua visione della realtà, atto questo gravemente lesivo della libertà di ciascuno di fare, della propria vita, ciò che vuole, e di comunicare i propri pensieri come se fossero “la” verità. Dice infatti la giornalista: “Provoca una sensazione di sgomento la violenta assenza di sensibilità e di misura con cui alcuni personaggi sono convinti di avere il diritto di accanirsi sulle scelte altrui, colpisce la feroce intrusione nelle decisioni più terribili e private da parte di chi trasforma grumi feroci di sofferenza in punti di polemiche. Nei pressi del recinto sacro della morte le consuete risse della politica dovrebbero lasciare il posto a riflessioni caute, a toni sommessi... Capita che alcuni politici vogliano assumersi il ruolo di giudici assoluti sguainando la spada dell’intransigenza e affondandola nel dolore altrui.”
È un vero peccato che quanto denunciato dalla Righetti vale in un certo modo per tutti, altrimenti, perché scrivere? Perché parlare? Certo, dare le ragioni non significa imporre le proprie ragioni! Ma se non ne hai, perché parli o scrivi? Il punto non è avere certezze, ma a comunicarle rispettando l’interlocutore.
Mi viene sempre in mente quanto il grande costituzionalista J. Weiler diceva a proposito di Giovanni Paolo II: la sua enciclica più bella (detto da lui, ebreo praticante e credente) è stata la Redemptoris Missio. La ragione? Perché dichiarava con onestà la propria intenzione, senza nascondersi, lasciando, come ovvio, la libertà all’interlocutore di dissentire.
Tutto questo mi fa nascere nel cuore il grande desiderio che tra uomini si diano le ragioni, senza settarismi né schematismi, dicendo, come si suol dire, “pane al pane…”.
Marx ci aveva insegnato che l’ideologia è quel pensiero che nasconde le proprie intenzioni. Di ideologia si muore, e prima si soffoca. Auguriamoci di saper raccontare e testimoniare la verità che abbiamo incontrato, senza falsi complessi, e rifiutando quella menzogna (così politically correct) che non sa riconoscere la realtà delle proprie intenzioni, né tanto meno dichiararla, attribuendosi la patente di oggettività.
Ci ricorda Gesù, e lo possiamo affermare “laicamente”: “La verità ci farà liberi”.
È un dialogo da riprendere Ricordo di aver incontrato una volta questo pensiero di Max Scheler, filosofo su cui si era esercitato Giovanni Paolo II (cito a senso): “non esiste l’ateo, perché la ragione si esprime sempre in termini assoluti. Quindi o riconosce l’assoluto come realtà a cui tende - e quindi è in posizione religiosa - oppure attribuirà le caratteristiche di assoluto ad un particolare, e sarà quindi propriamente idolatra”. Che è come dire, credo, che il relativista è tale rispetto alla posizione altrui, mentre assolutizza il pensiero proprio. Per accorgersene spesso basta tentare un dialogo con costoro: non accettano che tu possa dire che esiste la verità, infatti l’unica è la loro, “relativisticamente” affermata (quando non imposta, ma ciò dipende dalle circostanze).
Riflettevo su queste cose leggendo il commento di Donata Righetti, su “Il Giorno” del 7 dicembre 2010, sulle posizioni espresse dalla senatrice Paola Binetti a proposito del suicidio di Mario Monicelli. Premetto che, come sapranno i lettori del sito CulturaCattolica.it, con la Binetti non ho avuto molto “feeling”: acqua passata, certo, ma senza che ci siano stati cambiamenti.
È stata accusata – lo dico con le mie parole - di voler imporre la sua visione della realtà, atto questo gravemente lesivo della libertà di ciascuno di fare, della propria vita, ciò che vuole, e di comunicare i propri pensieri come se fossero “la” verità. Dice infatti la giornalista: “Provoca una sensazione di sgomento la violenta assenza di sensibilità e di misura con cui alcuni personaggi sono convinti di avere il diritto di accanirsi sulle scelte altrui, colpisce la feroce intrusione nelle decisioni più terribili e private da parte di chi trasforma grumi feroci di sofferenza in punti di polemiche. Nei pressi del recinto sacro della morte le consuete risse della politica dovrebbero lasciare il posto a riflessioni caute, a toni sommessi... Capita che alcuni politici vogliano assumersi il ruolo di giudici assoluti sguainando la spada dell’intransigenza e affondandola nel dolore altrui.”
È un vero peccato che quanto denunciato dalla Righetti vale in un certo modo per tutti, altrimenti, perché scrivere? Perché parlare? Certo, dare le ragioni non significa imporre le proprie ragioni! Ma se non ne hai, perché parli o scrivi? Il punto non è avere certezze, ma a comunicarle rispettando l’interlocutore.
Mi viene sempre in mente quanto il grande costituzionalista J. Weiler diceva a proposito di Giovanni Paolo II: la sua enciclica più bella (detto da lui, ebreo praticante e credente) è stata la Redemptoris Missio. La ragione? Perché dichiarava con onestà la propria intenzione, senza nascondersi, lasciando, come ovvio, la libertà all’interlocutore di dissentire.
Tutto questo mi fa nascere nel cuore il grande desiderio che tra uomini si diano le ragioni, senza settarismi né schematismi, dicendo, come si suol dire, “pane al pane…”.
Marx ci aveva insegnato che l’ideologia è quel pensiero che nasconde le proprie intenzioni. Di ideologia si muore, e prima si soffoca. Auguriamoci di saper raccontare e testimoniare la verità che abbiamo incontrato, senza falsi complessi, e rifiutando quella menzogna (così politically correct) che non sa riconoscere la realtà delle proprie intenzioni, né tanto meno dichiararla, attribuendosi la patente di oggettività.
Ci ricorda Gesù, e lo possiamo affermare “laicamente”: “La verità ci farà liberi”.
giovedì 9 dicembre 2010
come un diamante nel carbone
Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi.
Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino.
Ma l'opinione che avevo di loro non e' molto migliorata.
Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l'esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato.
Cercavo di capire cosi' se era veramente una persona comprensiva.
Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: "E' un cappello".
E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello.
Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte.
E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.
(Saint Exupery)
(Saint Exupery)
Non sarà facile non sarà niente facile
verranno a prenderti, a cercarti
verranno a lusingarti
avranno belle frasi
avranno modi falsi
ti toccheranno ti sporcheranno
ma tu non cedere mai
rimani splendido per sempre
splendido mantieni luce, forza e calore
mantieni limpida la passione
rimani acceso,
scintillante come un diamante
come un diamante nel carbone
Ti stanno già cercando
ti stanno già chiamando
sono qui fuori i compratori
ma tu non cedere mai
non ascoltare non ci cascare
tu vai avanti e non voltarti
resta puro per sempre
rimani splendido per sempre splendido
mantieni luce, forza e calore
mantieni limpida la passione
rimani acceso,
scintillante come un diamante
come un diamante nel carbone
Ciscoalmeno per un minuto, molla le bugie
"Passiamo tutti tanto tempo senza dire cosa vogliamo perché sappiamo di non poterlo avere. E perché sembrano robe rozze, o ingrate, o sleali o infantili, o stupide. O anche perché siamo talmente disperati da fingere che le cose siano come devono essere, e sembra una mossa falsa confessare a noi stessi che non lo sono. Su, forza, sputa cosa vuoi. Magari non ad alta voce, se c'è il rischio di finire in un casino. "Vorrei non averlo mai sposato." "Vorrei che fosse ancora viva." "Vorrei non avere mai fatto dei figli con lei." "Vorrei avere una barcata di soldi." "Vorrei che tutti gli albanesi tornassero nella loro Albania di merda." Qualunque cosa sia, dilla a te stesso. La verità ti renderà libero. Oppure ti beccherai un pugno sul naso. Sopravvivere a qualsiasi vita tu stia vivendo significa mentire, e l'inganno corrode l'anima: quindi, almeno per un minuto, molla le bugie."
(Nick Hornby)
(Nick Hornby)
Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov'è sepolto il vostro cuore segreto
"Le cose più importanti sono le più difficili da dire. Sono quelle di cui ci si vergogna, perchè le parole le immiseriscono - le parole rimpiccioliscono cose che finchè erano nella vostra testa sembravano sconfinate, e le riducono a non più che a grandezza naturale quando vengono portate fuori.
Ma è più che questo, vero? Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov'è sepolto il vostro cuore segreto, come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portare via. E potreste fare rivelazioni che vi costano per poi scoprire che la gente vi guarda strano, senza capire perchè vi sembrava tanto importante da piangere quasi mentre lo dicevate. Questa è la cosa peggiore, secondo me. Quando un segreto rimane chiuso non per mancanza di uno che lo racconti ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare."
Ma è più che questo, vero? Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov'è sepolto il vostro cuore segreto, come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portare via. E potreste fare rivelazioni che vi costano per poi scoprire che la gente vi guarda strano, senza capire perchè vi sembrava tanto importante da piangere quasi mentre lo dicevate. Questa è la cosa peggiore, secondo me. Quando un segreto rimane chiuso non per mancanza di uno che lo racconti ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare."
S. King (Stand by me)
E' proibito
E' proibito piangere senza imparare, svegliarti la mattina senza sapere che fare avere paura dei tuoi ricordi.
E' proibito non sorridere ai problemi, non lottare per quello in cui credi e desistere, per paura. Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realta'.
E' proibito non dimostrare il tuo amore, fare pagare agli altri i tuoi malumori.
E' proibito abbandonare i tuoi amici, non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
E' proibito non essere te stesso davanti alla gente, fingere davanti alle persone che non ti interessano, essere gentile solo con chi si ricorda di te, dimenticare tutti coloro che ti amano.
E' proibito non fare le cose per te stesso, avere paura della vita e dei suoi compromessi, non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
E' proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e le sue risate solo perche' le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
E' proibito non cercare di comprendere le persone, pensare che le loro vite valgono meno della tua, non credere che ciascuno tiene il proprio cammino nelle proprie mani.
E' proibito non creare la tua storia, non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te, non comprendere che cio' che la vita ti dona, allo stesso modo te lo puo' togliere. E' proibito non cercare la tua felicita', non vivere la tua vita pensando positivo, non pensare che possiamo solo migliorare, non sentire che, senza di te, questo mondo non sarebbe lo stesso.
(P.Neruda)
E' proibito non sorridere ai problemi, non lottare per quello in cui credi e desistere, per paura. Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realta'.
E' proibito non dimostrare il tuo amore, fare pagare agli altri i tuoi malumori.
E' proibito abbandonare i tuoi amici, non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
E' proibito non essere te stesso davanti alla gente, fingere davanti alle persone che non ti interessano, essere gentile solo con chi si ricorda di te, dimenticare tutti coloro che ti amano.
E' proibito non fare le cose per te stesso, avere paura della vita e dei suoi compromessi, non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
E' proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e le sue risate solo perche' le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
E' proibito non cercare di comprendere le persone, pensare che le loro vite valgono meno della tua, non credere che ciascuno tiene il proprio cammino nelle proprie mani.
E' proibito non creare la tua storia, non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te, non comprendere che cio' che la vita ti dona, allo stesso modo te lo puo' togliere. E' proibito non cercare la tua felicita', non vivere la tua vita pensando positivo, non pensare che possiamo solo migliorare, non sentire che, senza di te, questo mondo non sarebbe lo stesso.
(P.Neruda)
mercoledì 8 dicembre 2010
Bisogna progredire, arricchire la propria cultura
"Spesso i giornalisti non tengono presente chi sia la persona alla quale si rivolgono, dimenticando che può essere molto più intelligente e in gamba di loro. La cosa è complicata dal fatto che, da noi, un giornalista deve essere un tuttologo e occuparsi di qualsiasi argomento; in realtà viviamo in un'epoca di specializzazioni, per cui dovremmo muoverci con tanta umità e consapevolezza dei nostri limiti. In una parola, se vogliamo affrontare un certo argomento, dobbiamo conoscerlo alla perfezione: solo così il lettore impara ad associare al nostro nome qualcosa di valido. E' un mestiere, o meglio una missione - vista l'infinità di informazioni, opinoni e conoscenze che dovremmo possedere - che diventa sempre più difficile. (...) Bisogna progredire, arricchire la propria cultura".
"Autoritratto di un reporter", di Kapuscìnski,
"Autoritratto di un reporter", di Kapuscìnski,
lunedì 6 dicembre 2010
volgetevi a Maria
A Lourdes – un luogo dove la sofferenza è un richiamo costante per ogni pellegrino - il nostro Pontefice ci ha ricordato:
“Vi sono combattimenti che l’uomo non può sostenere da solo, senza l’aiuto della grazia divina. Quando la parola non sa più trovare espressioni adeguate, s’afferma il bisogno di una presenza amorevole: cerchiamo allora la vicinanza non soltanto di coloro che condividono il nostro stesso sangue o che ci sono legati con i vincoli dell’amicizia, ma la vicinanza anche di coloro che ci sono intimi per il legame della fede. […] Vorrei dire, umilmente, a coloro che soffrono e a coloro che lottano e sono tentati di voltare le spalle alla vita: volgetevi a Maria! Nel sorriso della Vergine si trova misteriosamente nascosta la forza per proseguire il combattimento contro la malattia e in favore della vita. Presso di lei si trova ugualmente la grazia di accettare senza paura né amarezza il congedo da questo mondo, nell’ora voluta da Dio” (Benedetto XVI).
“Vi sono combattimenti che l’uomo non può sostenere da solo, senza l’aiuto della grazia divina. Quando la parola non sa più trovare espressioni adeguate, s’afferma il bisogno di una presenza amorevole: cerchiamo allora la vicinanza non soltanto di coloro che condividono il nostro stesso sangue o che ci sono legati con i vincoli dell’amicizia, ma la vicinanza anche di coloro che ci sono intimi per il legame della fede. […] Vorrei dire, umilmente, a coloro che soffrono e a coloro che lottano e sono tentati di voltare le spalle alla vita: volgetevi a Maria! Nel sorriso della Vergine si trova misteriosamente nascosta la forza per proseguire il combattimento contro la malattia e in favore della vita. Presso di lei si trova ugualmente la grazia di accettare senza paura né amarezza il congedo da questo mondo, nell’ora voluta da Dio” (Benedetto XVI).
domenica 5 dicembre 2010
Imparare una grammatica del vecchio che non sia “finora ho vissuto per gli altri, ora mi dedico a me”.
Colloquio con Enzo Bianchi a cura di Elena Loewenthal
ELENA LOEWENTHAL. «Ogni cosa alla sua stagione è un titolo forte, pregnante. Non porta il verbo avere che nell’ebraico della Bibbia non esiste – «ogni cosa ha la sua stagione» – e richiama invece quell’atteggiamento “dativo” che in questa lingua sostituisce il possesso. Così, ci invita a un senso della lettura diverso, più partecipato. Quel viale di tigli di cui si parla alla fine, ad esempio, pare di sentire il profumo pagina dopo pagina…».
ENZO BIANCHI. «Ho deciso di piantare un viale di tigli, perché sono anziano. Alla mia età, credo sia necessario fare atti di fiducia nel futuro su questa terra. Sono sotto il mio eremo: non so per quanti anni potrò sentire il profumo strabiliante che emanano in maggio, soprattutto la mattina presto e nelle lunghe serate piene di luce. Quel profumo che sale dalla terra della collina, sarà soprattutto per gli altri che verranno dopo di me. Quando siamo colti dall’anzianità, è importante pensare non soltanto a noi e ravvivare invece il nostro rapporto con quel che ci circonda, esprimere rispetto per la vita che abbiamo vissuto e gratitudine per questa terra così bella. Anche se dovremo lasciarla».
LOEWENTHAL. «C’è un nodo che tiene insieme queste riflessioni, in parte svelando in parte racchiudendo: è la questione del tempo, inteso come un valore, e non un possesso. I padri antichi dicevano che il tempo è di Dio, non nostro. Noi lo abitiamo, ma non ne disponiamo perché ci sfugge ogni volta che proviamo ad afferrarlo. L’impressione è che stiamo perdendo questo senso del tempo come territorio su cui vivere e non come oggetto da possedere. Non abbiamo più la nozione della stagionalità fatta di passaggi e ritorni: a incominciare da quando si fa la spesa e tutto sembra sempre disponibile, in ogni momento dell’anno».
BIANCHI. «Viviamo un mondo in fuga. Abbiamo lasciato che il tempo diventasse una dimensione estranea: siamo la “generazione post-mortale”, perché non abbiamo più la percezione del nostro limite. Ascolto spesso la gente usare il futuro anteriore, “quando avrò fatto…”: significa non vivere né il presente né il futuro! Il distacco dal tempo è poi da se stessi, dalla relazione con gli altri. Pensare che tutto questo è stato il fermento della nostra cultura. Noi in Occidente abbiamo le stagioni, che hanno ritmato la civiltà e la cultura in una continua dinamica tra la pienezza estiva della vita e l’inverno in cui tutto dorme. E poi siamo per definizione la gente delle terre dove “cade il sole”, l’ Occasum . La perdita di queste nozioni ci rende molto poveri, incapaci di abitare il tempo».
LOEWENTHAL. «E anche fragili, soprattutto in rapporto al tempo della nostra vita. Questo libro non è un senectute, un viatico per la vecchiaia, ma certo qui si riflette sull’ultima età. Una grande fragilità del nostro tempo, credo, è il rifiuto della vecchiaia e in fondo anche di quella morte con cui prima o poi dovremo fare i conti. È illuminante, poi, quel che ci rivela. Lo sapevamo già, senza sapere di saperlo…: il vecchio ha esperienza, però è anche vero che la vecchiaia è un unicum , che quando la vivi è irrimediabilmente una prima volta. E bisogna pur prepararsi».
BIANCHI. «La vecchiaia è ancora un tempo da vivere, non da negare. E nemmeno di cui avere paura. Bisogna cercare di attraversarlo in modo consapevole, secondo canoni di vera e propria arte. La vecchiaia si allunga, ma non ha più quel carisma di esperienza e saggezza impressole un tempo. Si tratta di viverla in sintonia con le nuove generazioni, senza ghettizzarsi. Imparare una grammatica del vecchio che non sia “finora ho vissuto per gli altri, ora mi dedico a me”. Una grande lezione che mi ha insegnato la Bibbia è che la vita non è un feticcio. La vita è tale finché c’è relazione, la morte è assenza di relazione: i Salmi ci dicono che i morti neanche lodano Iddio. Se la vita è relazione, anche la vecchiaia deve adeguarsi, pur con la sua lentezza e fatica. Ciò che più fa paura ai vecchi non è il dolore o la morte, ma la solitudine. L’esclusione dal ciclo della vita. Per guarirla ci vogliono impegno culturale e politiche lungimiranti. Bisogna soprattutto prepararsi una vecchiaia in cui la relazione continui».
LOEWENTHAL. «La vita come relazione. Certo. Ancora una volta, la Bibbia chiama la vita con una parola plurale, hayyim . Se c’è un dono che ha la vecchiaia, è quello di saper tornare al passato con una lucidità e un senso di presenza. Paradossalmente, quel che è stato per noi in lontananza ditempo, ci sembra più vicino man mano che invecchiamo. I ricordi diventano più nitidi. È una specie di ritorno, vero?».
BIANCHI. «È un ritorno, sì, e molto importante. Non solo vediamo meglio contorni e figure, addirittura le facciamo resuscitare. Di recente mi sono ritrovato capace di pensare a una persona che non evocavo da almeno trent’anni. Si acquisisce una specie di chiaroveggenza, insomma. Che è poi frutto della gratitudine. Da giovani siamo creditori: la vita ci deve dare! Poi viene l’ora in cui sentiamo di avere dei debiti da pagare: alla terra, alle persone. In questo libro ho voluto saldare dei debiti con amici d’infanzia che hanno significato tanto, anche se non li ho mai più visti. Con le persone grazie alle quali sono quello che sono».
LOEWENTHAL. «E ci vuole molta generosità, per condividere con il lettore questi debiti di riconoscenza. Che qui affiorano in forma di figure umane, forti e dolci al tempo stesso. Come Etta e Cocco, ad esempio».
BIANCHI. «La mia vita è segnata da queste due donne, che dopo la morte di mia madre - avevo otto anni - mi hanno spiritualmente adottato. Una era postina, l’altra la maestra del mio paese. Una maestra straordinaria, che metteva i meno bravi nei primi banchi per dare loro un’opportunità. Loro due mi hanno dato la libertà, una biblioteca, invogliato a girare il mondo. Mi hanno insegnato il rispetto per gli altri. Anche mio padre mi ha costruito: da lui ho preso quel senso di giustizia che deve regnare sul mondo. E che si manifestava quotidianamente, quando girovaghi e mendicanti entravano e mangiavano alla nostra tavola. Sembrava strano, ma era così, a casa. È la cosa più bella che mi porto dietro».
ELENA LOEWENTHAL. «Ogni cosa alla sua stagione è un titolo forte, pregnante. Non porta il verbo avere che nell’ebraico della Bibbia non esiste – «ogni cosa ha la sua stagione» – e richiama invece quell’atteggiamento “dativo” che in questa lingua sostituisce il possesso. Così, ci invita a un senso della lettura diverso, più partecipato. Quel viale di tigli di cui si parla alla fine, ad esempio, pare di sentire il profumo pagina dopo pagina…».
ENZO BIANCHI. «Ho deciso di piantare un viale di tigli, perché sono anziano. Alla mia età, credo sia necessario fare atti di fiducia nel futuro su questa terra. Sono sotto il mio eremo: non so per quanti anni potrò sentire il profumo strabiliante che emanano in maggio, soprattutto la mattina presto e nelle lunghe serate piene di luce. Quel profumo che sale dalla terra della collina, sarà soprattutto per gli altri che verranno dopo di me. Quando siamo colti dall’anzianità, è importante pensare non soltanto a noi e ravvivare invece il nostro rapporto con quel che ci circonda, esprimere rispetto per la vita che abbiamo vissuto e gratitudine per questa terra così bella. Anche se dovremo lasciarla».
LOEWENTHAL. «C’è un nodo che tiene insieme queste riflessioni, in parte svelando in parte racchiudendo: è la questione del tempo, inteso come un valore, e non un possesso. I padri antichi dicevano che il tempo è di Dio, non nostro. Noi lo abitiamo, ma non ne disponiamo perché ci sfugge ogni volta che proviamo ad afferrarlo. L’impressione è che stiamo perdendo questo senso del tempo come territorio su cui vivere e non come oggetto da possedere. Non abbiamo più la nozione della stagionalità fatta di passaggi e ritorni: a incominciare da quando si fa la spesa e tutto sembra sempre disponibile, in ogni momento dell’anno».
BIANCHI. «Viviamo un mondo in fuga. Abbiamo lasciato che il tempo diventasse una dimensione estranea: siamo la “generazione post-mortale”, perché non abbiamo più la percezione del nostro limite. Ascolto spesso la gente usare il futuro anteriore, “quando avrò fatto…”: significa non vivere né il presente né il futuro! Il distacco dal tempo è poi da se stessi, dalla relazione con gli altri. Pensare che tutto questo è stato il fermento della nostra cultura. Noi in Occidente abbiamo le stagioni, che hanno ritmato la civiltà e la cultura in una continua dinamica tra la pienezza estiva della vita e l’inverno in cui tutto dorme. E poi siamo per definizione la gente delle terre dove “cade il sole”, l’ Occasum . La perdita di queste nozioni ci rende molto poveri, incapaci di abitare il tempo».
LOEWENTHAL. «E anche fragili, soprattutto in rapporto al tempo della nostra vita. Questo libro non è un senectute, un viatico per la vecchiaia, ma certo qui si riflette sull’ultima età. Una grande fragilità del nostro tempo, credo, è il rifiuto della vecchiaia e in fondo anche di quella morte con cui prima o poi dovremo fare i conti. È illuminante, poi, quel che ci rivela. Lo sapevamo già, senza sapere di saperlo…: il vecchio ha esperienza, però è anche vero che la vecchiaia è un unicum , che quando la vivi è irrimediabilmente una prima volta. E bisogna pur prepararsi».
BIANCHI. «La vecchiaia è ancora un tempo da vivere, non da negare. E nemmeno di cui avere paura. Bisogna cercare di attraversarlo in modo consapevole, secondo canoni di vera e propria arte. La vecchiaia si allunga, ma non ha più quel carisma di esperienza e saggezza impressole un tempo. Si tratta di viverla in sintonia con le nuove generazioni, senza ghettizzarsi. Imparare una grammatica del vecchio che non sia “finora ho vissuto per gli altri, ora mi dedico a me”. Una grande lezione che mi ha insegnato la Bibbia è che la vita non è un feticcio. La vita è tale finché c’è relazione, la morte è assenza di relazione: i Salmi ci dicono che i morti neanche lodano Iddio. Se la vita è relazione, anche la vecchiaia deve adeguarsi, pur con la sua lentezza e fatica. Ciò che più fa paura ai vecchi non è il dolore o la morte, ma la solitudine. L’esclusione dal ciclo della vita. Per guarirla ci vogliono impegno culturale e politiche lungimiranti. Bisogna soprattutto prepararsi una vecchiaia in cui la relazione continui».
LOEWENTHAL. «La vita come relazione. Certo. Ancora una volta, la Bibbia chiama la vita con una parola plurale, hayyim . Se c’è un dono che ha la vecchiaia, è quello di saper tornare al passato con una lucidità e un senso di presenza. Paradossalmente, quel che è stato per noi in lontananza ditempo, ci sembra più vicino man mano che invecchiamo. I ricordi diventano più nitidi. È una specie di ritorno, vero?».
BIANCHI. «È un ritorno, sì, e molto importante. Non solo vediamo meglio contorni e figure, addirittura le facciamo resuscitare. Di recente mi sono ritrovato capace di pensare a una persona che non evocavo da almeno trent’anni. Si acquisisce una specie di chiaroveggenza, insomma. Che è poi frutto della gratitudine. Da giovani siamo creditori: la vita ci deve dare! Poi viene l’ora in cui sentiamo di avere dei debiti da pagare: alla terra, alle persone. In questo libro ho voluto saldare dei debiti con amici d’infanzia che hanno significato tanto, anche se non li ho mai più visti. Con le persone grazie alle quali sono quello che sono».
LOEWENTHAL. «E ci vuole molta generosità, per condividere con il lettore questi debiti di riconoscenza. Che qui affiorano in forma di figure umane, forti e dolci al tempo stesso. Come Etta e Cocco, ad esempio».
BIANCHI. «La mia vita è segnata da queste due donne, che dopo la morte di mia madre - avevo otto anni - mi hanno spiritualmente adottato. Una era postina, l’altra la maestra del mio paese. Una maestra straordinaria, che metteva i meno bravi nei primi banchi per dare loro un’opportunità. Loro due mi hanno dato la libertà, una biblioteca, invogliato a girare il mondo. Mi hanno insegnato il rispetto per gli altri. Anche mio padre mi ha costruito: da lui ho preso quel senso di giustizia che deve regnare sul mondo. E che si manifestava quotidianamente, quando girovaghi e mendicanti entravano e mangiavano alla nostra tavola. Sembrava strano, ma era così, a casa. È la cosa più bella che mi porto dietro».
in “La Stampa” del 1 dicembre 2010
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