sabato 9 febbraio 2013

Ho bisogno che tutto questo mi liberi dal dormiveglia


VALORI DELLA STRADA


<<Finalmente la route!
Ho bisogno dello zaino e
della pazienza del cammino.
Ho bisogno di avere sete
qualche volta e di avere fame.
Ho bisogno di piantare la tenda
tutte le sere, e di spiantarla
tutte le mattine.
Ho bisogno che tutto questo
mi strappi fuori dalle comodità
in cui ogni giorno mi adagio.
Ho bisogno che tutto questo
mi liberi dal dormiveglia
e mi ridoni il gusto della vita.
Ho bisogno del silenzio,
dei pezzi di strada senza parole,
per accorgermi che non devo
avere paura di niente,
neanche della mia debolezza,
perché c'è un amore
che mi ama sempre>>.
Preghiera degli scout

venerdì 8 febbraio 2013

credere che sia rimasto di là


Niente lo ferma

L’hanno arrestato come un malfattore, inchiodato sulla croce come un assassino, hanno sigillato il suo sepolcro…
Niente lo ferma.
I suoi discepoli lo volevano circoscrivere alla Palestina con la scusa che egli era un ebreo. E se lo trovarono in Antiochia, in Alessandria, in Atene, in Roma prima ancora che gli Apostoli vi ponessero piede.
Gli volevano dare la cittadinanza romana, ed egli era già là con i barbari.
Gli fabbricarono basiliche stupende di travertino, ed egli aveva già accettato l’ospitalità sotto la capanna del monaco, sulle rive della Mosa, del Reno, del Danubio.
Gli avevano fissato come mare il Mediterraneo, ed egli passava l’Atlantico con Colombo.
La cultura greca gli rivestiva di ragione i paradossi del suo Vangelo, ed egli compitava con gli indotti.
Il feudalesimo gli offriva il castello, ed egli faceva casa con i servi della gleba.
I re lo nominavano ciambellano o cappellano di corte, ed egli si faceva galeotto con San Vincenzo de’ Paoli.
I nobili già pensavano di poterlo avvolgere negli stucchi dorati, in mezzo ai santi e agli angeli, sotto le volte delle loro chiese barocche, quando la rivoluzione francese lo mandava in esilio.
Dopo averlo deriso la borghesia è andata in cerca di lui, la povera gente credette e continua a credere che sia rimasto di là con coloro che non le vogliono bene, mentre cammina portando le sue pene e le sue speranze.
(PRIMO MAZZOLARI, Il Natale)

giovedì 7 febbraio 2013

non è tanto facile metterci d’accordo quando si tratta di rivendicare diritti molto più profondi e importanti


L’operaio.

Cristo,
sono un operaio,
sono uno che per un pezzo di pane rischia di dovere vendere la sua dignità e la sua libertà.
Sono uno condannato a diventare un oggetto che fa un giorno
dietro l’altro sempre lo stesso movimento.
Sono il prolungamento di una macchina.
Ma anche questo mio gesto non è libero perché vivo al servizio della macchina che mi comanda.
Diventato oggetto più che persona, cado continuamente nella tentazione di trattare gli altri, anche i miei figli, anche mia moglie, come tanti altri oggetti.
Torno a casa troppo stanco della mia schiavitù monotona e quotidiana per poter giocare in pace con i miei bambini e abbracciare serenamente e degnamente mia moglie.
Schiavo sul lavoro divento tiranno nel mio tempo libero.
Tempo libero, Signore?
Questa espressione è la dimostrazione più chiara che noi uomini abbiamo accettato definitivamente che il tempo del lavoro è il tempo della “schiavitù”.
Tu, cristo, sei stato un lavoratore, ma non uno schiavo.
Noi o accettiamo la schiavitù o moriamo di fame.
Certo, nonostante la mia povera cultura e il mio carico di alienazione, capisco che il lavoro dovrebbe essere un’altra cosa. Dovrebbe essere qualcosa che io realizzo con le mie mani, che io creo e metto al servizio degli altri.
Sento, Signore, che esisto non per lavorare, ma per creare, per elaborare un progetto utile agli uomini, per programmarlo con gli altri se non mi è possibile farlo da solo, per realizzarlo con le mie mani e con lo sforzo della mia volontà e in collaborazione con gli altri uomini quando va oltre le mie possibilità.
E invece ora l’operaio, non è certo creatore, programmatore, libero realizzatore, perché tutto ci viene imposto e non interveniamo efficacemente in nessuna gestione creativa.
Quelli che concepiscono le idee, lo fanno per guadagnare denaro: per questo nasce la concorrenza.
Il lavoro, quello che ci fa schiavi, lo programmano i tecnici: non artisti o creatori.
Noi operai siamo i ciechi esecutori della macchina e siamo castigati quando non le obbediamo.
E quello che è ancora più triste e che nonostante questo sistema alienato e degradante, il medesimo prodotto che noi facciamo è contro l’uomo, contro noi stessi: sono proprio io che produco il veleno per me e per i miei figli.
C’è una tristezza, una schiavitù maggiore?
A noi operai ci chiamano la classe d’avanguardia, quelli destinati a fare la rivoluzione per portare la giustizia al mondo, perché siamo quelli più sfruttati.
Ma mi chiedo come potremmo fare una tale rivoluzione se al fondo di tutte le nostre lotte sono impostate per aumentare la quantità di veleno che produciamo.
Quali battaglie autentiche combattiamo perché non continuino a trattarci come cose ma come persone?
Quante battaglie combattiamo per rivendicare seriamente il nostro potere decisionale?
Ci troviamo sempre d’accordo per lavorare di meno e guadagnare di più. Ed è una battaglia giusta contro quanti desidererebbero il contrario, cioè che lavorassimo di più per guadagnare di meno.
Ma è triste costatare che non è tanto facile metterci d’accordo quando si tratta di rivendicare diritti molto più profondi e importanti, che ci permetterebbero di cominciare a vivere come persone libere e creative.
Come è difficile per esempio metterci d’accordo perché nascano progetti di un nuovo tipo di lavoro che ci realizzi, ci soddisfi e dia un senso alla nostra vita.
Cristo,
quale salto qualitativo dobbiamo fare per uscire dal compromesso con i nostri stessi padroni che ci lusingano con il benessere che essi hanno ottenuto e che noi coscientemente o incoscientemente desideriamo?
Montiamo in collera quando sono i “sistemati” che ce lo dicono perché ci pare una scusa per frenarci nella nostra rivendicazione sociale ed economica, ma quando ci troviamo a tu per tu con la nostra coscienza sappiamo che la vera rivoluzione la portiamo avanti quando, senza abbandonare la nostra lotta per la giustizia economica, ci batteremo per scoprirci veri uomini e per scrutare dentro di noi le nostre esigenze più profonde che ci chiamano a realizzare una vita umana, giusta, libera, fraterna, senza lasciarci sedurre dalle false necessità e dal miraggio di potere di certe ideologie.
Noi non siamo stati fatti per il potere.
Siamo stati fatti per creare la possibilità che permettano all’uomo una vita più umana.
La nostra forza ha le radici in questa scoperta. Per questo, Signore, mi rendo conto che non potremmo abbandonare le nostre catene senza una vera rivoluzione.
Ma quale?
La lotta per il potere che significa soltanto cambiare padrone?
O non sarà piuttosto la nostra rivoluzione, quella che faremo quando saremo tutti consapevoli di dover diventare i protagonisti di quel potere che ci ha schiacciato e impedito di esser uomini e creatori di un nuovo modo di vivere che non ripeta i vecchi schemi del passato?
Sarà troppo ingenuo voler cominciare di nuovo quando ci rendiamo conto che in fondo anche noi dispiace la vita dei nostri sfruttatori perché anch’essa alienante e disumana?
Abbiamo il diritto, noi lavoratori, e anche il dovere di unirci per dare una risposta comunelle comuni esigenze di tutti gli uomini?
Possiamo dire che almeno una volta si è pensato seriamente a una simile rivoluzione?
Cristo,
noi operai non ignoriamo la predilezione che tu hai per noi.
Per questo vorremmo sentire profondamente la nostra forte responsabilità insieme con i nostri diritti più sacri.
Insieme col pane per i miei che non posso non continuare a chiederti e per cui non posso continuare a lottare, ti chiedo, Signore, che mi liberi ogni mattino dalla tentazione di convertirmi in un nostalgico borghese, io che sento la vocazione di creatore e di rivoluzionario.
Se fosse il contrario, verremmo scavalcati dalle nuove generazioni a cui sembreremmo perfino complici degli sfruttatori.
Nel mondo che grida una rivoluzione globale, ogni compromesso che significa soltanto revisionismo e ogni patto col mondo dello sfruttamento sarà giudicato come diserzione e ingiuria.
Un no comunitario di tutti i lavoratori del mondo a un lavoro che è schiavitù e non creatività, non cambierebbe radicalmente e all’improvviso questa terribile macchina che noi continuiamo ad alimentare ogni giorno a prezzo della nostra dignità?
Cristo,
sveglia gli operai di tutto il mondo perché se noi continuiamo a dormire, la grande rivoluzione non ci sarà nessuno a farla e il mondo continuerà a mordere le sue catene di schiavitù.
E già sento la chiamata urgente alla libertà.
Un sogno?
Ma quello che sto vivendo può continuare a chiamarsi realtà?
(JUAN ARIAS,Preghiera nuda, Cittadella Editrice)

mercoledì 6 febbraio 2013

Quale male? Che male c’è? Perfino queste domande, che sono poi le domande di Caino appena compiuto il delitto, non hanno più corso.


La domanda di Caino

Nel giro di sessant’anni il mondo, un certo mondo ha cambiato abitudini, regole, meglio ancora ha perduto qualsiasi rapporto con quello che un tempo costituiva il fondo vero di ogni possibile verità umana. Al gusto tutto interiore della giustificazione delle proprie azioni, al bisogno di dare un senso alla propria vita è stato, a poco a poco, sostituito un regime completamente diverso, dove la nozione del male, l’idea stessa di peccato non hanno più nessuna possibilità di inserimento.
Quale male? Che male c’è? Perfino queste domande, che sono poi le domande di Caino appena compiuto il delitto, non hanno più corso. Se qualche volta le sentiamo ripetere, sotto la spinta di una protesta o sotto il peso di una passione, suonano del tutto prive di significato. Sono piuttosto un atto di insofferenza e un’accusa che vorrebbe confinare nell’angolo delle idee morte la nostra esigenza di approfondire e di giudicare le azioni degli uomini.
Né occorre dire che alla base di tante incertezze, di tanti ambigui comportamenti che nutrono il quotidiano di persone chiamate a guidare, a ricordare la parte delle responsabilità insostenibili, ritroviamo la domanda di sempre. Non si sa, cioè, più che cosa sia male, non si sa più quali regole suggerire. Il campo viene così abbandonato e l’intero capitolo della morale messo in discussione con le conseguenze che tutti sanno immaginare e che toccano, prima di tutto, il patrimonio stesso del cristianesimo e una storia di duemila anni.
Né, d’altronde, si vede quali vantaggi possano nascere da una abolizione così completa e radicale delle nozioni fondamentali della colpa, del peccato, dell’errore, dal momento che non si è pensato di provvedere a delle sostituzioni, a delle nuove proposte.
Una volta abolito il fondo della coscienza sensibile, la figura dell’uomo assume un colore di morte e il resto della sua leggenda viene sbriciolato in gesti senza valore, in atti che potremmo definire bestiali, soprattutto in una incapacità di reazioni a qualsiasi livello.
Viene allora da pensare che il male sia sfruttato come merce, come strumento della nuova industria del disordine mascherato e si ha l’impressione che qualsiasi spettacolo, perverso quanto si vuole, abbia perduto ogni forza d’urto.
(CARLO BO, La domanda di Caino, “Corriere della Sera”, 19 settembre 1967).

martedì 5 febbraio 2013

se questi ci conducono sulla strada dei nostri fratelli


Dio, mandaci dei cattivi sogni

Con una bella banconota tutta nuova, questa signora, altrimenti molto “distinta”, mi indirizza le seguenti righe che “suonano bene”: “Non mandatemi più simili libretti con quelle orribili fotografie dei lebbrosi. Ne ho, da due notti, dei sogni terribili. Eccovi dieci franchi per loro; ma per l’amor di Dio (dove va a finire l’amore di Dio!) che non ne senta più parlare!”.
Le ho risposto: “Che Iddio faccia sì che i vostri cattivi sogni durino ancora, Signora. E’ il bene più grande che io possa augurarvi. Fino al giorno in cui queste fotografie che trovate orribili (ah! se si potessero fotografare le anime!) non provocheranno più la vostra ripugnanza e meno ancora una pietà che siete incapace di esprimere in altro modo che con una vignetta della Banca di Francia, ma un illuminato e coraggioso amore.
Vi rimando la vostra banconota, perché è mal donata e di essa, perciò, non saprei che farmene. Voi stessa la darete a un Povero quando vi sentirete capace, anche al prezzo delle vostre  confortanti insonnie, di aprire gli occhi sulla sua miseria e di tendergli le mani.
Avete pensato di fare l’elemosina? In verità, volevate, nello stesso tempo, sbarazzarvi di noi. Di noi, e di loro”.

Che il buon Dio doni a tutti noi dei cattivi sogni, se questi ci conducono sulla strada dei nostri fratelli.
Che Egli ci faccia la grazia di esser angosciati della miseria del mondo.
Di modo che noi, gente terribilmente felice, noi, possiamo farci perdonare il nostro benessere, imparando ad amare.
(RAOUL FOLLEREAU, Una battaglia diversa dalle altre, Ed. Missionaria Italiana).

lunedì 4 febbraio 2013

era facile percepire il sussulto della profezia


Aveva appena finito di leggere, nella sinagoga di Nazaret, un passo del libro di Isaia . Il passo dice: "Lo Spirito del Signore è su di me. Mi ha unto per annunziare la buona notizia ai poveri, la liberazione ai prigionieri, il riacquisto della vista ai ciechi, il mandare in libertà gli oppressi, il proclamare un anno accetto al Signore".
Arrotola il libro, lo rende all'inserviente, si siede. Gli occhi di tutti nella sinagoga sono fissi su di lui. Ed ecco dice: "Oggi si è adempiuta questa scrittura".
E succede l'incredibile, l'inspiegabile. C'è un succedersi di sentimenti, di reazioni nell'uditorio che ha dell'incredibile, dell'inspiegabile. Anche noi facciamo fatica a capire.
Dapprima stupore, meraviglia per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.
Ma ecco insinuarsi subito una perplessità, un'esitazione: "Non è il figlio di Giuseppe costui?".
E poi tutti -dico tutti- tutti infuriati nella sinagoga, tutti a rendere testimonianza e poi tutti nella sinagoga pieni di furore. Si alzano, lo cacciano fuori, lo conducono fino al ciglio del monte per precipitarlo giù.
Ma perché? - ci chiediamo-. Che cosa è capitato?
Una spiegazione la dà Gesù: "In verità vi dico che nessun profeta è accetto nella sua patria".
Gesù dà un criterio che vale per sempre, vale per tutti i tempi. Tutti i tempi conoscono l'ostracismo in patria dei profeti.. E poi succede -succede sempre- anche un'altra cosa, anche questa ricordata da Gesù: si rivalutano i profeti del passato, si chiede perdono per quelli cui è stata fatta violenza ieri e si continua, si persiste nell'ostracismo, nella violenza nei confronti dei profeti di oggi: pensate che cosa è successo per don Mazzolari, per Padre Turoldo, per don Lorenzo Milani. E ai loro nomi potremmo aggiungere nomi di teologi impegnati, illuminati, appassionati del popolo di Dio.
Uomini, ma anche donne, nella cui voce era facile percepire il sussulto della profezia, delle parole di Gesù che dava per possibile un cambiamento, una svolta, un'immagine nuova, un modo diverso di pensare, di progettare, di agire.
Don Angelo Casati

domenica 3 febbraio 2013

approdo sempre alle tue sfere


COME IN ESILIO...
Io ti chiedo Signore per che passo
dovrei entrare senza più sentire
la tua voce di colpa e di rovina.
E invece approdo sempre alle tue sfere
quando mi mostri il firmamento…
Perché questo tuo incanto o questa frode,
cosa ti costa prendermi nel seno?
Come in esilio vado a domandare
alla luce e al giorno se hanno visto
orma di te lungo le siepi brune.
ALDA MERINI (1931-2009)
da La terra santa
Poesie di Dio, Torino 1999, p. 41.