sabato 11 settembre 2010

peggio ancora - del non aver neppure la facoltà di commuoversi e di soffrire

A quali estremi può essere spinto l'uomo da così grave iattura e da così spietata condizione di cose!
Combattere bisognava e camminare, senza tregua e spesso senza speranza. Chi dopo aver lottato per lunghi giorni contro lo sfinimento era costretto a perder terreno, andava insensibilmente ai margini della colonna in marcia e finiva per accasciarsi poi lungo le prode delle piste, rimanendo per terra a seguire con lo sguardo spento il fiume lento dei compagni dilungantesi, guardato esso stesso senza pietà e senza interesse, votato alla morte per assideramento. I muli, uno dopo l'altro si abbattevano estenuati dalla fatica, dalla fame, dal gelo, e così le slitte cariche di feriti e di congelati restavano arenate nell'immensità disperata della steppa. «Non abbandonateci, siamo italiani anche noi!» gemevano quegli infelici, aggrappandosi ai compagni che a mala pena reggevano essi stessi il peso della propria marcia. «Signor Cappellano -implorava un ferito - sparatemi, per amor di Dio, ma non lasciatemi qui».
Può darsi condizione più disperante e più umiliante di quella che viene dall'impossibilità di soccorrere, dal non aver più una benda per un ferito, la forza di stendere la mano a un congelato che si trascina carponi dietro la colonna, un po' d'acqua per un morente (che spesso i pozzi erano suggellati dal ghiaccio), un pezzo di pane per un estenuato - peggio ancora - del non aver neppure la facoltà di commuoversi e di soffrire? Chi può dire, se nella vita non l'abbia provato, il terrore che viene dal veder l'anima propria perdere mano a mano il potere di consentire al dolore, al pericolo e alla morte? Nulla è più agghiacciante di questo impietramento e quasi morte interiore, sotto i colpi troppo gravi e reiterati della sventura, della fame, della stanchezza e del sonno.

don Carlo Gnocchi, Cristo con gli alpini, 30-31

venerdì 10 settembre 2010

L’uomo ha un disperato bisogno di sentire che la sua vita ha un significato più alto di quello che proviene dall’essere una ruota in un meccanismo impersonale.

Il maestro zen incaricò il discepolo di occuparsi del campo di riso. Il primo anno, il discepolo vigilava affinché non mancasse mai l'acqua necessaria. Il riso crebbe forte, e il raccolto fu buono.
Il secondo anno, egli ebbe l'idea di aggiungere un po' di fertilizzante. Il riso crebbe rapidamente, e il raccolto fu maggiore.
Il terzo anno, egli mise altro fertilizzante. Il raccolto fu maggiore ancora, ma il riso nacque piccolo e privo di lucentezza.
"Se continuerai ad aumentare la quantità di concime, non avrai niente di valore l'anno prossimo," disse il maestro. "Tu rafforzi qualcuno, quando gli dai un po' di aiuto. Ma, se lo aiuti molto, lo indebolisci."

Un giovane sognò di entrare in un grande negozio.
A far da commesso, dietro il bancone c'era un angelo.
"Che cosa vendete qui?", chiese il giovane.
"Tutto ciò che desidera", rispose cortesemente l'angelo.
Il giovane cominciò ad elencare: "Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunione nella Chiesa e... e...".
L'angelo lo interruppe: "Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi".
La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi.
Li lascerai crescere?

giovedì 9 settembre 2010

Parole che hanno un peso.

 
J. Sulivan sosteneva che il più grosso rischio è quello costituito da un linguaggio religioso che parla disinvoltamente al nostro posto. E il fenomeno riguarda soprattutto un certo linguaggio religioso, che spunta sulle labbra, quasi attraverso un automatismo, un gioco di riflessi condizionati, come succedeva ai cani di Pavlov. Per cui, in determinate circostanze, di fronte a certi problemi, scattano immediatamente e... inesorabilmente quelle formule, quelle sentenze, quelle risposte prefabbricate, quei giudizi definitivi, quei consigli "infallibili".
Le parole parlate percuotono l'orecchio. Ma difficilmente riescono ad arrivare al cuore.
Le parole parlanti sono le parole che hanno qualcosa da dire, e riescono a dirlo. Parole essenziali, autentiche, palpitanti (oltre che... esitanti). Calde, anzi incandescenti, oltre che trasparenti. Parole "rispettabili", che si fanno prendere sul serio. Autorevoli (anche se chi le pronuncia non ha alcuna autorità ufficiale). Parole che hanno un peso. Parole che vengono da "altrove". Ti accorgi che arrivano da lontano, e soprattutto dal profondo. Parole che, magari, ti frugano, impietosamente e misericordiosamente, in tutti gli angoli del tuo essere. Parole che ti mettono addosso, o, meglio, dentro, una sensazione di pace e tormentosi rimorsi. Terribili e dolci. Semplici e cariche di mistero. Parole lievi, ma che non si possono prendere alla leggera.
Le parole parlanti sono quelle di un linguaggio che scaturisce dai sotterranei dell'essere, da una zona segreta, grazie a un lento, faticoso lavoro di "estrazione". Per cui ognuna di quelle parole è come un brandello di carne, una parte viva, e qualche volta dolente, che si stacca dalla persona che parla. Quelle parole, cavate con estrema difficoltà, contengono una carica infinita di silenzio e una riserva inesauribile di luce. Sono preziose e vanno custodite gelosamente. Forse non risolvono alcun problema. Ma fanno pensare. Non offrono spiegazioni. Ma costituiscono un invito all'adorazione.
Mentre le parole parlate ronzano all'orecchio (fastidiose come vespe), le parole parlanti provocano una risonanza interiore.
Alessandro Pronzato, La predica prova della fede, 81

martedì 7 settembre 2010

“Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi” (2 Corinzi 4:8-9)

Questo articolo è una sintesi del 1° capitolo del libro “Quando Dio ti lascia perplesso e tu non lo capisci più”.

Malgrado il trionfalismo dilagante nelle teologie moderne, che prende sempre più piede nei convegni a cui assistiamo nel nostro paese, i cristiani continuano a soffrire e spesso a lasciare le comunità in cui erano “nati di nuovo” ed avevano aperto il cuore e la mente alla visione di prospettive più che ottimistiche sul loro futuro terreno come Figli di Dio.

1. LA PAURA DI SENTIRSI PERPLESSI NEI CONFRONTI DI DIO
Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma  non disperati; perseguitati,
ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi (2 Corinzi 4:8-9).
Secondo il dizionario Nuovo Zingarelli, perplesso significa: Incerto, titubante, irresoluto, (o indeciso).
Il grande apostolo Paolo, quindi, in un certo momento della sua esistenza si è sentito incerto, insicuro nei confronti di Dio. Non era facile neanche per lui capire perché il Signore permettesse certe situazioni nella sua vita (2 Corinzi 11:22-29), perché non rispondesse alle sue preghiere (2 Corinzi 12:8), perché lasciasse il male trionfare, perché non manifestasse tutta quella pietà e misericordia di cui dice di avere pieno il cuore nei confronti dell’uomo. Sente così il bisogno di esprimere quel suo stato d’animo, nel versetto sopra citato, anche se non ci comunica tanti di quei dettagli che lo hanno portato a percepire quel sentimento.

Anche Gesù, la persona più vicina al cuore di Dio, ma nello stesso tempo simile alla natura dell’uomo e quindi capace di comprenderne le reazioni, di fronte alla croce si sente “oppresso da tristezza mortale e chiede al Padre di liberarlo da quella morte terribile: “Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! (Marco 14:36). Nell’uomo Gesù c’è il rifiuto per quello che dovrà accadergli di lì a poco; in Lui si è scatenato un conflitto talmente forte tra il desiderio di servire Dio e l’inaccettabilità umana del suo piano, da portarlo a sudare gocce di sangue.
Sulla croce poi griderà: “Padre, perché mi hai abbandonato?  Cioè, Padre perché hai permesso questa sofferenza nella mia vita? Perché non mi hai protetto? Perché hai permesso al maligno di arrivare fino a tanto? Perché sei rimasto a guardare, seduto sul tuo trono di Sovrano assoluto su tutte le creature dell’universo, senza muovere un dito? Perché non hai avuto compassione della mia condizione? Era perplesso e lo ha espresso.

La Bibbia non ci nasconde queste realtà, non ci mostra un Gesù che canta inni di lode nel momento della sua massima sofferenza, o che dice come Giobbe: “Ho accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuterò di accettare il male? (Giobbe 2:10), manifestando così una fede spettacolare, inamovibile, inattaccabile e a prova di qualsiasi tribolazione, ma ci presenta un Gesù umano che dice parole che avremmo detto anche noi, un Gesù perplesso, che si interroga, che percepisce un Dio assente e insensibile di fronte a  quanto sta subendo, un Gesù talmente simile a noi da poterci identificare in Lui e da sentirlo più che mai  vicino, percependolo come uno di noi.
E se Gesù ha avuto la libertà di esprimere ciò che opprimeva il suo cuore in quei momenti terribili, non potremmo farlo anche noi? Perché dovremmo confinare tutto nell’inconscio e tappare con un pesante coperchio i nostri sentimenti? Perché dovremmo fingere o metterci una maschera di spiritualità? Perché non potremmo essere noi stessi? Perché non potremmo gridare a Dio la nostra amarezza e delusione?

Davide, l’uomo che il Signore si era cercato secondo il suo cuore (1 Samuele 13:14), che era stato scelto per rappresentare nel migliore dei modi Dio nell’esercizio del suo potere nei confronti del suo popolo e che era nel centro del proponimento dell’Eterno, ha espresso in diversi suoi salmi l’amarezza della sua anima e la profonda delusione per l’atteggiamento indifferente e insensibile del suo Padre celeste.
Passiamo in rassegna alcuni dei suoi salmi:
Fino a quando, o Signore, mi dimenticherai? Sarà forse per sempre? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno? Fino a quando s’innalzerà il nemico su di me? Guarda, rispondimi, o Signore, mio Dio! (Salmo 13:1-3).

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito! Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte, senza interruzione(Salmo 22:1-2).

Porgi l’orecchio alla mia preghiera, o Dio, non essere insensibile alla mia supplica. Dammi ascolto, e rispondimi; mi lamento senza posa e gemo, per la voce del nemico, per l’oppressione dell’empio; poiché riversano iniquità su di me e mi perseguitano con furorePaura e tremito m’invadono, e sono preso dal panico; e io dico: Oh, avessi ali come di colomba, per volar via e trovare riposo! Ecco, fuggirei lontano, andrei ad abitare nel deserto; m’affretterei a ripararmi dal vento  impetuoso e dalla tempestaLa sera, la mattina e a mezzogiorno mi lamenterò e gemerò, ed egli udrà la mia voce (Salmo 55:1-3,5-8,17).

Salvami, o Dio, perché  e acque mi sono penetrate fino all’anima. Sprofondo in un pantano senza trovar sostegno; sono scivolato in acque profonde, e la corrente mi travolge. Sono stanco di gridare, la mia gola è riarsa; i miei occhi si spengono nell’attesa del mio Dio(Salmo 69:1-3).

Altri salmi, scritti dai figli di Core, esprimono gli stessi concetti:
L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente; quando verrò e comparirò in presenza di Dio? Le mie lacrime sono diventate il mio cibo giorno e notte, mentre mi dicono continuamente: Dov’è il tuo Dio?… Dirò a Dio, mio difensore: Perché mi hai dimenticato? Perché devo andare vestito a lutto per l’oppressione del nemico? Le mie ossa sono trafitte dagli insulti dei miei nemici che mi dicono continuamente: Dov’è il tuo Dio? Perché ti abbatti anima mia? Perché ti agiti in me?(Salmo 42:2-3,9-11).

In Dio ci glorieremo ogni giorno, e celebreremo il tuo nome in eterno. Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna e non marci più alla testa dei nostri esercitiCi hai svenduti come pecore destinate al macello, ci hai dispersi tra le nazioni. Tu vendi il tuo popolo per pochi soldiCi hai esposti al disprezzo dei nostri vicini, alle beffe e allo scherno di chi ci sta intornoTutto questo ci è avvenuto, eppure non ti abbiamo dimenticato e non siamo stati infedeli al tuo patto. Il nostro cuore non si è rivolto indietro, i nostri passi non si sono sviati dalla tua via, ma tu ci hai frantumati cacciandoci in dimore da sciacalli, e hai steso su di noi l’ombra della mortePer causa tua siamo ogni giorno messi a morte, considerati come pecore da macello. Risvegliati! Perché dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto e ignori la  nostra afflizione e la nostra oppressione? (Salmo 44:8-9,11-13,17-19,22-24).

"Perché, Signore, respingi l’anima mia? Perché mi nascondi il tuo volto? Io sono afflitto e agonizzante fin dalla mia gioventù; io porto il peso dei tuoi  terrori e sono smarrito. Il tuo sdegno mi travolge, i tuoi terrori m’annientano…le tenebre sono la mia compagnia (Salmo 88:1-3,6-9,14-16,18).

Davide e i figli di Core si sono sentiti dimenticati da Dio e lo hanno percepito insensibile di fronte alle loro suppliche, non hanno compreso la ragione di questa sua durezza imprevedibile e impensabile, che ha scosso le loro certezze e la loro fede, in netto contrasto con quanto Lui dice di se stesso nelle Sacre Scritture e del tutto sorprendente, considerando il loro atteggiamento di fedeltà e ubbidienza alle leggi divine.
I loro salmi possono essere di consolazione per chi sta vivendo situazioni similari, per chi si sente bersagliato da Dio senza una ragione logica, per chi lo percepisce quasi come un nemico e non più un Padre amante e tenero come aveva sperimentato nel passato, per chi non riceve risposta alle sue suppliche e alle sue lacrime e si trova, così, ad affrontare la realtà impensabile di un Dio insensibile, duro, privo di una pur semplice parvenza di misericordia e quasi spietato.
Ma questa consolazione, che deriva dal non sentirsi delle bestie rare per quanto ci sta succedendo e dalla vittoria che comunque Davide e i figli di Core hanno sperimentato alla fine delle loro tribolazioni, è resa possibile solo perché questi personaggi hanno avuto la libertà di esprimere la realtà del loro cuore, senza paura e senza ipocrisia.

Perché, allora, dovremmo noi mascherarci da “super-spirituali” e negare l’amarezza e la delusione presenti in noi? Perché dovremmo temere di vedere certi sentimenti creatisi in noi in seguito a situazioni drammatiche o, comunque, pesanti da sopportare? Perché dovremmo farci vedere sempre sorridenti e incrollabili nella fede in Dio, malgrado le vicissitudini che stiamo affrontando? Perché non potremmo esprimere la nostra difficoltà  nel vedere l’amore del Signore per noi, di cui tanto abbiamo bisogno, nelle circostanze dolorose che Lui sta permettendo nella nostra vita?
La bibbia ci presenta altri casi analoghi:
Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita. E cominciò a parlare così: Perisca il giorno che io nacqui e la notte in cui si disse: E’ stato concepito un maschio! Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Dio dall’alto, né splenda su di esso la luce!… Perché non morii fin dal seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dal suo grembo? Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare? Ora giacerei tranquillo, dormirei, e avrei così riposo…Perché dare la luce all’infelice e la vita a chi ha l’anima nell’amarezza?…Perché dar vita a un uomo la cui vita è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio? Io sospiro anche quando prendo il mio cibo, e i miei gemiti si spargono come acqua…Non trovo  riposo, né tranquillità, né pace, il  tormento è continuo! (Giobbe 3:1-4,11-13,20,23-24,26).

Io sono l’uomo (Geremia) che ha visto l’afflizione sotto la verga del suo furore. Egli (il Signore) mi ha condotto, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Sì, contro di me volge la sua mano tutto il giorno. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha spezzato le mie ossa…Mi ha circondato di un muro, perché non esca; mi ha caricato di pesanti catene. Anche quando grido e chiamo aiuto, egli chiude l’accesso alla mia preghiera…Mi ha squarciato, mi ha reso desolato…Egli mi ha saziato di amarezza…Tu mi hai allontanato dalla pace, io ho dimenticato il benessere. Io ho detto: E’ sparita la mia fiducia, non ho più speranza nel Signore!(Lamentazioni 3:1-4,7-8,11,15,17-18).

La Bibbia non ci tiene nascoste le reazioni in netto contrasto con il piano di Dio di questi personaggi, che sono delle colonne portanti nella storia del popolo eletto, e ce le trasmette perché ne prendiamo coscienza e le consideriamo come una realtà possibile nel cammino di ogni singolo cristiano. La porta dell’accettazione della volontà di Dio è stretta e può portarci a reagire con violenza e disperazione di fronte a situazioni che la nostra ragione rifiuta, primo perché non vuole pensare che possano provenire da un Padre amante, non volendo affrontare in questo modo la cocente delusione che ne conseguirebbe, e secondo perché non vuole credere che la sofferenza sia parte integrante della nostra vita in Cristo, un mezzo che Dio utilizza in continuazione per insegnarci le sue verità.

Giobbe, che aveva solo sentito parlare di Dio, ha potuto dire di averlo visto (Giobbe 42:5), cioè conosciuto profondamente, solamente dopo essere stato oggetto di prove tremende: la perdita dei figli, delle sue proprietà e della salute fisica. Tutto questo lo aveva fatto affondare in una cupa depressione, determinata dalla sorpresa di percepire un Dio persecutore e non più protettore, dalla solitudine dovuta all’incomprensione di chi lo circondava e dalla sofferenza fisica torturatrice nella sua continuità, giorno dopo giorno. Questa situazione lo aveva riempito di amarezza e lo sfogo violento che ne è seguito non è altro che la sua logica conseguenza.
La Bibbia, però, non ci presenta un Dio adirato con questi suoi figlioli perché hanno osato esprimere un rifiuto e altrettanta rabbia per quello che Lui stava permettendo nella loro vita, né una condanna esplicita e inderogabile. Non descrive la delusione di Dio perché i suoi figlioli non hanno compreso e apprezzato i suoi sforzi per renderli partecipi delle ricchezze del Cielo, ma ci vuol dire di non avere paura di fare la stessa cosa, cioè di cadere nelle stesse reazioni, perché sono alquanto normali e del tutto comprensibili in un essere umano sottoposto a disciplina.
Dio non ha abbandonato questi suoi figli, ma è intervenuto, nel momento da Lui  ritenuto opportuno, per risollevarli e aiutarli a riprendere il cammino. E così farà anche con noi, non dubitiamo!

Per prendere contatto con l’autore: Fontana Lamberto Tel. 035-239754

la tentazione che vuole impedirci di rispondere a ciò a cui Dio, la Chiesa, il mondo ci chiamano a compiere

Per tentazione qui non si intende, almeno immediatamente, la spinta a fare il male. E' qualcosa di molto più sottile, più drammatico e pericoloso: è la tentazione di fuggire dalle proprie responsabilità, la paura di decidersi, la paura di guardare in faccia una realtà che esige una decisione personale; è la paura di affrontare i problemi della vita, della comunità, della nostra società.
È la tentazione della fuga dal reale, di chiudere gli occhi, di nascondersi, di far finta di non vedere e non sentire per non essere coinvolti: è la tentazione della pigrizia, della paura di buttarsi, la tentazione che vuole impedirci di rispondere a ciò a cui Dio, la Chiesa, il mondo ci chiamano a compiere.
Quindi l'esortazione a pregare per non entrare in tentazione significa: pregate per non entrare in quell'atmosfera di compromesso e di comodità, di viltà, di fuga e di disinteresse nella quale si matura la scelta di non scegliere, la decisione di non decidere, la fuga dalle responsabilità. Questa situazione è esemplificata nel brano evangelico da ciò che fanno gli apostoli: dormono per la tristezza, dormono per non vedere. Ci sono altri episodi biblici che sottolineano la fuga dalla realtà. Il sacerdote e il levita che, passando presso l'uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, chiudono gli occhi e vanno oltre, sfuggono alla domanda di responsabilità. Il grande profeta Elia, coraggioso, temerario e impavido, è stato travolto anche lui da questa tentazione del disimpegno: nel primo Libro dei Re si racconta infatti che «impaurito si alzò e se ne andò per salvarsi» (19,3 ss.). Eppure Elia aveva saputo affrontare da solo, sulla montagna del Carmelo, i 450 profeti di Baal: sembrava che non avesse paura di nessuno, ma a un tratto è afferrato da questa tentazione e fugge dalla realtà. È anche la tentazione del profeta Giona che fugge perché non vuole affrontare il suo compito di profeta. E la tentazione che prende ciascuno di noi quando chiudiamo occhi e orecchie per non vedere e non sentire i bisogni di chi ci sta intorno. Disimpegnarci, defilarci lontano da ciò che invece ci chiamerebbe a buttarci con coraggio.
L'esortazione di Gesù a pregare per non entrare in tentazione ci fa allora capire che la preghiera non è fuga, non è declinare le responsabilità, non è rifugiarsi nel privato: la preghiera è guardare in faccia la tentazione, la paura, la responsabilità. La preghiera è fare come il samaritano che di fronte all'uomo ferito si ferma e si piega su di lui. La preghiera è audacia che affronta la decisione importante. Questo è il rapporto che il testo presenta tra preghiera e tentazione.
Carlo Maria Martini, Qualcosa di così personale, 46-47

lunedì 6 settembre 2010

"Mia forza e mio canto è il Signore" (cf Es 15,2). Senza canto, la forza è violenza, autoaffermazione e imposizione. Forza vera è il cantico nuovo dello stupore che sempre sgorga dal cuore di fronte alla meravigliosa epifania della gloria di Dio (cf Es 14,4.17; Ap 5,9;14,3).

E' bello trovare una così bella accoglienza dal proprio figlio che non si può non partecipare convivialmente a tutti gli amici. Grazie Mauro

Nulla è mai veramente perduto,
o può essere perduto,
nessuna nascita, forma, identità
nessun oggetto del mondo,
né vita, né forza, né alcuna cosa visibile;
l'apparenza non deve ingannare,
né l'ambito mutato confonderti il cervello.
Vasti sono il tempo e lo spazio
vasti i campi della Natura.
Il corpo lento, invecchiato, freddo
le ceneri rimaste dai fuochi di un tempo,
la luce degli occhi divenuta tenue,
tornerà puntualmente a risplendere;
il sole ora basso a occidente
sorge costante per mattini e meriggi;
alle zolle gelate sempre ritorna
la legge invisibile della primavera,
con l'erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.
Walt Whitman

domenica 5 settembre 2010

il Signore mi dia

 Il Signore mi dia la sua benedizione 
     il Signore mi dia protezione e sicurezza
     il Signore mi dia luce
     il Signore mi dia la sua grazia
     il Signore mi dia la sua cura
     il Signore mi dia pace 
     il Signore mi dia vita 
     il Signore mi dia il perdono
     il Signore mi dia nuove forze
     il Signore mi dia dolcezza
     il Signore mi dia la comprensione verso gli altri
     il Signore mi dia da santificare il suo nome
     il Signore mi dia da adoperarmi per il suo regno
     il Signore mi dia da compiere la sua volontà
     il Signore mi dia il pane quotidiano
     il Signore mi dia da perdonare
     il Signore mi dia da vincere il male
     il Signore mi dia mansuetudine
     il Signore mi dia umiltà
     il Signore mi/ci dia doni e ministeri
     il Signore mi dia discernimento
     il Signore mi dia le sue ricchezze
     il Signore mi dia santificazione e redenzione
     il Signore mi dia fede speranza ed amore
     il Signore mi dia pazienza
     il Signore mi dia sapienza
     il Signore mi dia valore
     il Signore mi dia gioia
     il Signore mi dia santità
     il Signore mi dia integrità
     il Signore mi dia il suo Spirito Santo
     il Signore mi dia salute
     il Signore mi dia stabilità
     il Signore mi dia controllo
     il Signore mi dia da parlare con bontà e con verità
     il Signore mi dia fedeltà
     il Signore mi dia comunione continua con Lui e con i suoi
     il Signore mi dia capacità d’ascolto ecc.
     il Signore mi dia franchezza
     il Signore mi dia prosperità
     il Signore mi dia da vedere la sua gloria
     il Signore mi dia conferme 
     il Signore mi dia la sua guida
     il Signore mi dia buona memoria
     il Signore mi dia costanza
     il Signore mi dia intelligenza
     il Signore mi dia salvezza
     il Signore mi dia da portare frutto
     il Signore mi dia coraggio
     il Signore mi dia entusiasmo
     il Signore mi dia da vivere bene il mio tempo, dono suo
     il Signore mi dia liberazione da ogni timore
     il Signore mi dia da essere disponibile 
     il Signore mi dia da vedere la prosperità dell’ Opera sua ovunque
     il Signore mi dia segni del suo favore e che altri li vedano e Lo cerchino…
     il Signore mi dia prontezza al bene 
     il Signore mi dia lentezza all’ira
     il Signore mi dia da condividere il pane quotidiano e quello celeste
     il Signore mi dia da seguire Gesù
     il Signore mi dia guarigione del corpo e dell’anima
     il Signore mi dia da essere strumento per la sua gloria
     il Signore mi dia la mente di Cristo Gesù, i suoi pensieri
     il Signore mi dia la sua potenza
     il Signore mi dia del suo ed io gliene renderò
     il Signore mi dia tanti amici suoi che m’avvicinino a Lui e mi rallegrino      in Lui 
     il Signore mi dia qualche cosa sua e varrà più di tutte le ricchezze      del mondo
     il Signore mi dia tanto
     il Signore mi dia tutto ciò che è bene per me 
     il Signore mi dia perseveranza finale
     il Signore mi dia tutti i derivati delle sue virtù
     il Signore mi dia forza di parlare quando devo parlare
     il Signore mi dia forza di tacere quando devo tacere
     il Signore mi dia forza d’ agire risolutamente quando è necessario agire 
     il Signore mi dia forza di stare fermo quando devo stare fermo
     il Signore mi dia Sé che è tutto
     il Signore mi dia quanto mi manca 
Il Signore mi dia... 
PIENAMENTE, OVUNQUE E SEMPRE
AVERE ED ESSERE
AVERE TE E IL TUO AVERE PER DARE
ESSERE IN TE E SECONDO TE, O DIO, PER RIFLETTERE TE
SE TU VUOI TU PUOI
TUTTO HAI DONATO A ME