Per tentazione qui non si intende, almeno immediatamente, la spinta a fare il male. E' qualcosa di molto più sottile, più drammatico e pericoloso: è la tentazione di fuggire dalle proprie responsabilità, la paura di decidersi, la paura di guardare in faccia una realtà che esige una decisione personale; è la paura di affrontare i problemi della vita, della comunità, della nostra società.
È la tentazione della fuga dal reale, di chiudere gli occhi, di nascondersi, di far finta di non vedere e non sentire per non essere coinvolti: è la tentazione della pigrizia, della paura di buttarsi, la tentazione che vuole impedirci di rispondere a ciò a cui Dio, la Chiesa, il mondo ci chiamano a compiere.
Quindi l'esortazione a pregare per non entrare in tentazione significa: pregate per non entrare in quell'atmosfera di compromesso e di comodità, di viltà, di fuga e di disinteresse nella quale si matura la scelta di non scegliere, la decisione di non decidere, la fuga dalle responsabilità. Questa situazione è esemplificata nel brano evangelico da ciò che fanno gli apostoli: dormono per la tristezza, dormono per non vedere. Ci sono altri episodi biblici che sottolineano la fuga dalla realtà. Il sacerdote e il levita che, passando presso l'uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, chiudono gli occhi e vanno oltre, sfuggono alla domanda di responsabilità. Il grande profeta Elia, coraggioso, temerario e impavido, è stato travolto anche lui da questa tentazione del disimpegno: nel primo Libro dei Re si racconta infatti che «impaurito si alzò e se ne andò per salvarsi» (19,3 ss.). Eppure Elia aveva saputo affrontare da solo, sulla montagna del Carmelo, i 450 profeti di Baal: sembrava che non avesse paura di nessuno, ma a un tratto è afferrato da questa tentazione e fugge dalla realtà. È anche la tentazione del profeta Giona che fugge perché non vuole affrontare il suo compito di profeta. E la tentazione che prende ciascuno di noi quando chiudiamo occhi e orecchie per non vedere e non sentire i bisogni di chi ci sta intorno. Disimpegnarci, defilarci lontano da ciò che invece ci chiamerebbe a buttarci con coraggio.
L'esortazione di Gesù a pregare per non entrare in tentazione ci fa allora capire che la preghiera non è fuga, non è declinare le responsabilità, non è rifugiarsi nel privato: la preghiera è guardare in faccia la tentazione, la paura, la responsabilità. La preghiera è fare come il samaritano che di fronte all'uomo ferito si ferma e si piega su di lui. La preghiera è audacia che affronta la decisione importante. Questo è il rapporto che il testo presenta tra preghiera e tentazione.
È la tentazione della fuga dal reale, di chiudere gli occhi, di nascondersi, di far finta di non vedere e non sentire per non essere coinvolti: è la tentazione della pigrizia, della paura di buttarsi, la tentazione che vuole impedirci di rispondere a ciò a cui Dio, la Chiesa, il mondo ci chiamano a compiere.
Quindi l'esortazione a pregare per non entrare in tentazione significa: pregate per non entrare in quell'atmosfera di compromesso e di comodità, di viltà, di fuga e di disinteresse nella quale si matura la scelta di non scegliere, la decisione di non decidere, la fuga dalle responsabilità. Questa situazione è esemplificata nel brano evangelico da ciò che fanno gli apostoli: dormono per la tristezza, dormono per non vedere. Ci sono altri episodi biblici che sottolineano la fuga dalla realtà. Il sacerdote e il levita che, passando presso l'uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, chiudono gli occhi e vanno oltre, sfuggono alla domanda di responsabilità. Il grande profeta Elia, coraggioso, temerario e impavido, è stato travolto anche lui da questa tentazione del disimpegno: nel primo Libro dei Re si racconta infatti che «impaurito si alzò e se ne andò per salvarsi» (19,3 ss.). Eppure Elia aveva saputo affrontare da solo, sulla montagna del Carmelo, i 450 profeti di Baal: sembrava che non avesse paura di nessuno, ma a un tratto è afferrato da questa tentazione e fugge dalla realtà. È anche la tentazione del profeta Giona che fugge perché non vuole affrontare il suo compito di profeta. E la tentazione che prende ciascuno di noi quando chiudiamo occhi e orecchie per non vedere e non sentire i bisogni di chi ci sta intorno. Disimpegnarci, defilarci lontano da ciò che invece ci chiamerebbe a buttarci con coraggio.
L'esortazione di Gesù a pregare per non entrare in tentazione ci fa allora capire che la preghiera non è fuga, non è declinare le responsabilità, non è rifugiarsi nel privato: la preghiera è guardare in faccia la tentazione, la paura, la responsabilità. La preghiera è fare come il samaritano che di fronte all'uomo ferito si ferma e si piega su di lui. La preghiera è audacia che affronta la decisione importante. Questo è il rapporto che il testo presenta tra preghiera e tentazione.
Carlo Maria Martini, Qualcosa di così personale, 46-47
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