sabato 9 ottobre 2010

Se non hai tempo per te stesso, non potrai averne per gli altri.


da http://www.wolfghost.it/
Sopravvissuto
Il titolo di questo scritto di Dave Windsor sarebbe stato "Hai più tempo di quanto immagini!", ma, come potrete leggere, Dave è un sopravvissuto al cancro (ai polmoni), e poi il suo scritto coinvolge non solo il tempo, ma molti altri argomenti, per cui ho preferito usare il titolo che avete visto.
Ormai sono tante le persone che sopravvivono a questo male che voglio chiamare "temibile", più che "terribile"; sono certo che molte di loro potrebbero scrivere le stesse cose di Dave e cose ancora più importanti. Mi piacerebbe però che la loro testimonianza potesse non solo dare speranza ad altri malati, ma spingere anche chi malato non è ad accorgersi di certe cose che, forse, da' per scontato o sulle quali magari non si è mai fermato a riflettere...
Ed ora la parola allo scritto di Dave
HAI PIU' TEMPO DI QUANTO IMMAGINI!
di Dave Windsor

Mi e' capitato parecchie volte di constatare che non abbiamo abbastanza ore in una giornata per completare tutti i compiti a cui dobbiamo attendere. Ci portiamo il "lavoro" a casa. Dopo tutto, siamo la personificazione di cio' che facciamo. Creiamo una fantasia. Ci scontriamo contro la realta'. Pensiamo a giochi complessi, idee promozionali, lottiamo con le tasse da pagare, sviluppiamo idee originali, e altro ancora. Messa in modo semplice, le nostre menti sono tassate oltre ogni possibile immaginazione. Gli amici che sanno che lavoro in una radio dicono: "Deve essere folle stare "accesi" per tutto il tempo!"
Bene... era cosi' per me una volta, ma ora non piu'. Sono un sopravvissuto ad un tumore. Il cancro e' stato il mio piu' grande insegnante. Essere un sopravvissuto mi ha insegnato piu' cose riguardo alla vita di quante non ne potessi immaginare.
Una cosa in particolare che mi sovviene e' come tu tratti la persona piu' importante della tua vita. Te stesso. Cosa intendo dire? Serve avere la giusta attitudine. Se non sei felice per cio' che stai facendo, allora devi scoprire perche' non sei felice. Tutti abbiamo delle pressioni da soddisfare. Cosa ti rende diverso rispetto agli altri? Se non ami ogni giorno, allora devi scoprire questo per prima cosa.
Fai per prima cosa cio' che e' difficile. Se ci riesci, il resto e' facile. L' "universo" mantiene un equilibrio nelle cose e se sei sbilanciato l'"universo" te lo fara' sapere. Ed e' dura, quando succede. Allora cosa e' che ti ha preoccupato di recente? Attacca la cosa che ti sta preoccupando di piu'. Ti sta assorbendo energie preziose. Quando la tua macchina funziona male, la porti dal meccanico. Fai lo stesso con la tua persona!
Tu hai piu' tempo di quanto tu possa immaginare. Puo' sembrarti di non avere abbastanza tempo per completare i compiti che ti vengono affidati, ma se diventi cosciente del valore di un secondo, minuto, ora, giorno, settimana... allora potrai capire quanto tempo hai davvero a disposizione. Quando riesci a realizzarlo ti sembrera' stupefacente.
Tratta gli altri come vorresti essere trattato! Se pianti erbacce nell'orto, non aspettarti di raccogliere patate. E' nella natura delle cose. Se tratti la gente come degli scarti, otterrai PARECCHIO concime in cambio. Non credermi, provaci!
Non dare la colpa ad altri per i tuoi problemi! Questa e' la scusa piu' usata nel mondo. Se hai un problema, per prima cosa te lo sei creato per imparare una lezione. Il tuo mondo e' un grosso specchio della tua esistenza. Cosa ti stanno urlando che tu non riesci ad ascoltare?
Non accusarti per i tuoi problemi! Eh? Quante volte ti sei detto "Sono stato uno stupido!" Devi capire che tu sei "perfetto" cosi' come sei. Non hai bisogno di niente altro. Se non sai come creare un vaccino per l'AIDS e' perche' sei stupido vero? Nossignore, e' solo che non hai la capacita' necessaria per fare una scoperta del genere.
La tua vita non e' molto diversa. Che tipo di capacita' ti servono?
Tutte queste cose riguardano la vita di ogni giorno. Come sopravvissuto ad un tumore posso dirti che sono criticamente importanti, e poco importanti allo stesso tempo. Se non sei gentile con te stesso, non potrai esserlo nei riguardi degli altri. Se non ti ami incondizionatamente, non puoi amare gli altri. Se non hai tempo per te stesso, non potrai averne per gli altri.
E... Tu hai piu' tempo di quanto immagini!

venerdì 8 ottobre 2010

Solo quando non ci aspettiamo più nessuna ricompensa per le nostre azioni o per ciò che erroneamente crediamo di essere o di saper fare, solo allora la nostra acqua si acquieterà


La ciotola soriella Zen .

"C'era una volta una Scuola per l'evoluzione spirituale dell'uomo. Era una  scuola molto ambita perché molti allievi si lamentavano,ma in realtà si compiacevano, del fatto che, secondo loro, il Maestro gli assegnava dei compiti sempre più difficili. A volte si scopriva che il loro compito consisteva semplicemente nel pulire i bagni comuni, oppure nel rassettare la sala da pranzo o ancora, nel tagliare l'erba in giardino. Nonostante questo, tre allievi di un'altra Scuola, sentendosi non considerati lasciarono il loro Maestro per entrare in questa .Dopo i primi due mesi  come novelli allievi, non avevano ancora ricevuto nessun compito specifico dal loro Maestro. Iniziarono così a porsi domande: “Ma perché non ci dà dei compiti? In fondo facciamo tutto quello che è regola all'interno della Scuola, eseguiamo gli esercizi comuni, prendiamo le nostre iniziative comprando libri su libri e stiamo divenendo sempre più istruiti nel campo  della spiritualità che qui si cerca di perseguire” Passarono i mesi senza che i tre venissero minimamente considerati. Essi intanto iniziarono a non dormirci di notte  “ Il Maestro non sa che noi possiamo fare meglio di molti altri qui dentro, e sbaglia perché non ci prende in considerazione. Non sa cosa perde” Aspettarono ancora qualche settimana ma poi due di loro  presero la decisione di affidarsi da soli un compito degno delle loro capacità e livello  spirituale. Uno di essi disse: “Andrò in giro a fare del bene alle persone. Ce ne sono molte che hanno bisogno di aiuto e per me sarà facile aiutarle con tutti i libri che ho letto su come aiutare il prossimo” L'altro disse: “C'è talmente tanta ignoranza in giro, che organizzerò io stesso delle conferenze e dei seminari per aiutare gli altri  a combattere questa loro ignoranza. Li istruirò con la mia sapienza. Il  Maestro così si ricrederà su di me e mi affiderà dei compiti sempre più all'altezza di quello che sono” Il terzo disse: “Io resterò qui affidandomi al Maestro" Gli altri due così partirono alla volta delle loro nuove  autoassegnate  missioni  mentre il terzo allievo continuò a restare nella scuola fiducioso nel fatto che tutto ciò che il Maestro facesse o non facesse fosse solo ed esclusivamente per il suo bene. Passarono tre settimane quando i due allievi tornarono a Scuola. Andarono subito a cercare il loro amico. Il primo disse “Non è possibile. Ci sono troppi poveri e bisognosi in giro e molti non vogliono nemmeno essere aiutati. Non mi vogliono ascoltare, io che cerco di portare aiuto con tutta  la mia sapienza.. Non ce la faccio proprio. Non ne ho più le forze” Il secondo disse “ C'è talmente tanta ignoranza in giro, che sono sfinito. Non posso aiutare tutti e comunque non mi ascolta nessuno. Le mie conferenze sembrano essere sempre più ignorate e ai miei seminari la gente pretende  sempre risposte a cui non riesco a rispondere....Eppure ho letto tanto” Il terzo allievo, quello che aveva preferito rimanere a Scuola e obbedire  al suo Maestro, prese una ciotola, andò vicino ad una pozzanghera e la riempì. Poi la porse ai suoi amici e disse:  “Guardate”  . Essi , non comprendendo il significato del gesto, chiesero spiegazioni. “Non si vede nulla dentro, se non acqua fangosa e torbida” L'amico allora disse loro "Lasciate che il fango si posi sul fondo” Essi obbedirono incuriositi. Poi  guardarono ancora nella ciotola: potevano vedere la propria immagine! L'amico allora disse: “l'acqua agitata è fangosa e torbida. Quando si  acquieta , invece, diventa limpida come uno specchio. La stessa cosa  amici, è per il cuore dell'uomo e per la sua capacità di fare qualcosa per gli altri. Fino a che viviamo aspettandoci riconoscenze per ciò che pensiamo di essere o per ciò che facciamo, la nostra acqua sarà agitata torbida, fangosa. E il nostro cuore non potrà agire, nascosto da tale fango. Solo quando non ci aspettiamo più nessuna ricompensa per le nostre azioni o per ciò che erroneamente crediamo di essere o di saper fare, solo allora la nostra acqua si acquieterà. E solo in quel momento il nostro cuore sarà uno specchio limpido in cui gli altri potranno vedere” Gli altri due allievi sembravano illuminati da questa comprensione del loro amico e decisero di restare fermi ad aspettare istruzioni dal Maestro Sbagliarono ancora molte altre volte da allora, subendo anche i rimproveri. del Maestro. Ma mai più si allontanarono dalla scuola alla volta del mondo quel mondo che potevano conoscere solo attraverso la conoscenza di sé stessi…"

giovedì 7 ottobre 2010

MADDALENA Miriam di Mijdel

Fu nel mese di giugno che lo vidi per la prima volta. Camminava nel campo di grano quando passai con le ancelle, ed era solo.
Il ritmo del suo passo era diverso da quello di ogni altro uomo, e non somigliava, il suo incedere, a nulla che avessi mai visto.
Non è in quel modo che gli uomini misurano con i passi la terra. E ancora oggi non saprei dire se avanzasse rapido o lento.
Le ancelle lo additarono e presero a bisbigliare timidamente tra loro. Fermai un istante i miei passi, e sollevai la mano in segno di saluto. Ma lui non si voltò, lui non mi rivolse lo sguardo. Lo odiai. Respinta in me stessa, così mi sentii, e fredda come se intorno a me infuriasse una tempesta di neve. Ero scossa da brividi.
Quella notte lo vidi in sogno, mi dissero, dopo, che gridavo nel sonno e mi agitavo senza pace nel letto.
Era il mese di agosto quando lo rividi. Stava seduto all'ombra del cipresso, là nel giardino. Immobile, quasi fosse scolpito nella pietra come le statue di Antiochia e delle altre città del Settentrione.
Il mio schiavo, l'egizio, venne da me e disse: "Quell'uomo è venuto di nuovo. E' là, nel tuo giardino".
Guardai, e fremette l'anima mia, perché lui era bello.
Il suo corpo era saldo e le sue membra sembravano amarsi
Indossai allora abiti di Damasco e lasciai la casa per andare da lui.
Fu la mia solitudine, o la sua fragranza, che mi vinse? Fu una fame dei miei occhi anelanti bellezza? O fu la sua bellezza a cercare la luce dei miei occhi?
Ancor oggi, non saprei dirlo.
Mossi verso di lui con i miei abiti profumati, e calzavo sandali dorati sandali che mi aveva donato il comandante romano, questi sandali che vedi. E quando l'ebbi di fronte gli dissi:
"Buongiorno a te".
E lui disse: "Buongiorno a te, Miriam".
E mi guardò, e i suoi occhi notturni mi videro come nessun uomo mi aveva mai vista. D'improvviso fui come nuda, e ne ebbi vergogna.
Eppure mi aveva solo detto: "Buongiorno a te".
Gli dissi allora: "Non vuoi entrare nella mia casa?".
E disse lui: "Non sono già nella tua casa?".
Allora non capii cosa intendesse: oggi lo so.
E io dissi: "Non vuoi dividere il pane e il vino con me?".
E lui disse: "Sì, Miriam, ma non ora".
Non ora, non ora disse lui. E la voce del mare era nelle sue parole, e la voce del vento e degli alberi. E quando le pronunciò, la vita parlò alla morte.
Perché, amico mio, io ero morta, sappilo. Ero una donna che aveva divorziato dall'anima. Vivevo separata da questo essere che ora vedi. Appartenevo a tutti gli uomini e a nessuno. Prostituta mi chiamavano, e donna posseduta da sette demoni. Ero maledetta, ed ero invidiata.
Ma quando i suoi occhi d'aurora guardarono i miei occhi, tutte le stelle della mia notte si dileguarono, e io divenni Miriam, solo Miriam, una donna ormai perduta alla terra che aveva conosciuto, e che si era ritrovata in un mondo diverso.
E ancora e nuovamente gli dissi: "Vieni nella mia casa e dividi pane e vino con me".
E lui: "Perché mi inviti ad essere tuo ospite?".
E io: "Ti prego, vieni nella mia casa". Tutto quello che in me era zolla, tutto quello che in me era cielo, lo chiamava a gran voce.
Lui allora mi guardò, e il meriggio dei suoi occhi era su di me, e disse: "Tu hai molti amanti, ma io solo ti amo.
Gli altri quando ti sono vicini, amano se stessi: io amo te in te stessa. Altri uomini vedono in te una bellezza che appassirà prima ancora dei loro anni. Ma io vedo in te una bellezza che non appassirà mai, e nell'autunno dei tuoi giorni questa bellezza non avrà paura di specchiarsi, e non conoscerà oltraggio.
Solo io amo in te l'invisibile".
Poi disse a bassa voce: "Va' ora. Se questo cipresso è tuo e non vuoi che sieda alla sua ombra, andrò per la mia strada".
E io gridai a lui e gli dissi: "Maestro, vieni nella mia casa. Ho per te incenso da bruciare, e una bacinella d'argento per i tuoi piedi. Tu sei un estraneo, ma non sei un estraneo. Ti supplico, vieni nella mia casa".
Allora si alzò e mi guardò proprio come immagino che le stagioni dall'alto guardino verso il
campo: sorrise. E ancora disse: "Tutti gli uomini ti amano per loro stessi. E' per te che io ti amo". Poi se ne andò.
Nessun altro uomo camminò mai come lui camminava. Era un soffio nato nel mio giardino,
che alitava verso oriente? O una tempesta, che avrebbe squassato fin dalle fondamenta tutte le cose?
Non lo sapevo, allora, ma quel giorno il tramonto dei suoi occhi uccise in me il drago, e divenni una donna, io divenni Miriam, Miriam di Mijdel.
Kahlil Gibran

mercoledì 6 ottobre 2010

la virtù sociale c’è quando ciascun membro si sente sempre in debito di farlo per primo e senza riserva per gli altri


La ricchezza delle nazioni, oggi, non sta più nei beni materiali, nel PIL che viene prodotto, ma nella qualità delle relazioni umane, al cui centro c’è la famiglia. La relazione famigliare genera un clima caratterizzato da fiducia, cooperazione, reciprocità, dentro il quale crescono le virtù personali e sociali. Quando fiducia, cooperazione e reciprocità sono strettamente legati fra loro e crescono assieme, la famiglia diventa scuola di fraternità.
Lo si vede nel gioco di chi prepara o sparecchia la tavola, di chi pulisce o mette in ordine il soggiorno, di chi lava i piatti: se i membri della famiglia si sentono sempre in credito rispetto agli altri, vuol dire che in quelle relazioni famigliari non c’è virtù sociale; la virtù sociale c’è quando ciascun membro si sente sempre in debito di farlo per primo e senza riserva per gli altri. Possiamo riassumere il quadro delle virtù sociali dicendo che la vita famigliare educa alla generosità verso il prossimo, porta al riconoscimento dell’Altro, stimola le virtù che hanno a che fare con la capacità di perseguire un progetto sensato assieme agli altri, esige un continuo allenamento nelle virtù che servono da mezzi per realizzare gli scopi della vita (come la pazienza, la costanza, il giusto calcolo nell’uso delle risorse, ecc. in quanto richiesti dalle interazioni familiari).
Vivere nella relazione famigliare vuol dire accettare ogni giorno la sfida di scoprire che questi comportamenti sono necessari per essere felici. 
Stare in famiglia vuol dire scoprire che “noi siamo ciò di cui ci prendiamo cura”. In famiglia valgono norme che non esistono altrove, perché in famiglia “non si può non rispondere” e “non si può non comunicare”. Qualunque gesto è sempre percepito dagli altri come una comunicazione, sia che colui che compie il gesto ne abbia l’intenzione o meno. Queste sono le norme proprie della famiglia. Esse educano ad uno speciale apprendimento dell’interazione umana. Sono norme vincolanti il cui senso non giace nel reprimere la persona, bensì nell’aprirla all’Altro da sé con un senso di responsabilità e attenzione senza riserve. La differenza cristiana sta nell’aggiungere un ‘qualcosa’ di più a questa base umana. Nella famiglia cristiana la reciprocità diventa fraternità, nel senso che la norma della reciprocità diventa l’amore vissuto come virtù, insieme personale e sociale, che attualizza la compresenza, senza confusioni, tra eros,philía e agape. La riflessività umana è il dialogo o conversazione interiore di cui le persone e le famiglie hanno sempre più necessità per apprendere e vivere le virtù che rendono felice la vita personale e sociale. Questa qualità si manifesta in modo particolare nelle famiglie dove sono presenti membri deboli o disabili, perché in esse si attivano speciali esigenze di gestione della persona in difficoltà. Queste famiglie sviluppano delle virtù ‘speciali’, che possiamo chiamare di capacitazione (empowerment) e di resilienza (resilience). La virtù della capacitazione consiste nello sviluppare quelle abilità, che la famiglia ha in potenza, di crescere nella consapevolezza di sé e delle proprie capacità di organizzazione e determinazione nell’agire come gruppo di sostegno alle persone in difficoltà. La virtù della resilienza è quella forza spirituale e pratica che permette spesso alla famiglia con disabilità di uscire rafforzata e meglio motivata dalle mille avversità che la contrastano, attraverso un processo di resistenza attiva che trasforma l’evento negativo, teoricamente paralizzante, in una forza propulsiva e propositiva che supera i confini familiari e si riversa sulla società circostante. Da tale virtù derivano i “vantaggi sociali” che la famiglia con disabilità offre alla società, in quanto: l’impegno che la famiglia pone nella riabilitazione e nell’inclusione sociale della persona in difficoltà in tutte le sfere sociali, dalla scuola al lavoro, significa credere nella possibilità di recupero sociale dei più deboli ed emarginati; in particolare, l’assistenza domiciliare integrata per i disabili più gravi mette in moto quelle virtù potenziali che i membri della famiglia hanno di essere soggetti di cura (care) che debbono dare a ciascuno secondo le sue specifiche necessità.
Un altro esempio di famiglie particolarmente “riflessive” che generano benefici per l’intera società è dato dalle famiglie adottive e dalle famiglie affidatarie.
Per concludere. La famiglia rimane la sorgente vitale di quelle società che sono più portatrici di futuro. La ragione di ciò è semplice: è dalla famiglia che proviene il capitale umano, spirituale e sociale primario di una società. Il capitale civile della società viene generato proprio dalle virtù uniche e insostituibili della famiglia. La società globalizzata potrà trovare un futuro di civiltà se e nella misura in cui sarà capace di promuovere una cultura della famiglia che la ripensi come nesso vitale fra la felicità privata e la felicità pubblica. Le ricerche empiriche mostrano che la famiglia diventa sempre di più, e non già sempre di meno, il fattore decisivo per il benessere materiale e spirituale delle persone. È da queste dinamiche che possiamo capire perché e come la famiglia alimenti quelle virtù, personali e sociali, che rendono felice una società. Occorre una nuova cultura dei diritti della famiglia. Affinché le famiglie possano sviluppare i loro compiti, e creare fiducia sociale, occorre che godano dei propri diritti. Tali diritti la riguardano come gruppo e come istituzione sociale, cioè come relazione intersoggettiva e come istituzione del senso. In pratica, ciò significa riconoscere i diritti di cittadinanza della famiglia. La famiglia è un soggetto sociale che ha un proprio complesso di diritti-doveri nella comunità politica e civile in ragione delle mediazioni insostituibili che di fatto esercita.


*Professore ordinario di sociologia all’Università di Bologna
L’articolo qui riportato è una sintesi della lectio doctoralis svolta dal professor Donati al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, in occasione del conferimento del dottorato honoris causa, il 13 maggio del 2009.




PREGHIERA ALL’ANGELO CUSTODE


di ( San Francesco di Sales )
S. Angelo, Tu mi proteggi fin dalla nascita.
A te affido il mio cuore:
dallo al mio Salvatore Gesù,
poiché appartiene a Lui solo.
Tu sei anche il mio consolatore nella morte!
Fortifica la mia fede e la mia speranza,
accendi il mio cuore d'amore divino!
Fa' che la mia vita passata non mi affligga,
che la mia vita presente non mi turbi,
che la mia vita futura non mi spaventi.
Fortifica la mia anima nelle angosce della morte;
insegnami ad essere paziente,
conservami nella pace!
Ottienimi la grazia di gustare come ultimo cibo
il Pane degli angeli!
Fa' che le mie ultime parole siano:
Gesù, Maria e Giuseppe;
che il mio ultimo respiro sia un respiro d'amo re
e che la tua presenza sia il mio ultimo
conforto.

Amen.

martedì 5 ottobre 2010

l’amore non diventi una scusa per fare tutto ciò di cui abbiamo voglia


PREMUROSI CON LE PERSONE VICINEdi Paulo Coelho
Camminavo con due amici per le strade di New York. Tutt’a un tratto, nel bel mezzo di una normale chiacchierata, i due cominciarono a discutere e per poco non si misero a litigare.
Più tardi – con gli animi ormai rasserenati – ci sedemmo in un bar. Uno di loro allora chiese scusa all’altro: “Mi sono accorto che è molto più facile ferire chi ti sta vicino”, disse. “Se tu fossi stato un estraneo, io mi sarei controllato molto di più. Invece, proprio per il fatto che siamo amici, e che mi capisci meglio di chiunque altro, ho finito per essere molto più aggressivo. Questa è la natura umana”.
Forse è proprio così, ma noi combatteremo contro ciò. Non dobbiamo infatti permettere che l’amore diventi una scusa per fare tutto ciò di cui abbiamo voglia. È proprio con le persone vicine che dobbiamo essere più premurosi.



I SEGRETI DI SANTA TERESA DEL BAMBIN GESÙ

 Sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze e invece edificarsi dei più piccoli atti che si vedono fatti;

 Non curarsi di essere giudicati bene dagli altri;

 Fare per le persone antipatiche, tutto quello che si farebbe per le persone più simpatiche;

 Non scusarsi né difendersi mai dalle accuse;

 Non avvilirsi nel vedersi deboli e imperfetti anzi averne motivo di gioia perché Gesù copre la moltitudine di peccati;

 Dare a chi chiede con malagrazia rispondendo con gentilezza;

 Essere felici se ci prendono qualcosa di nostro o ci si chiede un servizio che non ci spetta, essere contenti di interrompere per carità, un lavoro in corso;

 Anche i beni spirituali sono un dono che non ci appartiene, per cui dobbiamo essere contenti se qualcuno si appropria di nostre intuizioni o preghiere;

 Non cercate consolazioni umane ma lasciate tutto a Dio;

 Quando un compito ci sembra superiore alle nostre forze,mettersi nelle braccia di Gesù sapendo che da soli non siamo capaci a nulla;

 Se si deve riprendere qualcuno accettare la sofferenza di doverlo fare pur sentendosi incapaci e non all’altezza;

 Non cercare di attirare a sé i cuori degli altri ma condurli a Dio da servi inutili;

 Non avere paura di essere severi se c’e né bisogno, pregare comunque sempre prima di dire qualcosa;

 Nell’ aridità recitare molto lentamente il Pater e l’ Ave;

 Accettare le umiliazioni e le critiche con gratitudine;

 Cercare la compagnia delle persone meno gradite agli altri;

 Offrire al Signore le cose che ci costano cercando di farcele piacere;

 Accettare che il proprio lavoro non venga considerato;

 Più il fuoco dell’amore di Dio incendierà il nostro cuore e più le anime si avvicineranno a noi correranno dietro all’amore di Dio;

 Soffrire momento per momento quello che Dio ci manda, senza preoccuparsi per l’avvenire.

lunedì 4 ottobre 2010

la mia vita non sia che un riflesso luminoso della Tua


Caro Gesù, aiutami a diffondere la Tua fragranza ovunque vada,
inonda la mia anima con il Tuo Spirito e la Tua Vita.
Penetra e possiedi tutto il mio essere,
così completamente che la mia vita non sia che un riflesso luminoso della Tua.
Risplendi attraverso di me, e sii così presente in me,
che ogni anima con cui vengo a contatto sperimenti
la Tua presenza nella mia anima.
Che alzino gli occhi e vedano non più me, ma Gesù soltanto!
Rimani con me, e allora comincerò a risplendere come Tu risplendi;
risplendere in modo da essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, proverrà tutta da Te;
niente di essa sarà mia.
Sarai Tu a risplendere sugli altri attraverso di me.
Fa’ che, così, io ti lodi nel modo che più ami:
risplendendo di luce su coloro che sono attorno a me.
Fa’ che ti annunci senza predicare,
non a parole, ma con l’esempio,
con una forza che trascina,
con l’influenza benevola di ciò che faccio,
con la pienezza tangibile dell’amore che il mio cuore porta per Te. Amen.
JOHN HENRY NEWMAN

domenica 3 ottobre 2010

l’alba è tanto vicina

Quando la notte è quasi terminata
e l’alba è tanto vicina
che possiamo toccare gli spazi-
è ora di lisciarsi i capelli
 
e preparare le fossette nelle guance-
e stupirsi di esser stati in pena
per quella vecchia vecchia svanita mezzanotte-
che ci atterrì soltanto per un’ora

                        Emily Dickinson



Mentre Socrate è seduto in una piazza, un uomo gli si avvicina,
in preda a visibile eccitazione.
 
“ Buongiorno Socrate, sai cosa ho appena saputo?”
“ No”, risponde il saggio, “come potrei saperlo?”
 
L’uomo, impaziente di condividere il suo segreto, si accinge
a  raccontare la sua storia. Ma Socrate lo interrompe:
“ Aspetta un momento! Prima di cominciare, puoi dirmi se hai 
fatto passare ciò che vuoi riferirmi attraverso i tre setacci?”
 
“I tre setacci?”, chiede l’altro stupito. “Ma non so di che cosa
stai parlando!”
“ Il primo setaccio è quello della bontà.
Quello che vuoi raccontarmi è una cosa buona?”
 
“Ebbene,  non ci avevo pensato. Aspetta,,, no, non credo che 
Si  possa dire che si tratta di una cosa buona”.
“Allora, continua il filosofo, se non è una cosa buona, l’hai 
almeno fatta passare per il secondo setaccio, quello della verità?
Quello che vuoi dirmi è vero?”
 
“ Devo confessare che non ne sono sicuro”, risponde l’altro
sempre più imbarazzato. “L’ho saputo da un amico che l’ha
sentito anche lui da…”
 
“Quindi non sai se è vero”.
“No, per dirla sinceramente, non ne so nulla “. Socrate allora 
continua:
“ Se quello che vuoi dirmi non è una cosa buona, né sicuramente
vera, almeno passa attraverso il terzo setaccio? E’ utile che io 
venga a saperla?”
“ Insomma, non credo che sia davvero utile”, risponde l’altro,
a disagio.
“ Allora ascolta! Se quello che vuoi dirmi non è una cosa buona,
né vera, né utile, preferisco non ascoltarla”.
 

Dal prologo del libro
Non giudicare!  Di Yves-Alexander Thalmann



Di tempo non ne abbiamo poco, ne sprechiamo tanto.
 L'uomo grande non permette che gli si porti via neanche un minuto
 del tempo che gli appartiene.

Lucio Anneo Seneca