Il primo versetto chiave del testo di Ezechiele riguarda la presenza
di un solo re e di un solo pastore, due immagini che poi torneranno
sia separatamente sia insieme nelle parole di Cristo. In modo
particolare, nel vangelo di Matteo, il Maestro unificherà queste due
categorie nel capitolo 25, dove Cristo nel suo ritorno glorioso si
presenta come un re, ma al tempo stesso come un pastore, che passa in
rassegna le sue pecore e le divide. Il testo di Ezechiele pone
l’accento sull’unicità di un tale pastore; ciò significa che
non vi sono più pastori: l’umanità ha un solo Maestro, un solo
Pastore, un solo punto di riferimento esistenziale. Dal punto di
vista pratico, però, continueranno ad esserci molti pastori, ma sarà
soltanto Lui ad agire in loro. La chiamata degli Apostoli e il loro
invio non comporta infatti la sostituzione di Lui. Gli Apostoli, e
tutti i pastori della Chiesa, non sostituiscono un Assente, ma
soltanto rendono visibile Colui che è invisibilmente Presente.
Perciò non esistono tanti pastori, quanti sono gli uomini mandati ad
annunciare il vangelo, ma esiste un solo Pastore, che attraverso i
pastori umani, Lui, personalmente guida la Chiesa. “Il
mio servo Davide sarà su di loro e non vi sarà che un unico
pastore”. La molteplicità dei pastori umani è solamente
un aspetto esteriore, visibile, ma la realtà carismatica che esso
nasconde è l’unicità del Pastore, che opera sempre attraverso i
singoli pastori umani. I pastori umani dunque non sostituiscono un
assente ma costituiscono il segno della sua Presenza. All’interno
di questo oracolo del ritorno, che si incentra sull’unicità del
pastore, in quanto il raduno non può avvenire intorno a diversi
nuclei, ma attorno ad un unico punto d’attrazione, tale movimento
di ritorno è definito come un’esperienza di guarigione interiore:
“Li libererò da tutte le
ribellioni con cui hanno peccato”; questo verbo costruito al
futuro, “libererò”, conferisce una tonalità particolare alla
ribellione con cui l’uomo esprime di solito la propria autonomia ed
emancipazione. Quando l’uomo si ribella ha infatti l’impressione
di dominare qualcosa, di conquistare il potere, mentre il Signore
considera la ribellione come una malattia dello spirito, da cui
l’uomo ha bisogno di essere liberato. Non è infatti l’uomo che
domina; è piuttosto la potenza della ribellione che domina l’uomo,
al punto tale da beffarlo, facendolo credere tanto più realizzato
quanto più è irriconoscente, e tanto più libero, quanto più è
autonomo nel dirigere la propria vita. Il nemico del genere umano è
infatti molto astuto e si guarda bene, dopo avere imprigionato la sua
vittima, dal farle prendere coscienza del suo stato. Anzi, la
ipnotizzerà con l’illusione della libertà. Il raduno intorno
all’unico Pastore sarà un’esperienza di liberazione da tutto ciò
che seduce e inganna, sarà un antidoto contro il delirio della
volontà di potenza, un antidoto formato dal Sangue dell’Agnello.
La liberazione è anche un’esperienza di purificazione: “Li
purificherò e saranno il mio popolo”; questi due termini,
libertà e purificazione, sono accostati non a caso; infatti, da un
lato l’uomo è liberato dal tiranno che lo domina, ma dall’altro
viene anche purificato dalla lordura della schiavitù, che è la
macchia della colpa. Va notato che quest’opera di purificazione è
compiuta direttamente da Dio, non è perciò un’opera umana di
semplice rinuncia al male. Infatti, non è possibile con le sole
forze umane compiere una purificazione del cuore così profonda da
poter diventare “popolo di Dio”. E’ chiaro che l’uomo
purifica gli aspetti più esterni del suo peccato, ma sarà Dio a
purificarne le radici interiori, nel cammino di fede, nell’ascolto
assiduo della Parola e nella vita sacramentale.
Don Vincenzo Cuffaro