Oggi la liturgia della Parola accosta due brani tratti
rispettivamente dal libro dei Numeri e dal vangelo di Giovanni.
Questi due brani sono collegati in ragione di un evento, che si
presenta nel testo dei Numeri come simbolo e nelle parole di Cristo
come realtà: nel deserto a Mosè è chiesto di innalzare un’asta e
su di essa porre un serpente: “Perché
chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita”.
Nel suo dialogo con i farisei Cristo si riferisce a questo evento
narrato dal libro dei Numeri, applicandolo però a Se Stesso: “Quando
avrete innalzato il Figlio dell’uomo allora saprete che Io Sono”.
L’innalzamento del Figlio dell’uomo, in riferimento al testo dei
Numeri, si era già presentato nel dialogo notturno con Nicodemo; e
in quella occasione, come in questa, l’innalzamento del Figlio
dell’uomo è collegato a un atto di fede da cui si può sprigionare
tutta la potenza salvifica di questa sorgente di guarigione che è la
croce. Non era il serpente sull’asta che guariva gli ebrei colpiti
dal morso velenoso, bensì la fede nella Parola di Dio; in modo del
tutto analogo, la croce su cui è stato innalzato il Figlio
dell’uomo, si rivela come salvezza a chiunque crede. Nel
dialogo notturno con Nicodemo, Cristo aveva annunciato il suo
innalzamento come fosse prefigurato profeticamente da quell’asta
innalzata da Mosè nel deserto, aggiungendo: “perché
chiunque creda in Lui non muoia”.
Il tema della fede come sorgente di salvezza ritorna di nuovo, in
collegamento con l’annuncio dell’innalzamento del Figlio, nelle
parole conclusive del vangelo odierno, questi due elementi – cioè
l’innalzamento del Figlio e la fede salvifica - sono ancora una
volta accostati dall’evangelista: “Quando
avrete innalzato il
Figlio dell’uomo
allora saprete che Io Sono”. E il testo si conclude: “E
a queste sue parole molti credettero
in Lui”. L’innalzamento del Figlio dell’uomo da solo non
è dunque sufficiente a produrre la salvezza, se non si congiunge con
un atto di fede personale.
Don Vincenzo Cuffaro
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