Il testo della lettera ai Romani descrive
la condizione del cristiano
nella fase della sua maturità spirituale,
ovvero la condizione di
chi è abitato, posseduto e guidato dallo Spirito di Dio.
Per
l’Apostolo Paolo non esiste in concreto un uomo capace di pensare e
di decidere del proprio destino senza subire l’influsso di
magnetismi extraumani che agiscono sui processi del suo pensiero. Chi
non sa distinguere le molteplici forze che influiscono sulla sua
interiorità,
rischia di cadere nella convinzione errata di essere
l’autore di tutto ciò che sorge nel suo cuore.
L’opera di questa
distinzione si chiama “discernimento”.
Il cristiano, illuminato
dallo Spirito di Dio, pone al vaglio tutti i suoi pensieri,
perché
sa bene che
alcuni di essi sono suggeriti da Satana
e altri da Dio,
altri ancora dalla propria stessa sensibilità o dai condizionamenti
ambientali.
Solo dopo questa accurata distinzione,
egli decide cosa
ascoltare, e se seguire il corso dei pensieri oppure interromperlo.
Questo processo di discernimento avviene sotto la presidenza dello
Spirito Santo,
perché la mente umana, appoggiandosi al suo lume
naturale,
non sarebbe in grado di farlo senza cadere in errore.
In
definitiva, l’impossibilità di un pensare autonomo in senso
assoluto
si traduce per l’uomo in due vie,
che in fondo sono
entrambe delle condizioni di “possessione”,
con la conseguenza
che la prima,
quella del peccato, è umiliante,
mentre la seconda
è
l’espressione più alta della libertà,
perché si è posseduti
dallo Spirito di Dio, dolce e liberissimo.
Infatti, Paolo descrive il
peccato non tanto come una scelta sbagliata che uno può fare,
ma
come una potenza che esercita il suo dominio sull’essere umano
che
si lascia muovere da tale forza umiliante.
Dall’altro lato, non gli
bastano le sue risorse, qualora volesse liberarsene,
perché solo
l’ingresso di Cristo e la potenza del suo Sangue può spezzare ogni
schiavitù.
Allora la libertà totale non è affatto quella di una
conquista di uno spazio neutro tra Satana e Dio,
ma consiste nella
possibilità di essere in Cristo Gesù, partecipando della sua stessa
vita,
la quale gode di una somma libertà,
in quanto non è soggetta
ad alcuna legge,
se non a quella dell’amore.
Stando così le cose,
lo Spirito Santo si colloca al centro direttivo della nostra
personalità, impedendo ad altre forze di condizionare la nostra
vita.
Chi può trasformare interiormente è soltanto Colui che è
capace di abitare dentro di noi: lo Spirito di Dio.
Quindi non si
tratta ancora una volta di consegnare noi stessi come servi di
qualcuno,
ma l’essere al servizio dello Spirito Santo è
l’esperienza più radicale di libertà.
Quando nel nostro
linguaggio cristiano parliamo di libertà, e diciamo di essere
liberi,
ci riferiamo alla inabitazione dello Spirito,
perché
“dove
c’è lo Spirito del Signore,
c’è libertà” (2 Cor
3,17).
Dal momento del battesimo in poi, avvengono una serie di
trasformazioni,
che cominciano dal progressivo abbandono della logica
umana:
“Voi però non siete
sotto il dominio della carne,
ma dello Spirito,
dal momento che lo
Spirito di Dio abita in voi” (v. 9).
Il dominio della carne
è appunto la prevalenza dei pensieri dell’io umano.
Significa che
siamo passati da un padrone ad un altro:
anche il fatto di essere al
servizio di se stessi è umiliante
come qualunque servizio reso a ciò
che non è Dio.
Se questa trasformazione si verifica davvero,
si
comincia a sperimentare alcune cose come elementi di novità
osservabili nella propria vita (cfr. Rm 8,5).
Solo lo Spirito Santo
può orientare il nostro pensiero verso le verità eterne e farcele
amare.
Allora bisogna porre la dovuta attenzione anche ai contenuti
del nostro pensiero,
i quali, come i sintomi per un medico,
ci
permettono di capire da chi siamo abitati,
e conoscere quale spirito
esercita su di noi la sua influenza.
L’influsso dello spirito del
male produce
una chiusura dei pensieri dell’uomo nell’aldiqua,
una specie di incatenamento nelle cose, nelle circostanze
contingenti, nelle realtà
che iniziano e finiscono nella vita
quotidiana,
ma che vengono vissute come se fossero assolute;
questi
sintomi sono indicativi e svelano eloquentemente
chi è il padrone al
quale stiamo rendendo il nostro servizio.
Al contrario,
l’essere
posseduti, invasati dallo Spirito di Cristo,
produce cambiamenti
sostanziali;
prima di tutto nei contenuti del pensiero,
che viene
liberato dalla schiavitù delle cose terrene,
da questo orizzonte
chiuso su se stesso.
Così la nostra mente comincia a spaziare nella
speranza,
priva di confini, dei beni eterni, amati e desiderati come
se già in qualche modo si conoscessero.
Il Signore, infatti, non
vuole che restiamo chiusi e incatenati nel piccolo spazio
dell’aldiqua.
Il trasferimento da tali angustie mentali alle
visioni aperte di ciò che è eterno,
è esso stesso un’esperienza
divina di liberazione del nostro pensiero,
che viene tirato fuori
dall’asfissia della sapienza terrestre.
La trasformazione dei
contenuti del pensiero è necessaria,
perché l’uomo sperimenti il
passaggio dalla schiavitù
che umilia alla servitù che invece
innalza verso le altezze e verso la dignità dell’essere figli.
A
questo riguardo l’Apostolo è molto preciso:
“Se
qualcuno non ha lo Spirito di Cristo,
non gli appartiene”
(v. 9).
Non è un problema di essere brave persone o onesti
cittadini,
occorre invece sapere da quale spirito siamo abitati e
mossi.
L’obiettivo principale della vita cristiana non è quello di
compiere delle opere buone,
ma quello di essere afferrati e abitati
dallo Spirito di Cristo.
Questa è l’esperienza divina di libertà
che il cristianesimo promette a tutti coloro che si sottomettono a
Dio.
Don Vincenzo Cuffaro
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