Mi piace riportare parte del commento di don Vincenzo Cuffaro alla prima lettura (2Sam 24,2.9-17) della liturgia della messa odierna IV tempo ordinario (B).
Questo testo
riporta un altro momento in cui viene alla luce l’umanità fragile
di Davide, e questa sua fragilità si manifesta in un bisogno di
sicurezza umana: ad uno dei suoi generali, Joab, ordina di fare il
censimento del popolo, ma la sua intenzione non era quella di
conoscere il numero esatto degli abitanti per ogni città, bensì di
sapere quanti uomini valorosi e capaci di maneggiare una spada ci
fossero nel suo popolo. Davide sembra aver dimenticato l’episodio
della sua vittoria su Golia, sconfitto quasi senza armi; sembra aver
dimenticato come Dio abbia fermato al momento opportuno tutte le
minacce che si avanzavano contro di lui. Anche in questo caso, come
nel peccato compiuto precedentemente con la moglie di Uria, egli se
ne rende conto solo a cose fatte. E ne chiede perdono immediatamente...
Sapientemente ci fa notare che:
Il peccato produce due effetti, lo stato di colpa e i
disordini personali e sociali che ne sono una conseguenza.
La colpevolezza viene cancellata immediatamente da Dio nell’atto
del pentimento, ma rimangono i danni che il mio peccato ha arrecato a
me stesso e agli altri; rimangono le macerie che il mio peccato
personale ha prodotto intorno a me e dentro di me. Il cammino di
conversione è il processo di ricostruzione di tali macerie con
l’aiuto potente della grazia.
Anche in questo caso, la coscienza del peccato è data dal ministero
della parola :
Ecco perchè dobbiamo non solo confrontarci con la Parola ma non smettere mai di annunciarla, conoscendo e e confidando nella sua esclusiva forza (grazia) intrinseca
attraverso il veggente Gad, Dio rivela a Davide che il
peccato gli è stato perdonato, ma che c’è pure un cammino di
risalita e di espiazione che egli deve compiere; Davide, veramente
illuminato dallo Spirito, sceglie la via migliore tra quelle
propostegli dal profeta: lasciare che sia Dio stesso a operare su di
lui la giusta espiazione.
Da qui ci fa capire la Grandezza (santità) di Davide che diviene nostro esempio
In questo Davide dimostra di nuovo la sua statura di uomo di Dio. Va
notato che egli non ha bisogno di sentirsi a posto davanti a Dio per
affidarsi alle sue mani. E’ relativamente facile abbandonarsi al
volere di Dio, quando ci si sente innocenti; verrebbe invece di
scappare dalla sua divina presenza, quando ci sentiamo colpevoli. In
questa occasione, Davide dimostra invece – e qua si vede la sua
santità – di essere capace, nonostante la colpevolezza che grava
su di lui, nonostante il suo peccato personale, di abbandonarsi al
Signore fiduciosamente. Atteggiamento impossibile senza un grande
livello di santità: egli non fa leva su se stesso, perché si sente
in uno stato di manchevolezza, ma si affida al Signore senza riserve,
perché sa che la misericordia di Dio è grande e che il suo giudizio
è perfetto. In ogni caso, la capacità di fidarsi di Dio in
qualunque circostanza è sempre indice di un grado di santità non
indifferente.
Il Signore dispone quindi le cose, perché Davide possa riparare i
danni conseguenti a quel peccato che già gli era stato perdonato.
Qui va notato anche un altro fatto importante: l’espiazione del
peccato di Davide colpisce lui in prima persona, ma colpisce anche
degli innocenti. Ciò potrebbe meravigliare il lettore e perfino
sembrare in contrasto con il senso della giustizia divina. Ma ogni
stupore cessa, nel momento in cui si considera che Davide è un uomo
a cui Dio ha affidato le sorti del popolo: necessariamente, i suoi
sbagli sono destinati a ribaltarsi su tutti coloro che sono affidati
al suo governo. Essi saranno felici se le sue scelte saranno sagge,
ma pagheranno, in misure diverse, lo scotto dei suoi errori. Questa è
una verità che riguarda ciascuno di noi nel suo ruolo proprio: i
genitori nei confronti dei figli, il parroco nei confronti della sua
comunità, il vescovo nei confronti della sua diocesi, gli uomini
politici nei confronti della nazione.