sabato 2 giugno 2012

a poco a poco la solitudine cresce e cresce l’impressione dell'impossibile


E' il problema del trovarsi davanti alla montagna, guardarla nella sua mole maestosa e solenne, per essere lì a ordinarle di muoversi e di gettarsi in mare. Roba da matti. E ho capito cosa vuol dire «quel granello di Fede», di cui Gesù parla.
Non ho quella briciola di Fede perchè la montagna mi fa terrore nella sua mostruosa immensità. E provo, fino alla vergogna, il senso di ridicolo a continuare a sognare di poterla smuovere e farla camminare fino a gettarsi in mare e inabissarvisi.
Mi sento solo, spaventosamente inerme, con povere mani vuote: perchè ho lasciato cadere ogni affidamento perfino alla speranza di cose terrene. Ho perduto ogni fiducia, a poco a poco, durante il cammino, perchè ogni cosa si è andata svalutando. Anche gli amici sono rimasti indietro, forse perchè sempre più capivano che era impresa da pazzi e della pazzia tutti hanno paura. E si cammina insieme fino a che la strada è sicura, larga, ben tracciata e corre per paesi e città abitate, dove ci si può sempre fermare e costruirvi un'esistenza normale. E chi si ferma qui e chi si sistema là. E a volte ci si lascia senza neppure salutarci perchè chi si sente arrivato non riesce nemmeno più ad immaginare che la strada continua e qualcuno può darsi che debba e voglia seguirla.
Così a poco a poco la solitudine cresce e cresce l’impressione dell'impossibile, la paura del vuoto e dell'inutile, fino alla sensazione, anche fisica, dell'assurdo.
Si è soli, allora, anche perchè abbandonati perfino dal coraggio, rimasti senza ideale, senz'ombra di sicurezza di dentro, spogliati di tutto, colmati soltanto di stanchezza e di infinito desolato sgomento.
L'unica forza è il voler durare, a costo di tutto, nella pazzia, e questa è la pazzia più grande alla quale ci si possa abbandonare, perchè è consapevole e voluta e quindi responsabile, anche se non più scelta in modo attuale, ma perdurante da una chiara scelta iniziale
Don Sirio (1964)

venerdì 1 giugno 2012

Se vogliamo restare con uno solo di questi amo­ri, li perderemo entrambi


L’amore per Dio e per il prossimo rappresenta le due dimensioni fondamentali del Vangelo di Cristo. Alcune tensioni che viviamo nella chiesa hanno la radice nella maniera rilassata con cui interpretiamo il rapporto fra queste due esigenze. C’è chi enfatizza l’amore per Dio in modo tale da far apparire la relazione con il prossimo come qualcosa di secondario, che si aggiunge a quanto è realmente importante; in tale prospettiva è difficile presentare sia l’importanza dell’inseri­mento storico del cristiano, sia le esigenze derivanti dall’orfano, dalla vedova e dallo straniero. D’altra parte alcuni suggeriscono che l’essere cristiani si manife­sta in forma poco meno che esclusiva nell’impegno e nella solidarietà verso gli altri. Così le urgenze di situazioni inumane e profondamente ingiuste sembrano portare ad agire più che a pensare; ma allora preghiera, celebrazione, sapere e assaporare la Parola di Dio - espressioni vitali del mondo della gratuità, in cui si colloca la nostra relazione con il Signore - perdono il loro significato e la loro portata ne è sminuita. […] Soltanto i puri di cuore, coloro che vivono la propria fede con integrità, possono cogliere questa identificazione fra Cristo e il povero. […] Non ci sono vie di mezzo. Se vogliamo restare con uno solo di questi amo­ri, li perderemo entrambi.
(G. Gutierrez)

giovedì 31 maggio 2012

solo ingannando consapevolmente se stessi


Ove la figura di un uomo di successo si manifesta in maniera particolarmente visibile, la maggioranza cade vittima dell’idolatria del successo. Essa diventa cieca nei confronti del diritto e dell’ingiustizia, della verità e della menzogna, dell’onestà e dell’abiezione. Vede solo più l’azione, il successo. La facoltà del giudizio etico e intellettuale si ottunde di fronte allo splendore del successo e di fronte al desiderio di partecipare in qualche modo ad esso. Non si riconosce addirittura più che, con il successo, la colpa si cicatrizza appunta perché la colpa non viene più affatto riconosciuta. Il successo è semplicemente il bene. Tale atteggiamento è genuino e perdonabile solo nello stato di ebbrezza. Una volta rinsaviti lo si può adottare solo a prezzo di una profonda falsità interiore, solo ingannando consapevolmente se stessi. Ma allora si verifica una corruzione interiore da cui è difficile guarire.
(D. Bonhoeffer)

mercoledì 30 maggio 2012

una fonte di disinteresse – perché gli esseri umani mangino


Poter mangiare e bere è una possibilità straordinaria e miracolosa quanto la tra­versata del Mar Rosso. Noi non ci rendiamo conto del miracolo che ciò rappre­senta perché viviamo in un’Europa oggi provvista di tutto e non in un paese del terzo mondo, e perché la nostra memoria è corta. Là si capisce bene che sazia­re la fame è la meraviglia delle meraviglie. Eppure, tornare, nonostante tutti i progressi della civiltà, allo stato di indigenza in Europa è una possibilità assoluta­mente realistica, come provano gli anni della guerra e dei campi di concentra­mento. In verità, l’itinerario che porta il pane dalla terra in cui cresce il frumento alla bocca che lo consuma è assai pericoloso. È attraversare il Mar Rosso. Un antico midrash, concepito nello stesso spirito, insegna: “Ogni goccia di pioggia che deve irrigare i nostri campi è portata da diecimila angeli per poter giungere a destinazione”. Niente di più difficile che arrivare ad alimentarsi! Così che il versetto“Mangerai, sarai saziato e benedirai” (Dt 8,10) non è una pia afferma­zione, ma il riconoscimento di un miracolo quotidiano e della gratitudine che deve suscitare nelle anime. Ma l’obbligo della riconoscenza va ben oltre. Secon­do un modo di dire dei rabbini, la benedizione serve a ridestare gli angeli favore­voli, intercessori capaci di combattere gli spiriti cattivi che si frappongono tra l’a­limento e gli affamati e che spiano e creano ogni occasione per impedire che il pane arrivi alle loro bocche. […] Il problema della fame nel mondo può essere risolto solo se quanti sono riforniti di cibo cessano di vederlo come una loro pro­prietà inalienabile. L’alimento deve esser riconosciuto come dono ricevuto, di cui si deve ringraziare e a cui gli altri hanno diritto. La penuria è un problema mo­rale e sociale, non soltanto un problema economico. […] Bisogna che la collettivi­tà segua gli individui che prendono l’iniziativa di rinunciare ai propri diritti per­ché gli affamati possano mangiare. […] Bisogna che ci sia un nazireato nel mon­do – una fonte di disinteresse – perché gli esseri umani mangino. Dar da man­giare a quanti hanno fame suppone un’elevazione spirituale. Bisogna che il nazi­reato sia una possibilità concreta, perché il terzo mondo, l’umanità cosiddetta sottosviluppata, possa saziare la sua fame e perché l’Occidente non ritorni, no­nostante la sua opulenza, allo stadio di umanità sottosviluppata.
(E. Lèvinas)

martedì 29 maggio 2012

ma cosa sarebbe la vita


Passare insieme un po’ di tempo, 
condividere il tempo: 
non serve a molto, lo so, ma è umano, è divino.
 Perché in fondo noi siamo inutili, come i fiori, come i passeri. 
Anche Dio è inutile, 
ma cosa sarebbe la vita 
senza amore, senza passeri, senza fiori, senza Dio?
(M. Cunz)

lunedì 28 maggio 2012

se prendo in prestito parole patetiche


Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.
Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.
Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.
Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.
Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d'acqua.
E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,
immobile con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,
assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.
Chiedo scusa all'albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.
Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.
Verità, non prestarmi troppa attenzione.
Serietà, sii magnanima con me.
Sopporta, mistero dell'esistenza, se strappo fili dal tuo strascico.
Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.
Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.
So che finché vivo niente mi giustifica,
perché io stessa mi sono d'ostacolo.
Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche,
e poi fatico per farle sembrare leggere.
-- Wislawa Szymborska 

domenica 27 maggio 2012

E' un lungo palpito d'amore



Vorrei salire molto in alto, Signore,
Sopra la mia città,
Sopra il Mondo,
Sopra il Tempo.
Vorrei purificare il mio sguardo e avere i Tuoi occhi.
Vedrei allora l'Universo, l'Umanità, la Storia, come li vede il Padre.
Vedrei in questa prodigiosa trasformazione della materia,
In questo perpetuo fermento di vita,
Il Tuo Corpo che nasce sotto il soffio dello Spirito.
Vedrei la bella, eterna Idea d'Amore di Tuo Padre che si realizza progressivamente:
Tutto ricapitolare in Te, le cose del cielo e quelle della terra.
E vedrei che, oggi come ieri, i minimi particolari vi partecipano:
Ogni uomo al suo posto,
Ogni gruppo
Ed ogni oggetto.
Vedrei quell'officina e quel cinema,
La discussione del contratto collettivo e il collocamento della fontanella.
Vedrei il prezzo del pane al calmiere e la comitiva di giovani che va a ballare.
Il bimbo che nasce ed il vecchio che muore.
Vedrei la minima particella di materia e il più piccolo palpito di vita,
L'amore e l'odio,
Il peccato e la grazia.
Commosso, comprenderei che dinanzi a me si svolge la Grande Avventura d'Amore iniziata all'alba
del Mondo,
La Storia Sacra, che secondo la promessa non terminerà che nella gloria, dopo la risurrezione
della carne.
Quando Ti presenterai dinanzi al Padre dicendo: tutto è compiuto, Io sono l'Alfa e l'Omega, l'Inizio
e il Termine.
Comprenderei che tutto è unito insieme,
Che tutto non è che un unico movimento di tutta l'Umanità e di tutto l'Universo verso la Trinità, in
Te e per Te, Signore.
Comprenderei che nulla è profano: cose, persone, avvenimenti,
Ma che, al contrario, tutto è consacrato all'inizio da Dio
E che tutto deve essere consacrato dall'uomo divinizzato.
Comprenderei che la mia vita, impercettibile palpito in questo Grande Corpo Totale,
E un tesoro indispensabile nel Progetto del Padre.
Allora, cadendo in ginocchio, ammirerei, Signore, il mistero
di questo Mondo Che, nonostante gli innumerevoli e orribili spropositi del
peccato,
E' un lungo palpito d'amore, verso l'Amore eterno.
Vorrei salire molto in alto, Signore,
Sopra la mia città,
Sopra il Mondo,
Sopra il Tempo.
Vorrei purificare il mio sguardo e avere i Tuoi occhi.
MICHAEL QUOIST
          (da «Preghiere» - Ed. Marietti)