Le parole sono buone.
Le parole sono cattive.
Le parole offendono.
Le parole chiedono scusa.
Le parole bruciano.
Le parole accarezzano.
Le parole sono date, scambiate, offerte, vendute e inventate.
Le parole sono assenti.
Alcune parole ci succhiano, non ci mollano; sono come zecche: si annidano nei libri, nei giornali, negli slogan pubblicitari, nelle didascalie dei film, nelle carte e nei cartelloni.
Le parole consigliano, suggeriscono, insinuano, ordinano, impongono, segregano, eliminano.
Sono melliflue o aspre.
Il mondo gira sulle parole lubrificate con l'olio della pazienza.
I cervelli sono pieni di parole che vivono in santa pace con le loro contrarie e nemiche.
Per questo le persone fanno il contrario di quel che pensano, credendo di pensare quel che fanno.
Le parole hanno cessato di comunicare.
Ogni parola è detta perché non se ne oda un'altra.
La parola, anche quando non afferma, si afferma.
La parola non risponde né domanda: accumula.
La parola è l'erba fresca e verde che copre la superficie dello stagno.
La parola è polvere negli occhi e occhi bucati.
La parola non mostra.
La parola dissimula.
Per questo urge mondare le parole perché la semina si muti in raccolto.
Perché le parole siano strumento di morte o di salvezza.
Perché la parola valga ciò che vale il silenzio dell'atto.
C'è anche il silenzio.
Il silenzio, per definizione, è ciò che non si ode.
Il silenzio ascolta, esamina, osserva, pesa e analizza.
Il silenzio è fecondo.
Il silenzio è terra nera e fertile, l'humus dell'essere, la tacita melodia sotto la luce solare.
Cadono su di esso le parole. Tutte le parole. Quelle buone e quelle cattive.
Il grano e il loglio.
Ma solo il grano dà il pane.
(Josè Saramago ''Di questo mondo e degli altri''