sabato 5 gennaio 2013
rispetto del mondo interiore che vive in ciascuno di noi
Caro amico mio, siamo chiamati, sopra ogni cosa, al rispetto del mondo
interiore che vive in ciascuno di noi. Il nostro essere è fatto di mente, emozioni
e sensibilità; dobbiamo riuscire a prendere coscienza della nostra persona per
andare verso gli altri, con tutto noi stessi.
Non scordiamoci di riconoscere la bellezza della parola, l’espressione di
questa ricchezza che possediamo. Dedichiamoci umilmente alla cura degli altri
anche attraverso l’ascolto, l’altra grande ricchezza della comunicazione. Non
possiamo fermarci di fronte alla prima interpretazione della parola ascoltata, di
un messaggio di cui riusciamo a cogliere solo la superficie.
Vivere è comunicare e le parole ci accompagnano come l’aria che
respiriamo. L’incontro tra le persone è per via delle parole, nei modi più diversi
… La musicalità della parola accompagnata dal gesto, dall’intensità dello
sguardo, ci induce alla capacità di cogliere, nell’altro, quelle attenzioni che
spesso sono attese e desiderate, a sapere ‘leggere’ ciò che sta oltre l’evidenza
di una comunicazione semplice o di un’altra apparentemente o sicuramente più
complessa. Spesso non ci rendiamo conto di ciò.
O forse, più semplicemente, non vi prestiamo attenzione, come se
viaggiassimo col pensiero attraverso lunghezze d’onda differenti. Questo non ci
consente di dialogare in pienezza. Dobbiamo fermarci. Ascoltare. Capire.
Condividere e comunicare bene, fare comunità, con tutti. Il nostro mondo ha
bisogno di fare comunità …. Benedetto Calati
venerdì 4 gennaio 2013
un'attenzione interiore per il corpo come espressione dell'anima
Alla base - scrive in proposito il monaco benedettino Anselm Grun - non c'è la cura del corpo, ma l'ascolto di esso e dei suoi impulsi, la percezione delle sue reazioni e dei suoi disturbi e un'attenzione interiore per il corpo come espressione dell'anima. Della vita spirituale non fa parte solamente l'esame di coscienza, ma anche l'attenzione al corpo che spesso ci rivela la condizione interiore in modo più chiaro di quanto faccia la coscienza.
giovedì 3 gennaio 2013
ho soltanto i sogni; e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi
E' una riflessione per chi è deluso, depresso, perchè pensa che non ci sia il meglio per sè, ma non smette mai di sognare il drappo di cielo da stendere sotto i piedi i un altro.
Dio sogna di far fiorire la nostra umanità, nulla toglie ma piuttosto aggiunge. Per realizzare il suo
sogno il nostro Dio deve poter entrare nei sogni dell’uomo e l’uomo deve poter sognare i sogni di
Dio …
Se avessi il drappo ricamato del cielo,
intessuto dell'oro e dell'argento e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte
dai mezzi colori dell'alba e del tramonto,
stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
invece, essendo povero, ho soltanto i sogni;
e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.
(William Butler Yeats, da "Il vento tra le canne", 1899)
Che meraviglia! Ogni giorno qualcuno stende sotto i piedi di un altro i suoi sogni: la moglie col
marito, il marito con la moglie, i figli coi genitori, i genitori coi figli, i fidanzati, gli amici, le
famiglie con la Chiesa … e noi dovremmo imparare a camminare con piedi leggeri, perché non c’è
niente di più bello, e insieme di più fragile, di quel sogno a cui abbiamo dato nome amore. Un
sogno che va custodito, fatto crescere, accompagnato con un di più di tenerezza, di audacia, di
speranza, di fede, di preghiera. È il cammino dell’amore, è il viaggio dell’amore (stupenda la barca
degli sposi di Chagall in copertina!), è la scuola dell’amore. È la bellezza dell’amore che ti fa
scoprire di essere interamente tuo quando “appartieni” a un altro, è la bellezza dell’amore che fa il
cielo più limpido e la terra più profumata. Un amore come l’amore di Dio. Per sempre.
DON MIRKO
mercoledì 2 gennaio 2013
per trasmettere nel mondo la sua tenerezza
La tenerezza dell’amore
Mi viene in mente il titolo di un film francese che fece molto rumore in quel tempo: ‘Dio ha bisogno degli uomini’. Noi pensiamo sempre al rapporto con Dio come a qualsiasi altra relazione umana in cui si costruisce, si elabora, si realizza qualcosa. In realtà Dio ha bisogno dell’uomo non tanto per realizzare qualcosa, ma per trasmettere nel mondo la sua tenerezza; ha bisogno del vuoto dell’uomo, del nulla dell’uomo, dei limiti dell’uomo, della sua impotenza perché così l’uomo possa accogliere questa tenerezza misericordiosa, questa energia d’amore che ci trasforma, che ci libera.
fratel Arturo Paoli
martedì 1 gennaio 2013
Quella di rimboccarsi le maniche... sono una lezione non ancora finita
Mi piace iniziare l'anno con le parole di P. Renato Zilio
Questi nostri vecchi emigrati o giovani italiani, veri combattenti in prima linea, sono una lezione grandiosa per la nostra terra.
Quella di rimboccarsi le maniche.
Lavorare insieme.
Lavorare per tutti.
Lavorare con tutti.
Solo così si cammina insieme verso l’avvenire.
Il coraggio, la solidarietà e la fiducia di chi ha costruito la propria esistenza sulla terra degli altri
sono una lezione non ancora finita.
Di valori, non di interessi.
Buon anno.
Questi nostri vecchi emigrati o giovani italiani, veri combattenti in prima linea, sono una lezione grandiosa per la nostra terra.
Quella di rimboccarsi le maniche.
Lavorare insieme.
Lavorare per tutti.
Lavorare con tutti.
Solo così si cammina insieme verso l’avvenire.
Il coraggio, la solidarietà e la fiducia di chi ha costruito la propria esistenza sulla terra degli altri
sono una lezione non ancora finita.
Di valori, non di interessi.
Buon anno.
lunedì 31 dicembre 2012
Il primo passo verso l’amore è allora quello di essere fiduciosi che c’è
Il mio regalo di fine anno per le persone che mi stanno vicino e sono alle prese con l'amore.
"Portavo nel cuore un’ideale di amore incommensurabile, fatto di certezze nobili e di gesti sproporzionati.
Non lo avevo imparato dai libri di letteratura, ma lì lo ritrovavo ed è per questo che mi ci ero ambientato così bene.
Se rileggo il cammino amoroso che si sviluppò da allora, più che passi lenti, ci trovo brevi ascese e sonori scivoloni.
Conoscere una donna e innamorarsene era naturale, non altrettanto attaccarle addosso quell’ideale che la proiettava fuori dalla realtà.
Quando una storia finiva il sogno restava lì, appeso sul nulla.
Ed era un dramma. Il male di vivere, appunto.
Se tornassi indietro, spruzzerei volentieri su quegli anni un po’ di spensieratezza. Non potendo farlo, me li tengo come prezioso serbatoio di esperienza.
L’insegnamento più importante che ho ricevuto è che non ci serve nessuna idea dell’amore. Anche la più pulita e sincera è sbagliata. Perché, come l’aria, l’amore entra dove gli si crea spazio,
non dove lo si occupa.
L’amore non lo produciamo, non è una facoltà di cui siamo più o meno dotati: l’amore è energia che non possiamo sviluppare da soli, ma solo quando usciamo dal nostro isolamento. Quello che possiamo fare è solo creare delle condizioni.
E, paradosso, queste condizioni non sono affatto di mostrarci onnipotenti e invincibili,
ma autentici e vulnerabili. L’amore ha bisogno di reciproca accoglienza e l’accoglienza
è possibile solo nella nudità, nella verità e nel rischio.
Altro non so dire. E anche queste parole non servono poi a molto se il nostro vivere quotidiano non ne consegue. Non viaggiamo al buio, questo no. La vita ci lascia tracce evidenti del calore, della luce, della gioia che l’amore produce. Sono gesti delicati, sono frammenti di coraggio, sono silenziose attenzioni.
Il primo passo verso l’amore è allora quello di essere fiduciosi che c’è, che c’è anche quando non si manifesta, quando ci sono buio e fatica.
E, soprattutto, che c’è quando smettiamo di pensare che possiamo essere autosufficienti, padroni del nostro destino.
Certo, le nostre qualità umane possono permettere a ciascuno di noi di creare tante cose.
Ma l’amore no.
L’amore nasce solo da un’esposizione alla vita e alle sue creature.
Quello che possiamo fare è creargli spazio, è propiziarlo.
È sperare che accada, a ciascuno di noi, ciò che descrive una poesia di Luciano De Giovanni, lunga un solo verso: “Mentre ti coglievo, fiore, tu hai colto me”."
Massimo Orlandi
domenica 30 dicembre 2012
Uno spazio dove è consentito deporre le armi
Non dipende solo dalla pigrizia se le relazioni umane si ripetono così monotone e senza novità, ma dalla paura del nuovo e dell’imprevedibile che l’amore richiede, dal non lasciare uno spazio aperto che divenga un luogo non solo per accogliere l’altro, ma per la relazione con lui. Uno spazio dove è consentito deporre le armi, rilassarsi e incontrarsi. (don Luigi Verdi)
Iscriviti a:
Post (Atom)