Nel 1968 – quando era ancora cardinale – Joseph Ratzinger scrisse un libro dal titolo “Introduzione al cristianesimo” divenuto in brevissimo tempo un punto di riferimento teologico circa il discorso della fede cristiana. In questo testo (giunto oggi alla dodicesima ristampa) Ratzinger introduce il primo capitolo dal titolo: “E’ ancora possibile credere nel mondo attuale?” raccontando un celebre apologo di S. Kierkegaard che vale la pena di rileggere.
“La storiella è interessante.
Narra come un circo viaggiante in Danimarca fosse un giorno caduto in preda ad un incendio. Ancora mentre da esso si levavano le fiamme, il direttore mando il clown già abbigliato per la recita a chiamare aiuto nel villaggio vicino, oltretutto anche perché c’era pericolo che il fuoco, propagandosi attraverso i campi da poco mietuti e quindi aridi, s’appiccasse anche al villaggio. Il clown corse affannato al villaggio, supplicando i paesani ad accorrere al circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere, tendente ad attrarre la più gran quantità possibile di gente alla rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il povero clown aveva più voglia di piangere che di ridere; e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto d’una finzione, d’un trucco, bensì d’una amara realtà, giacché il circo stava bruciando per davvero. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate: si trovava che egli recitava la sua parte in maniera stupenda… La commedia continuò così, finche il fuoco s’appiccò realmente al villaggio, ed ogni aiuto giunse troppo tardi: sicché villaggio e circo andarono entrambi distrutti dalle fiamme”.
Narra come un circo viaggiante in Danimarca fosse un giorno caduto in preda ad un incendio. Ancora mentre da esso si levavano le fiamme, il direttore mando il clown già abbigliato per la recita a chiamare aiuto nel villaggio vicino, oltretutto anche perché c’era pericolo che il fuoco, propagandosi attraverso i campi da poco mietuti e quindi aridi, s’appiccasse anche al villaggio. Il clown corse affannato al villaggio, supplicando i paesani ad accorrere al circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere, tendente ad attrarre la più gran quantità possibile di gente alla rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il povero clown aveva più voglia di piangere che di ridere; e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto d’una finzione, d’un trucco, bensì d’una amara realtà, giacché il circo stava bruciando per davvero. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate: si trovava che egli recitava la sua parte in maniera stupenda… La commedia continuò così, finche il fuoco s’appiccò realmente al villaggio, ed ogni aiuto giunse troppo tardi: sicché villaggio e circo andarono entrambi distrutti dalle fiamme”.
Il significato di questo racconto e l’immagine che esso propone è ancora oggi di grandissima attualità.
Tutti coloro, infatti, che oggi (nei diversi stati di vita: sacerdotale, coniugale, laicale), in quanto battezzati, sono chiamati ad annunciare il Vangelo di Cristo vengono inesorabilmente etichettati dal mondo moderno (dal vicino di casa ai colleghi di lavoro ecc.) e allontanati perché già in partenza si conosce la verità scomoda che vogliono annunciare. Il problema, a mio modo di vedere, è anche un altro, almeno da parte di coloro che sono chiamati all’annuncio: diventare non un ripetitore di formule teologiche ma fare della propria persona una testimonianza di vita cristiana. E’ il tuo modo di vivere, il giudizio che hai sulle cose, l’attenzione che rivolgi agli altri che possono dire che tipo di cristiano sei e di che pasta sei fatto.
Tutti coloro, infatti, che oggi (nei diversi stati di vita: sacerdotale, coniugale, laicale), in quanto battezzati, sono chiamati ad annunciare il Vangelo di Cristo vengono inesorabilmente etichettati dal mondo moderno (dal vicino di casa ai colleghi di lavoro ecc.) e allontanati perché già in partenza si conosce la verità scomoda che vogliono annunciare. Il problema, a mio modo di vedere, è anche un altro, almeno da parte di coloro che sono chiamati all’annuncio: diventare non un ripetitore di formule teologiche ma fare della propria persona una testimonianza di vita cristiana. E’ il tuo modo di vivere, il giudizio che hai sulle cose, l’attenzione che rivolgi agli altri che possono dire che tipo di cristiano sei e di che pasta sei fatto.
Oggi noi, erroneamente, riteniamo che per testimoniare al meglio il Vangelo di Cristo si debbano tediare gli altri con lunghissime prediche dogmatiche e spiritualeggianti che poi costringono chi ti sta davanti a scappare e a cambiar strada tutte le volte che vieni incrociato!
Madeleine Delbrêl diceva:
“La Chiesa ci alleva, ci educa, ci istruisce, ci forma perché in essa diventiamo Vangelo vivente.
Tutto nella Chiesa mira a ciò.
E noi, da quelle infime terminazioni nervose che siamo nel corpo della Chiesa, dobbiamo, come tutto il resto, diventare questo Vangelo vivente.
[…] Dobbiamo seguire l’istinto della Chiesa che rivendica il diritto di camminare su tutte le strade” . http://nobell.it/che-tipo-di-cristiano-sei.html
“La Chiesa ci alleva, ci educa, ci istruisce, ci forma perché in essa diventiamo Vangelo vivente.
Tutto nella Chiesa mira a ciò.
E noi, da quelle infime terminazioni nervose che siamo nel corpo della Chiesa, dobbiamo, come tutto il resto, diventare questo Vangelo vivente.
[…] Dobbiamo seguire l’istinto della Chiesa che rivendica il diritto di camminare su tutte le strade” . http://nobell.it/che-tipo-di-cristiano-sei.html