sabato 10 dicembre 2016


Il vero miracolo, un piccolo seme
di Ermes Ronchi  (Avvenire 09/12/2010)
III Domenica di Avvento Anno A

 «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». 
Grande domanda che permane intatta: 
perseveriamo dietro il Vangelo 
o cerchiamo altrove? 
Giovanni è colto dal dubbio, 
eppure Gesù non perde niente della stima immensa che nutre per lui: 
«È il più grande!» 
I dubbi non diminuiscono la statura di questo gigante dello spirito. 
Ed è di conforto per tutti i nostri dubbi: 
io dubito, 
e Dio continua a volermi bene. 
Io dubito, 
e la fiducia di Dio resta intatta.

venerdì 9 dicembre 2016

Il cuore torna dall’esilio solo se attratto da un amore bruciante, solo se ritrova la forza di innamorarsi ancora.

Aveva ragione il Battista,
stiamo sempre aspettando un padre
che ci riporti a casa il cuore disperso,
il nostro povero cuore esiliato.
Ma il ritorno dall’esilio non avverrà
entrando nella logica di un Dio giudice terribile
ma lasciandoci guardare da un Dio
che vede il frumento crescere in noi
e che brucia d’amore la pula che inevitabilmente ci abita.

Il cuore torna dall’esilio solo se attratto da un amore bruciante,
solo se ritrova la forza di innamorarsi ancora.
Ma questo anche Giovanni dovrà impararlo.
Convertendosi.
Alessandro Dehò

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

giovedì 8 dicembre 2016

sentire che proprio quella fragilità è deserto da abitare.


Giovanni dice che
la fede è proprio
questo ritorno in se stessi,
questa consapevolezza profonda,
questa vicinanza a sé, ai fratelli, al mondo intero,
ecco perché proclama che “il Regno dei Cieli è vicino”,
dove vicino non è questione di tempo ma di consapevolezza,
vicino è il regno
quando il mondo intero lo sento intimo a me,
quando sono vicino al fratello che soffre ma anche
quando sono vicino alla sofferenza che abita il profondo di me stesso e provo
a non negarla, a non ignorarla,
provo ad amarla e a sentire che proprio quella fragilità è deserto da abitare.
Il regno dei Cieli
è quando io sono vicino alla vita,
è tutto ciò che è tornato dall’esilio:
gli affetti, le persone, le fragilità, gli errori, i peccati, gli amori, le illusioni…
riportare tutto a casa.
Smettere di negare e di negarmi,
per non avere più paura di quello che sono,
per non cedere più all’ipocrisia di voler apparire diversi,
per imparare ad amare quelle fragilità e quelle povertà che mi costituiscono.
Far tornare la nostra identità dall’esilio per poter gridare
il bisogno che venga amata, proprio lei, anche da noi,
perché quella Povertà è il Cristo che ci abita:
il regno dei Cieli è vicino.

È la nostra fragilità.

Questa è vera conversione.
Invece noi ancora a far credere
che convertirsi sia abbandonare ciò che siamo
per assumere i tratti stereotipati di una perfetta santità probabilmente mai esistita.
Ancora a dire che conversione
è lasciare la nostra vita per abbracciare modelli perfetti
perché idealizzati,
proporre umanità disincarnate,
imporre agli uomini conformazione a modelli più
che reali ritorni in se stessi.
E così ci costringiamo all’ipocrisia dei farisei perché
convertiamo sempre e solo le apparenze.
Convertirsi profondamente è avere il coraggio di riportare a casa ciò che siamo,
riconoscerlo, amarlo, custodirlo e con stupore
accorgersi che il regno dei Cieli è vicino,
è quando troviamo il coraggio di farci vicini a noi stessi,
per quello che siamo,
e  scoprire che Dio era già lì, da sempre,
a contemplarci con amore.



Alessandro Dehò

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

mercoledì 7 dicembre 2016

una mano in grado di riportare l’uomo nel cuore della propria vita.


Ma per tornare a casa
occorre riconoscerlo l’esilio,
primo passaggio ineludibile di consapevolezza,
ecco perché Giovanni attira le persone in un luogo estremo e lontano,
nel deserto.
Luogo da abitare e a cui sopravvivere
se si vuole sognare libertà,
luogo da scegliere e
che costringe a fare i conti con i nostri limiti e
quindi con la verità profonda che quei limiti disegnano.
Giovanni è un battesimo di immersione nelle acque uterine del proprio limite,
lì dove si può tornare a sentire
il bisogno di ricominciare,
lì dove si può tornare a sentire il desiderio profondo di una mano in grado di riportare l’uomo
nel cuore della propria vita.

Alessandro Dehò 
Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

martedì 6 dicembre 2016

segno inconfondibile di un esilio nuovo che nemmeno Gerusalemme aveva saputo ancora sanare: l’esilio del cuore.


Giovanni il Battista si spinge fuori dalla città,
assume lo status di esiliato,
e grida le parole di Isaia,
parole di un profeta che aveva saputo
pregare e preparare la strada di un ritorno da quell’esilio
che aveva colpito i padri biblici,

Giovanni si spinge fuori dalla città
per ricdorare quell’esilio
ma, soprattutto,
per diventare segno inconfondibile di un esilio nuovo
che nemmeno Gerusalemme aveva saputo ancora sanare:
l’esilio del cuore.

Giovanni è il profeta
degli esiliati di tutti i tempi,
di tutte le persone
che hanno il cuore altrove
e che aspettano un padre capace
di riportarli a casa,
di riportarli ad abitare nuovamente
la propria storia,
la propria carne,
il proprio Corpo.

Negli occhi di Giovanni il Battista,
se guardiamo bene,
troviamo anche il nostro di esilio.
Quello che prova chi dorme accanto
a una donna che non ama più,
a un uomo che non riconosce più,
a una storia che non lo ascolta più.
L’esilio che proviamo quando abitiamo in una famiglia
ma non riusciamo proprio a sentircene parte,
esilio di chi vive in una città ma vorrebbe sempre essere altrove,
esilio di chi non comprende più il senso del suo lavorare,
esilio di chi, guardarsi allo specchio, non si riconosce più.

Giovanni entra nelle parole profetiche di Isaia
e grida con amore che è possibile tornare a casa,
è possibile riportare il cuore a casa,
è possibile ritrovarsi e riconoscersi ancora uomini. Ecco perché è il precursore,
è colui che indica la possibilità di un cammino di ritorno in se stessi
che sarà la grande avventura di un Dio
che torna a casa
facendosi uomo.

Alessandro Dehò 
Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A

lunedì 5 dicembre 2016

I profeti in fondo sono come bambini, se gridano è solo per il bisogno di essere abbracciati,


Negli occhi del Battista
c’era un orizzonte e
disegnato sul filo di questo orizzonte
era appoggiata una speranza, piccola e fragile,
come tutte le speranze quando sono credibili.
E se gridava,
Giovanni,
era solo per la paura di
non riconoscerla questa speranza
il giorno in cui si sarebbe mostrata,
paura di lasciarsela scappare.

I profeti in fondo sono come bambini, 
se gridano è solo per il bisogno di essere abbracciati,
questa era la speranza di Giovanni.

Attendeva con tutto se stesso,
con la feroce totalità degli amanti,
attendeva come stiamo attendendo noi,
l’abbraccio di un padre capace di mettere ordine
in questa vita così affascinante e complessa.

E allora Giovanni sceglie di uscire
dai giochi di potere,
dalla Gerusalemme tentacolare e subdola,
lontano
dalle velenose parole dei potenti,
dall’ubriacatura di vuoto che striscia per le vie della città,
sceglie di uscire da Gerusalemme
per gridare al mondo
l’unico grande desiderio che valga la pena essere desiderato:
il bisogno di essere riportati a casa dall’abbraccio di un padre.
Perché siamo gente in esilio da noi stessi, questo gridava, anche a se stesso.

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A
Don Alessandro Dehò

domenica 4 dicembre 2016

Aspettavi di tornare
(Matteo 3,1-12)
II Avvento anno A
Negli occhi del Battista c’erano un deserto, un fiume e mille storie. Negli occhi del Battista c’erano le storie delle persone che lo cercavano e le storie di quella Scrittura Sacra che gli aveva rubato il cuore: storie che gli erano entrate così dentro da diventare il suo vestito, il suo cibo, la sua dolce ossessione. Negli occhi del Battista c’erano gli uomini e c’era Dio e lui, Giovanni, era una pergamena bruciata dal sole con addosso i segni visibili di questi due amori così radicali. Giovanni Battista era una pergamena scritta da Dio con la lingua dei profeti: Elia nel vestito, Isaia nella Parola, Abramo nel cuore, il suo cibo era quello dei nomadi, il deserto la sua cattedrale e l’acqua che si rincorre fino al mare il suo bisogno di eternità. Giovanni il Battista era la carne della Parola.