sabato 28 agosto 2010
Alleluia
1) Now, I've heard there was a secret chord
That David played and it pleased the Lord
But you don't really care for music, do you?
It goes like this: the fourth, the fifth
The minor fall, the major lift
The baffled king composing Hallelujah
Ora, ho saputo dell'esistenza di una melodia segreta (1)
che Davide suonava e compiaceva il Signore (2)
ma tu non ti interessi veramente di musica, non è vero?
Funziona così: la quarta, la quinta
la minore, aumentata, la maggiore diminuita.
Il re turbato compose un Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah
Alleluia (3)
Alleluia
Alleluia
Alleluia
2) Your faith was strong but you needed proof
You saw her bathing on the roof
Her beauty and the moonlight overthrew you
And she tied you to a kitchen chair
She broke your throne and she cut your hair
And from your lips she drew the Hallelujah
La tua fede era forte ma avevi bisogno di una prova
avevi visto lei mentre faceva il bagno sulla terrazza
la sua bellezza e la luce della luna ti avevano sopraffatto (4)
e lei ti ha legato ad una sedia della cucina
ha infranto il tuo trono ed ha tagliato i tuoi capelli (5)
e dalle tue labbra ha tirato fuori l'Hallelujah (6)
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Alleluia
Alleluia
2A) There was a time you let me know
What's really going on below
But now you never show it to me, do you?
And I remember when I moved in you
The holy dove she was moving too
And every breath we drew was Hallelujah
C'è stato un tempo nel quale mi hai lasciato capire
cosa accadeva veramente
ma ora non me lo mostri più, non è vero?
E mi ricordo quando mi muovevo dentro di te
e la sacra Colomba si muoveva anch'essa (7)
e ogni nostro respiro (chiamava) un Alleluia
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Alleluia
Alleluia
2B) Maybe I've been here before
I know this room, I've walked this floor
I used to live alone before I knew you
I've seen your flag on the marble arch
love is not a victory march
it's a cold and it's a broken Hallelujah
Forse sono già stato qui
conosco questa stanza, ho camminato su questo pavimento
vivevo qui prima di conoscerti
ho visto la tua bandiera sull'arco di trionfo (8)
l'amore non è una marcia trionfale
è qualcosa di freddo ed è come un Alleluia che si spezza
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Alleluia
Alleluia
2C) Maybe there's a God above
And all I ever learned from love
Was how to shoot at someone who outdrew you
It's not a cry you can hear at night
It's not somebody who's seen the light
it's a cold and it's a broken Hallelujah
Forse c'è un Dio sopra di noi
e tutto quello che ho imparato dall'amore
è come colpire qualcuno che ha sguainato (la spada contro) di te
Non è un pianto quello che ascolti la notte
non è qualcuno che ha visto la luce
è qualcosa di freddo ed è come un Alleluia che si spezza
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Alleluia
Alleluia
3) You say I took the name in vain
I don't even know the name
But if I did, well really, what's it to you?
There's a blaze of light
In every word
It doesn't matter which you heard
The holy or the broken Hallelujah
Tu dici che ho pronunciato il nome invano
io neanche lo conosco il Nome (9)
ma se anche (lo conoscessi), cosa cambierebbe per te?
C'è una vampata di luce
in ogni parola
non importa quale hai ascoltato
l'inno sacro o quello spezzato
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Alleluia
Alleluia
4) I did my best, it wasn't much
I couldn't feel, so I tried to touch
I've told the truth, I didn't come to fool you
And even though
It all went wrong
I'll stand before the Lord of Song
With nothing on my tongue but Hallelujah
Ho fatto del mio meglio, non era molto
non potevo sentire, così ho tentato di toccare (con mano)
ho detto la verità, non volevo ingannarti
e se nonostante questo
tutto andasse male
arriverò davanti al Signore della Musica (10)
con nient'altro nella mia voce che (questo) Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah
Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia
non annuncio di principî etici, ma un comportamento operativamente salvifico, purificato di ogni pretesa messianica
Raimon Panikkar (1918-2010): l'etica del dialogo
E' morto nella sua casa, tra le montagna della Catalogna, Raimon Panikkar, nato nel 1918, uno dei maggiori pensatori del nostro tempo, filosofo, teologo e mistico.
Era dotato di una cultura vastissima che intrecciava la visione occidentale con quella asiatica, la razionalità con la spiritualità. Si muoveva su terreni di confine e perciò molte sue tesi erano ardite, non convenzionali. Richiedono e richiederanno attente riflessioni, dibattiti, valutazioni... Sono, però, indubbiamente affascinanti e stimolanti.
Tra i suoi meriti: l'elaborazione di un pensiero orientato al dialogo e all'incontro tra le religioni, la mistica come esperienza del divino accessibile a tutti e non a un'élite, una visione della realtà che abbraccia insieme Dio-uomo-mondo.
Vorrei ricordarlo con questo suo "decalogo del dialogo":
Primo: l’altro esiste "per" ciascuno di noi. E l’altro è il musulmano, l’altro è l’emarginato, l’altro è il marito, l’altro è il bambino, il mondo ecc. Una specie di superamento inconscio del solipsismo.
Secondo: l’altro esiste come soggetto e non soltanto come oggetto. Esiste a sé stante e non mi ha chiesto il permesso di esistere. Neanche la pietra, gli alberi, gli animali. In altre parole: non si possono trasformare le pietre in pane.
Terzo: l’altro non è oggetto di conquista, di conversione, di studi: è (s)oggetto con diritti propri, con lo stesso diritto di interpellarmi, di interrogarmi, che ho io. La relazione è, quindi, biunivoca: il dialogo è dialogo perché non è monologo. Non è soltanto domandare, ma lasciarsi anche interpellare. Per questo c’è una necessità di ascolto, di umiltà, di uguaglianza.
Quarto: anche se io penso che l’altro (e l’altro può essere un sistema religioso o culturale) sbaglia, devo entrare in contatto con lui, altrimenti non c’è dialogo e senza dialogo non c’è pace.
Quinto: la disposizione a dialogare è il principio etico supremo. Se ci si nega al dialogo, si finisce con il divorzio, con la guerra, con la bancarotta, con il disastro.
Sesto: il dialogo deve essere totale. Come dicono gli inglesi: non c’è niente di "non-negocial". Tutto deve essere messo sul tappeto, altrimenti non è dialogo dialogale, non è dialogo umano, è dialogo diplomatico. Si mira a vincere.
Settimo: l’etica è collegata al politico, dipende dal religioso ed è frutto di una cultura.
Tutto ciò relativizza l’etica, ma la rende concreta ed efficace.
Tutto ciò relativizza l’etica, ma la rende concreta ed efficace.
Ottavo: l’etica scaturisce dal dialogo religioso e allo stesso tempo ne è la sua causa. È un circolo vitale come tutte le cose ultime.
Nono: nessuno ha il diritto di promulgare un’etica. L’etica non si promulga. Si scopre. E si scopre nel dialogo.
Inoltre in un contesto mondiale qual è quello di oggi a nessuno viene riconosciuto il diritto di promulgare un’etica universale ed assoluta.
Inoltre in un contesto mondiale qual è quello di oggi a nessuno viene riconosciuto il diritto di promulgare un’etica universale ed assoluta.
Decimo: l’etica contemporanea deve confrontarsi con un "novum" che non si era mai verificato nella storia: il "novum" di tanta gente che muore di fame, di sete, di stenti, di violenza. E che attende una redenzione concreta: non annuncio di principî etici, ma un comportamento operativamente salvifico, purificato di ogni pretesa messianica"
http://sperarepertutti.blog.lastampa.it/sperare_per_tutti/
La verità è nuova perché si scopre a poco a poco e brilla in modo sempre diverso.
ALESSANDRO D’AVENIA
« Mi manca qualcuno che mi ricordi in cosa credere, mi manca sentire qualcuno che creda nel bene ed è così triste non riuscire a credere nel bene a sedici anni». Così una lettrice del mio romanzo in una delle tante lettere che urlano: a sedici anni si può ancora credere in ciò che serve a vivere felici?
C’è una stagione dell’esistenza che chiamiamo gioventù: una volta fuggita la rimpiangiamo come età dell’oro perduta e ritrovata solo nel ricordo opportunamente edulcorato dalla memoria. I Greci lo avevano intuito drammaticamente con Titone, mortale, che per unirsi alla dea Aurora riceve il dono dell’immortalità, ma dimentica di chiedere quello dell’eterna giovinezza, sicché il dono ricevuto si trasforma in beffa e condanna: una vecchiaia prolungata all’infinito.
Il dono da chiedere agli dei non è quello dell’immortalità, ma quello della giovinezza. Molte icone del nostro tempo hanno qualcosa in comune con Titone, nel disperato tentativo di fermare il tempo cercano l’immortalità dietro un’apparente eterna giovinezza. Ma è solo questione di maquillage e le maschere prima o poi si staccano, lasciando la vita nuda e cruda a fare i conti con se stessa.
Troppo provvisoria è l’eterna giovinezza di una cultura dimentica del fatto che l’uomo è spirito incarnato e si costringe a strappare in modo goffo i doni degli dei. Solo lo spirito ha la capacità di rimanere giovane, perché in quanto tale non può invecchiare. Di alcuni 'vecchi' diciamo che sono giovani: qualcosa brilla nei loro occhi nonostante l’età anagrafica; di alcuni 'giovani' diciamo che sembrano vecchi, perché qualcosa in loro si è spento. Non è certo l’aspetto fisico o il giovanilismo peterpanesco a dare fondamento a questa impressione, ma lo spirito di queste persone. Cosa è allora questa giovinezza, vera immortalità, che tutti andiamo cercando e che lifting e chirurgia non sono capaci di restituirci? La giovinezza è – paradossalmente – stabilità. È il periodo in cui cercare ciò che rimane stabile quando essa passa, in cui fondare la propria vita su ciò per cui vale la pena spenderla. Solo la scoperta di questo fondamento stabile rende il giovane veramente tale e l’uomo eternamente giovane. Non sarà più una qualità della pelle, ma una qualità del cuore difficilmente estirpabile, a 20 come a 80 anni.
Per questo sono nate le Giornate della gioventù: per aiutare i 'giovani' a scovare ciò che passa della loro età e ciò che invece resta stabile, e che in gioventù è cercato con slancio irripetibile, come una ferita aperta, una domanda vissuta nella carne, con tutti gli errori e i dubbi che la ricerca comporta.
Occorre quindi rivedere un concetto connesso: 'il nuovo'. I ragazzi cercano il nuovo. Ma il nuovo è ridotto a sinonimo di 'più recente', 'ultimo', parole che tradiscono la vecchiaia di ciò a cui ci si riferisce, infatti presto arriverà qualcos’altro a cui aggrapparsi, perché meno vecchio. Il nuovo invece non è il meno vecchio, ma il più ricco e pieno: ciò che non smette di dare qualcosa di sé. Solo ciò che dà più di sé a ogni incontro è sempre nuovo: spirito inesauribile. Omero, Dante, Shakespeare sono nuovi perché hanno sempre qualcosa da dare. L’amore è nuovo perché l’amato è inesauribile. La verità è nuova perché si scopre a poco a poco e brilla in modo sempre diverso.
Agli dei occorre chiedere il dono giusto. I ragazzi che si affollano attorno al 'vecchio' Papa cristiano, in una sintonia tra generazioni più unica che rara, non cercano la cosa all’ultimo grido, ma la risposta definitiva al grido ultimo del cuore: per cosa posso io vivere per essere felice? Esistono un amore, una bellezza, una verità stabili e sempre nuovi? Capaci di rendere giovane, eternamente giovane e piena, la mia vita a qualunque età?
Alla sete inestinguibile di immortalità, non lenita da ciò che è più nuovo e recente, rispondono parole vecchie e misteriose che difficilmente uomini o dei provvisori possono pronunciare: «Ecco vedi io faccio nuove tutte le cose» (Ap. 21,5).
« Mi manca qualcuno che mi ricordi in cosa credere, mi manca sentire qualcuno che creda nel bene ed è così triste non riuscire a credere nel bene a sedici anni». Così una lettrice del mio romanzo in una delle tante lettere che urlano: a sedici anni si può ancora credere in ciò che serve a vivere felici?
C’è una stagione dell’esistenza che chiamiamo gioventù: una volta fuggita la rimpiangiamo come età dell’oro perduta e ritrovata solo nel ricordo opportunamente edulcorato dalla memoria. I Greci lo avevano intuito drammaticamente con Titone, mortale, che per unirsi alla dea Aurora riceve il dono dell’immortalità, ma dimentica di chiedere quello dell’eterna giovinezza, sicché il dono ricevuto si trasforma in beffa e condanna: una vecchiaia prolungata all’infinito.
Il dono da chiedere agli dei non è quello dell’immortalità, ma quello della giovinezza. Molte icone del nostro tempo hanno qualcosa in comune con Titone, nel disperato tentativo di fermare il tempo cercano l’immortalità dietro un’apparente eterna giovinezza. Ma è solo questione di maquillage e le maschere prima o poi si staccano, lasciando la vita nuda e cruda a fare i conti con se stessa.
Troppo provvisoria è l’eterna giovinezza di una cultura dimentica del fatto che l’uomo è spirito incarnato e si costringe a strappare in modo goffo i doni degli dei. Solo lo spirito ha la capacità di rimanere giovane, perché in quanto tale non può invecchiare. Di alcuni 'vecchi' diciamo che sono giovani: qualcosa brilla nei loro occhi nonostante l’età anagrafica; di alcuni 'giovani' diciamo che sembrano vecchi, perché qualcosa in loro si è spento. Non è certo l’aspetto fisico o il giovanilismo peterpanesco a dare fondamento a questa impressione, ma lo spirito di queste persone. Cosa è allora questa giovinezza, vera immortalità, che tutti andiamo cercando e che lifting e chirurgia non sono capaci di restituirci? La giovinezza è – paradossalmente – stabilità. È il periodo in cui cercare ciò che rimane stabile quando essa passa, in cui fondare la propria vita su ciò per cui vale la pena spenderla. Solo la scoperta di questo fondamento stabile rende il giovane veramente tale e l’uomo eternamente giovane. Non sarà più una qualità della pelle, ma una qualità del cuore difficilmente estirpabile, a 20 come a 80 anni.
Per questo sono nate le Giornate della gioventù: per aiutare i 'giovani' a scovare ciò che passa della loro età e ciò che invece resta stabile, e che in gioventù è cercato con slancio irripetibile, come una ferita aperta, una domanda vissuta nella carne, con tutti gli errori e i dubbi che la ricerca comporta.
Occorre quindi rivedere un concetto connesso: 'il nuovo'. I ragazzi cercano il nuovo. Ma il nuovo è ridotto a sinonimo di 'più recente', 'ultimo', parole che tradiscono la vecchiaia di ciò a cui ci si riferisce, infatti presto arriverà qualcos’altro a cui aggrapparsi, perché meno vecchio. Il nuovo invece non è il meno vecchio, ma il più ricco e pieno: ciò che non smette di dare qualcosa di sé. Solo ciò che dà più di sé a ogni incontro è sempre nuovo: spirito inesauribile. Omero, Dante, Shakespeare sono nuovi perché hanno sempre qualcosa da dare. L’amore è nuovo perché l’amato è inesauribile. La verità è nuova perché si scopre a poco a poco e brilla in modo sempre diverso.
Agli dei occorre chiedere il dono giusto. I ragazzi che si affollano attorno al 'vecchio' Papa cristiano, in una sintonia tra generazioni più unica che rara, non cercano la cosa all’ultimo grido, ma la risposta definitiva al grido ultimo del cuore: per cosa posso io vivere per essere felice? Esistono un amore, una bellezza, una verità stabili e sempre nuovi? Capaci di rendere giovane, eternamente giovane e piena, la mia vita a qualunque età?
Alla sete inestinguibile di immortalità, non lenita da ciò che è più nuovo e recente, rispondono parole vecchie e misteriose che difficilmente uomini o dei provvisori possono pronunciare: «Ecco vedi io faccio nuove tutte le cose» (Ap. 21,5).
venerdì 27 agosto 2010
Non affliggerti per chi muore. Quale assurdità: credere in un paradiso eterno, e poi compiangere chi ci va
Parola - Vangelo Mt 25, 1-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio... Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora»..
Riflessione
Ai tempi di Gesù, vista la sua raccomandazione, certamente si pensava poco alla morte; oggi addirittura vi è una congiura del silenzio su quest'argomento. Cristo ci consiglia di pensarci spesso: più essa ci diventa familiare, e meno ci spaventa. San Giovanni Crisostomo afferma: «Non affliggerti per chi muore. Quale assurdità: credere in un paradiso eterno, e poi compiangere chi ci va». Cristo, con la parabola delle dieci vergini, ci indica un rimedio sicuro per andare sereni verso la morte: tenere sempre la lampada accesa e olio di scorta; in altre parole: condurre in ogni istante una vita immortale e vigilante. Si racconta che un gruppo di pellegrini si inoltrò nei meandri di una catacomba a Roma, e che, improvvisamente, si spense l'unica lucerna della guida; persero l'orientamento e nessuno dei componenti la comitiva uscì più alla luce del sole. Una lampada spenta, purtroppo, non serve. La lucerna della nostra fede si spegne quando l'olio viene a poco a poco a diminuire, fino a estinguersi. Questo genere d'olio si consuma quando noi ci gettiamo nelle braccia della sensualità, dell'orgoglio, della pigrizia, dell'avarizia... Qualcuno potrebbe sperare, all'ultimo momento, nella misericordia infinita di Dio. Intanto, non è ragionevole mettere a rischio con superficialità una causa come quella della salvezza eterna; poi, una vita sprecata rimarrà per tutta l'eternità tale: l'olio consumato male, rimarrà per sempre consumato male.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio... Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora»..
Riflessione
Ai tempi di Gesù, vista la sua raccomandazione, certamente si pensava poco alla morte; oggi addirittura vi è una congiura del silenzio su quest'argomento. Cristo ci consiglia di pensarci spesso: più essa ci diventa familiare, e meno ci spaventa. San Giovanni Crisostomo afferma: «Non affliggerti per chi muore. Quale assurdità: credere in un paradiso eterno, e poi compiangere chi ci va». Cristo, con la parabola delle dieci vergini, ci indica un rimedio sicuro per andare sereni verso la morte: tenere sempre la lampada accesa e olio di scorta; in altre parole: condurre in ogni istante una vita immortale e vigilante. Si racconta che un gruppo di pellegrini si inoltrò nei meandri di una catacomba a Roma, e che, improvvisamente, si spense l'unica lucerna della guida; persero l'orientamento e nessuno dei componenti la comitiva uscì più alla luce del sole. Una lampada spenta, purtroppo, non serve. La lucerna della nostra fede si spegne quando l'olio viene a poco a poco a diminuire, fino a estinguersi. Questo genere d'olio si consuma quando noi ci gettiamo nelle braccia della sensualità, dell'orgoglio, della pigrizia, dell'avarizia... Qualcuno potrebbe sperare, all'ultimo momento, nella misericordia infinita di Dio. Intanto, non è ragionevole mettere a rischio con superficialità una causa come quella della salvezza eterna; poi, una vita sprecata rimarrà per tutta l'eternità tale: l'olio consumato male, rimarrà per sempre consumato male.
giovedì 26 agosto 2010
Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l'incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così!
SALMO RESPONSORIALE (Dal Salmo 144)
R. Sei grande, Signore: a te lode in eterno.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome
in eterno e per sempre.
Grande sei tu Signore e degno di ogni lode,
la tua grandezza non si può misurare R.
Una generazione narra all'altra le tue opere,
annunzia le tue meraviglie.
Proclamano lo splendore della tua gloria
e raccontano i tuoi prodigi. R.
Dicono la stupenda tua potenza
e parlano della tua grandezza.
Diffondono il ricordo della tua bontà immensa,
acclamano la tua giustizia. R.
OMELIA
"Domani..."; "Più tardi...", dice il cristiano. "Più tardi ti pregherò meglio"; "Domani mi sforzerò, ma prima bisognerebbe che...". Ma il Signore ci chiede: "Oggi..."; "Subito". Per fortuna non conosciamo la data del suo ritorno! Altrimenti, che calcoli non faremmo pur di scendere a compromessi con le sue esigenze!
Impariamo invece a fare solo quanto sia conforme alla volontà di Dio! Non lanciamoci in una brutta azione col pretesto che essa sarà fonte di un'azione migliore in seguito. E se egli ritornasse, prima che questa buona azione venga compiuta? Noi non potremmo certo presentargli le percosse date ai compagni o le nostre bevute... Vegliare non significa solo privarsi del sonno, ma anche fare ciò che Cristo si aspetta da noi: lavoro, vita di famiglia, sana distrazione o preghiera.
PREGHIERA DELLA SERA
Signore, mentre il giorno cade, io mi raccolgo in te e ti chiedo: "Quando verrai?". Tu ci hai detto: "Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà". Queste parole accendono un grande desiderio nel mio animo. Aspetto il tuo grande sabato; a volte tendo con tutto quanto il mio essere verso la tua venuta nella gloria. Perché tardi? La conoscenza della mia miseria e la consapevolezza della tua misericordia si mescolano e fecondano un mondo di luce.
Di chi potrò avere paura, dal momento che tu mi ami infinitamente? Voglio continuare ad essere rivolto verso la tua venuta, che è ancora più sicura dello spuntare del giorno dopo la notte. Mio desiderio è che tu, osservandomi nel sonno, possa dire di me: "Dorme, ma il suo cuore veglia".
R. Sei grande, Signore: a te lode in eterno.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome
in eterno e per sempre.
Grande sei tu Signore e degno di ogni lode,
la tua grandezza non si può misurare R.
Una generazione narra all'altra le tue opere,
annunzia le tue meraviglie.
Proclamano lo splendore della tua gloria
e raccontano i tuoi prodigi. R.
Dicono la stupenda tua potenza
e parlano della tua grandezza.
Diffondono il ricordo della tua bontà immensa,
acclamano la tua giustizia. R.
OMELIA
"Domani..."; "Più tardi...", dice il cristiano. "Più tardi ti pregherò meglio"; "Domani mi sforzerò, ma prima bisognerebbe che...". Ma il Signore ci chiede: "Oggi..."; "Subito". Per fortuna non conosciamo la data del suo ritorno! Altrimenti, che calcoli non faremmo pur di scendere a compromessi con le sue esigenze!
Impariamo invece a fare solo quanto sia conforme alla volontà di Dio! Non lanciamoci in una brutta azione col pretesto che essa sarà fonte di un'azione migliore in seguito. E se egli ritornasse, prima che questa buona azione venga compiuta? Noi non potremmo certo presentargli le percosse date ai compagni o le nostre bevute... Vegliare non significa solo privarsi del sonno, ma anche fare ciò che Cristo si aspetta da noi: lavoro, vita di famiglia, sana distrazione o preghiera.
PREGHIERA DELLA SERA
Signore, mentre il giorno cade, io mi raccolgo in te e ti chiedo: "Quando verrai?". Tu ci hai detto: "Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà". Queste parole accendono un grande desiderio nel mio animo. Aspetto il tuo grande sabato; a volte tendo con tutto quanto il mio essere verso la tua venuta nella gloria. Perché tardi? La conoscenza della mia miseria e la consapevolezza della tua misericordia si mescolano e fecondano un mondo di luce.
Di chi potrò avere paura, dal momento che tu mi ami infinitamente? Voglio continuare ad essere rivolto verso la tua venuta, che è ancora più sicura dello spuntare del giorno dopo la notte. Mio desiderio è che tu, osservandomi nel sonno, possa dire di me: "Dorme, ma il suo cuore veglia".
mercoledì 25 agosto 2010
chiudersi nella sicurezza ingannevole di un'apparenza onorevole, ma falsa. "La verità vi renderà liberi"
VANGELO (Mt 23,27-32)
Voi siete figli degli uccisori dei profeti.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!".
Parola del Signore.
OMELIA
La cosa peggiore è il voler apparire diversi da quello che si è. Quando nella vita sociale, a poco a poco, ci si è guadagnati un'apparenza di onore, quando ci si è procurati una reputazione di uomini di pietà e di moralità, tutto concorre a rafforzarla e ci si dà da fare per non smentire tale immagine, riuscendovi spesso assai bene. Ma che brutture dietro una tale immagine!
Gesù svela il pericolo della falsa apparenza, opponendo ad essa, sia pure implicitamente, l'uomo che ha fame e sete di giustizia, che non è mai sicuro di essersi messo sulla retta via, che aspira ad una vita più vicina alla volontà di Dio.
Si dice che san Filippo Neri, ormai prossimo alla morte, avendo avuto l'impressione di stare per guarire, avrebbe detto in modo molto serio a coloro che gli stavano intorno: "Se ne esco, mi converto!".
È meglio smentire la propria immagine, riconoscere le proprie debolezze, sopportare l'umiliazione di veder rinascere la tentazione, confessare a se stessi e a Dio la propria miseria, piuttosto che chiudersi nella sicurezza ingannevole di un'apparenza onorevole, ma falsa. "La verità vi renderà liberi".
PREGHIERA DELLA SERA
Questa sera voglio aprirmi a te, dispiegare davanti a te tutta la mia vita. Tu leggi in me come se fossi un libro aperto.
Signore, non permettere che io sia un "sepolcro imbiancato, riempito di ogni putredine". Nessuna scappatoia, nessuna tentazione di fuga, nessun orgoglio segreto alteri la rettitudine delle mie intenzioni, fin nei loro angoli più reconditi. Fammi dono di un cuore libero. Re-inventami, ricreami, restaurami, purificami: nella mia vita semplificata possa la tua Parola trasfigurare i miei giorni. Che ti siano offerti in un'offerta a te gradita, conforme ai tuoi desideri.
Riflessione
La consapevolezza dei nostri peccati ci convince che anche noi siamo sepolcri imbiancati, belli di fuori, ma dentro... Che cosa fare? Se rimaniamo chiusi, meritiamo il rimprovero di Cristo di essere degli ipocriti; se ci scoperchiamo di fronte a tutti, facciamo cosa inopportuna, giacché Paolo ci ammonisce di mettere in comune le opere che edificano e non il marciume che contamina. E' impossibile per noi uscire dal dilemma; per fortuna c'è Cristo. Un bel sepolcro, qualora il morto fosse risuscitato, potrebbe essere considerato un monumento insigne. Facciamoci risuscitare da Cristo: lui non ha paura del nostro marciume; poi non distruggiamo il sepolcro, ma conserviamolo come segno dell'infinita misericordia di Dio, come monumento del suo amore personale per noi. Evitiamo, ancora, un altro errore dei farisei, i quali affermavano che loro mai avrebbero ucciso i profeti, mentre si apprestano a far morire il Messia. Molti pensano di cambiare l'umanità e recriminano il passato; pochi si preoccupano di convertire se stessi e di vivere il presente. Impegniamoci a essere fra quei pochi; lasciamoci guidare dalla convinzione che l'ieri è un assegno annullato, il domani una cambiale incerta; solo l'oggi è denaro contante.
Voi siete figli degli uccisori dei profeti.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!".
Parola del Signore.
OMELIA
La cosa peggiore è il voler apparire diversi da quello che si è. Quando nella vita sociale, a poco a poco, ci si è guadagnati un'apparenza di onore, quando ci si è procurati una reputazione di uomini di pietà e di moralità, tutto concorre a rafforzarla e ci si dà da fare per non smentire tale immagine, riuscendovi spesso assai bene. Ma che brutture dietro una tale immagine!
Gesù svela il pericolo della falsa apparenza, opponendo ad essa, sia pure implicitamente, l'uomo che ha fame e sete di giustizia, che non è mai sicuro di essersi messo sulla retta via, che aspira ad una vita più vicina alla volontà di Dio.
Si dice che san Filippo Neri, ormai prossimo alla morte, avendo avuto l'impressione di stare per guarire, avrebbe detto in modo molto serio a coloro che gli stavano intorno: "Se ne esco, mi converto!".
È meglio smentire la propria immagine, riconoscere le proprie debolezze, sopportare l'umiliazione di veder rinascere la tentazione, confessare a se stessi e a Dio la propria miseria, piuttosto che chiudersi nella sicurezza ingannevole di un'apparenza onorevole, ma falsa. "La verità vi renderà liberi".
PREGHIERA DELLA SERA
Questa sera voglio aprirmi a te, dispiegare davanti a te tutta la mia vita. Tu leggi in me come se fossi un libro aperto.
Signore, non permettere che io sia un "sepolcro imbiancato, riempito di ogni putredine". Nessuna scappatoia, nessuna tentazione di fuga, nessun orgoglio segreto alteri la rettitudine delle mie intenzioni, fin nei loro angoli più reconditi. Fammi dono di un cuore libero. Re-inventami, ricreami, restaurami, purificami: nella mia vita semplificata possa la tua Parola trasfigurare i miei giorni. Che ti siano offerti in un'offerta a te gradita, conforme ai tuoi desideri.
La consapevolezza dei nostri peccati ci convince che anche noi siamo sepolcri imbiancati, belli di fuori, ma dentro... Che cosa fare? Se rimaniamo chiusi, meritiamo il rimprovero di Cristo di essere degli ipocriti; se ci scoperchiamo di fronte a tutti, facciamo cosa inopportuna, giacché Paolo ci ammonisce di mettere in comune le opere che edificano e non il marciume che contamina. E' impossibile per noi uscire dal dilemma; per fortuna c'è Cristo. Un bel sepolcro, qualora il morto fosse risuscitato, potrebbe essere considerato un monumento insigne. Facciamoci risuscitare da Cristo: lui non ha paura del nostro marciume; poi non distruggiamo il sepolcro, ma conserviamolo come segno dell'infinita misericordia di Dio, come monumento del suo amore personale per noi. Evitiamo, ancora, un altro errore dei farisei, i quali affermavano che loro mai avrebbero ucciso i profeti, mentre si apprestano a far morire il Messia. Molti pensano di cambiare l'umanità e recriminano il passato; pochi si preoccupano di convertire se stessi e di vivere il presente. Impegniamoci a essere fra quei pochi; lasciamoci guidare dalla convinzione che l'ieri è un assegno annullato, il domani una cambiale incerta; solo l'oggi è denaro contante.
martedì 24 agosto 2010
A ogni artista della vita si chiede di accettare, proprio come gli artisti, tutta la responsabilità del risultato della sua opera, raccogliendone i meriti e le colpe
La felicità possibile
Francesco Occhetta
«Tutti [...] vogliono vivere felici, ma hanno l'occhio confuso quando devono discernere ciò che rende felice la vita. Giungere a una vita felice è impresa difficile a tal punto che ciascuno, se appena esce di strada, se ne allontana tanto più, quanto più in fretta cammina». Il noto passo di Lucio Anneo Seneca (La vita felice, 1,1) è stato scelto come epigrafe da Zygmunt Bauman per aprire l'ultimo suo volume, L'arte della vita [1].
L'intento dell'Autore, tra i più noti sociologi viventi, è quello di aiutare a «discernere ciò che rende felice la vita», che dal latino cernere significa vagliare, setacciare o distinguere. L'arte della vita, dunque, è la capacità di comprendere «chi» diventare per poter vivere felice. Ogni uomo si chiede dove andare e quali scelte fare per essere felice. Bauman avverte però di non lasciarsi ingannare: la ricchezza di un Paese non produce felicità, anzi «il Pnl misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta» (p. 7)[2]. Come fare dunque nella «società liquida», caratterizzata da «relazioni a tempo» e da ritmi frenetici, per poter vivere felici?
«Tutti [...] vogliono vivere felici, ma hanno l'occhio confuso quando devono discernere ciò che rende felice la vita. Giungere a una vita felice è impresa difficile a tal punto che ciascuno, se appena esce di strada, se ne allontana tanto più, quanto più in fretta cammina». Il noto passo di Lucio Anneo Seneca (La vita felice, 1,1) è stato scelto come epigrafe da Zygmunt Bauman per aprire l'ultimo suo volume, L'arte della vita [1].
L'intento dell'Autore, tra i più noti sociologi viventi, è quello di aiutare a «discernere ciò che rende felice la vita», che dal latino cernere significa vagliare, setacciare o distinguere. L'arte della vita, dunque, è la capacità di comprendere «chi» diventare per poter vivere felice. Ogni uomo si chiede dove andare e quali scelte fare per essere felice. Bauman avverte però di non lasciarsi ingannare: la ricchezza di un Paese non produce felicità, anzi «il Pnl misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta» (p. 7)[2]. Come fare dunque nella «società liquida», caratterizzata da «relazioni a tempo» e da ritmi frenetici, per poter vivere felici?
L’identità moderna
L'uomo contemporaneo è inquieto per il rischio di non riuscire a costruirsi la propria identità. Manca il tempo e, quando c'è, lo si insegue per fare altre cose. Attendere qualcosa o qualcuno è diventato un lusso. Tutto va vissuto su appuntamento, perché la cultura dell'«adesso» chiede di correre affannosamente «sempre più in fretta nel tentativo necessario a inseguire altre cose» (p. 10) fino a rinunciare ai tempi del riposo e del silenzio. Stiamo allontanando l'idea che la felicità sia possibile e la surroghiamo con l'«acquisto di prodotti da cui ci si attende felicità» (p. 13). «Etichette, marchi e loghi sono i termini del linguaggio del riconoscimento»; certo, vengono imposti dal mercato, ma se non ci si omologa a comprare quel vestito o quella particolare auto, il gruppo a cui si appartiene rischia di escluderci dicendo, «non sei uno di noi», perché la propria «condizione sociale non significa nulla se non è socialmente riconosciuta» (p. 17).
Il messaggio sembra chiaro: «La via che porta alla felicità passa per i negozi, e quanto più sono esclusivi, tanto maggiore è la felicità cui si arriva»; ma le ricerche dimostrano come le gioie del consumo «si dissolvono e svaniscono presto, lasciando dietro un'ansia durevole» (p. 31). Inoltre i messaggi della pubblicità ci impongono di ringiovanire e di cambiare la vita, a tal punto che quando un prodotto non ci piace più lo cambiamo rapidamente. Queste «relazioni a tempo» non si limitano solamente al possesso di oggetti, ma riguardano l'attuale cultura delle relazioni «a basso impegno». La conseguenza ha però risvolti seri. Secondo Bauman l'uomo contemporaneo è disposto ad annullare il passato per «"rinascere", acquistare un io diverso e più attraente scartando quello invecchiato, logoro e indesiderato, "reincarnarsi" in una persona totalmente diversa, ricominciare da un "nuovo inizio"» (p. 19). Così la felicità rischia di trasformarsi in un sogno: «Fuggire dal proprio io, e acquistarne un altro su ordinazione». Ma questa idea rimane una chimera e nega la felicità possibile. Sembra non esserci alternativa: «In una vita di shopping, siamo felici finché non perdiamo la speranza di essere felici in futuro» (p. 20).
È noto a tutti come il senso di precarietà delle relazioni sia fonte di insicurezza e generi nostalgia per sentimenti di lunga durata. Ma in quale modo si può apprendere l'arte della vita? Dobbiamo «tentare l'impossibile», dice Bauman, «dare le ali» a ciò che ci blocca a terra come un macigno. A questo rimandare e farsi condizionare da ciò che non dona la felicità Bauman ricorda come «la nostra vita è un'opera d'arte [...]. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo - come ogni artista, quale che sia la sua arte - porci delle sfide difficili» (p. 27).
La felicità come cammino
Lungo la storia il significato di felicità è cambiato a seconda delle culture e del tempo. Aristotele nella Retorica (I A, 5,1360 b) definì la felicità come «buona condotta di vita congiunta alla virtù», «autosufficienza di vita», «prosperità dei beni e dei corpi con la facoltà di conservarli e di usarli». Per formare l'ateniese felice c'erano però precise condizioni «interiori» ed «esteriori»: «nobili origini, amici numerosi e buoni, ricchezza, figli buoni e numerosi, salute, bellezza, forza, statura elevata, capacità atletiche, fama, onore, fortuna, virtù» (p. 37).
Anche Marco Aurelio nel suo trattato, Pensieri, individua alcuni princìpi per poter vivere felici: l'integrità, la dignità, il duro lavoro, l'abnegazione, l'appagamento, la frugalità, la gentilezza, l'indipendenza, la semplicità, la discrezione, la magnanimità. Scrive Marco Aurelio: «Ricordati che il tuo principio direttivo diventa invincibile [...]. La mente libera da passioni è un baluardo: l'uomo non ha niente di più forte dove rifugiarsi ed essere per sempre inespugnabile». Nella sua spiegazione, Bauman rimanda al carattere e alla coscienza come all'ultimo rifugio di chi cerca la felicità: «L'unico luogo dove i sogni di felicità, condannati a morire senza figli né eredi, non rimarranno frustrati» (p. 46).
Ciò che il nostro tempo rifiuta, però, è proprio raggiungere questo «stato di felicità» capace di armonizzare il proprio passato con il futuro. Secondo Bauman, «agli albori dell'era moderna lo stato di felicità fu sostituito, nella prassi e nei sogni dei cercatori di felicità, dalla ricerca della felicità» (p. 39). Oggi la felicità più grande è quella di sfidare i pronostici, più che conseguire il premio del traguardo raggiunto. Prima l'idea di felicità era avere una mèta e cercare di raggiungere attraverso scelte particolari e coerenti il fine che una persona si dava. Adesso Bauman ritiene che i giovani, in lotta con le precedenti generazioni, «pensino che non sia realmente possibile giurare fedeltà all'itinerario che si è progettato prima di partire per il viaggio dell'esistenza, perché quell'itinerario potrebbe essere modificato dal fato e da incidenti di percorso casuali e imprevedibili» (p. 72). In questo mondo liquido-moderno, si è felici solamente a condizione di avere davanti a sé una serie di nuove occasioni e di nuovi inizi, la prospettiva di una catena infinita di partenze. «Lascio ai lettori - dichiara Bauman - di decidere se la coercizione a cercare la felicità nella forma praticata nella nostra società dei consumatori liquido-moderna, renda felice chi vi è costretto» (p. 65).
Essere artisti della propria vita
A questa domanda l'Autore risponde nella seconda parte del volume. Il mondo e gli uomini possono cambiare se ci si trasforma in artisti. Ecco allora come, secondo Bauman, l'arte della vita sia creare e ricreare sé e il mondo che ci circonda attraverso passaggi di sofferenza, di dolore, di ricerca, di rinuncia e di soddisfazioni. Nella critica che egli rivolge alle nuove generazioni, a volte perfino eccessiva, ritiene che si debba andare oltre il vivere solamente per sé. Ma non dice nulla sulla responsabilità della generazione precedente, che ha consegnato questo mondo a quella che sta esprimendo il suo disagio esistenziale.
Le generazioni anziane, infatti, si dividono da quelle nuove, nel dare significato «all'arte della vita». «Oggi il cammino di una vita e il significato di ogni episodio che la compone, ma anche [...] la "destinazione ultima" dell'esistenza, si considerano attività "fai da te", anche se consistono nella scelta del giusto tipo di kit di montaggio» e aggiunge: «A ogni artista della vita si chiede di accettare, proprio come gli artisti, tutta la responsabilità del risultato della sua opera, raccogliendone i meriti e le colpe» (p. 73). Per Bauman, oggi si è artisti della vita «non tanto per scelta quanto, potremmo dire, per decreto del fato universale», (p. 73). Che cosa significa? La felicità può passare per caso, un momento di fortuna, una trasmissione televisiva, una vincita al lotto, creare un blog personale per farsi conoscere ecc. L'artista che costruisce la sua vita dunque non è più colui che muore al mondo e si costruisce con pazienza lungo il tempo, ma colui che cerca come il fato lo possa abbracciare e rifiuta le dimensioni della fatica, dell'abnegazione, dell'ascetismo o del sacrificio di cui parlavano i classici. Rischiamo così di adattarci alle formule di felicità che premiano «le scorciatoie, i progetti che possono essere portati a termine in breve tempo, gli obiettivi raggiunti subito» (p. 97).
E per chi non ce la fa? Bauman inserisce nel suo volume un excursus sull'anoressia e sulla bulimia che ritiene forme di protesta al sistema che ci siamo creati. Nell'anoressia si chiudono tutte le porte vitali a un mondo che non si riesce ad accettare; nella bulimia invece, il mondo lo si vuole combattere con le stesse armi. Secondo Bauman è il corpo l'elemento più consumato della società dei consumi: fitness, sessualità e lotta contro il grasso sono manifestazioni dell'angoscia profonda dell'uomo contemporaneo. Un'angoscia che, ovviamente, si tramuta in domanda nei mercati consumistici e produce un'offerta diffusa. Essere artisti creativi è difficile. Così «l'urlo silenzio» delle nuove generazioni si esprime anche attraverso le incisioni, le bruciature, le escoriazioni e le lacerazioni del proprio corpo che le persone della società liquida si autoinfliggono come forma di regolazione delle proprie tensioni. La pelle diventa la superficie d'iscrizione del malessere. Si cambia il proprio corpo perché non si può cambiare l'ambiente in cui si vive. Le ferite corporali non sono un indice di follia ma una particolare forma di lotta contro il male di vivere, che segnala l'inadeguatezza della parola e del pensiero. L'alterazione del corpo è una ridefinizione di sé in una situazione dolorosa, un andare al di là del socialmente consentito per sentire qualcosa di forte. Si soffre una società che ha creato meccanismi di esclusione - come quelli del «Grande fratello» in cui ogni settimana dev'essere eliminato un concorrente -, che ha paura a integrare il diverso e protegge sempre meno coloro che si trovano nel bisogno. Il disagio profondo descritto ha per Bauman una causa chiara: «La mancanza di punti di riferimento solidi e affidabili e di guide degne di fiducia».
La cura dell'altro come fonte della felicità
Nella parte finale sono studiati alcuni filosofi dell'etica che hanno saputo gettare un ponte tra rive apparentemente incomunicabili: «L'interesse per sé e la cura per gli altri» (p. 120). L'individualismo radicale si vince in una vita di comunione e di servizio, aprendosi alla speranza di cui è carico il futuro. In tempo di crisi Bauman propone di ritornare a un'etica planetaria e alla speranza di una moralità intesa come cura per l'altro o ancora meglio «dell'essere per l'altro». Citando Lévinas ricorda che l'assenza della moralità tra gli uomini inizia con la domanda di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?». Caino intendeva la moralità come un obbligo imposto da Dio; invece l'atto morale inizia da una scelta libera consapevole e responsabile, «in quanto è espressione non calcolata, spontanea e perlopiù irriflessa di umanità» (p. 133).
Rimane una domanda: come scegliere tra le diverse strategie di ricerca della felicità? Per rispondere Bauman confronta il pensiero di Friedrich Nietzsche con quello di Emmanuel Lévinas. Pone a confronto i valori del «Superuomo» con quelli dell'uomo debole ma responsabile. Per Nietzsche è buono «tutto ciò che eleva il senso della potenza», mentre è più dannoso di qualsiasi vizio «agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli» (p. 146s). È felice il potente che, in quanto tale, è l'uomo perfetto; sono fuori gioco e infelici i deboli, uomini «malriusciti». Scrive Nietzsche in Zarathustra: «L'egoismo dei grandi e dei potenti è sacrosanto perché la loro grandezza e forza è, per tutto il genere umano, un dono» (p. 150). In questo modello autoreferenziale la ricerca della felicità è data dalla propria autopromozione di sentirsi un «Superuomo», addirittura di «rendere superfluo Dio» (p. 153).
Il modello che propone invece E. Lévinas rientra in una prospettiva di cura e di interesse per l'Altro ed è «la felicità dell'essere per». Il grado della mia felicità dipende da una scelta, da quanto riesco ad essere per gli altri in quanto «"essere" ed "essere per gli altri" sono in pratica sinonimi» (p. 154). Altrimenti non essere responsabile dell'altro significa in termini concreti risvegliare la possibilità del male. Queste sono le due strade che l'uomo contemporaneo può scegliere per progettarsi la vita.
Nelle ultime pagine del volume Bauman consiglia di riscoprire un nuovo codice etico, quello fondato sulla stima e la fiducia, sull'amicizia e su relazioni corrette, su una vita sobria e solidale. E aggiunge un elemento che ha la funzione del lievito: «I legami amicali sono [...] la nostra unica "scorta" (sociale) "nelle acque turbolente" del mondo liquido-moderno» (p. 166). L'Autore ci porta a domandarci: chi non vorrebbe la mano disponibile di una persona amica, affidabile, fedele, «che sia come l'isola per il naufrago o l'oasi per chi si è perso nel deserto»? «Sono queste le mani che ci occorrono, che vorremmo attorno a noi, tanto più numerose tanto meglio». In questo consiste l'arte della vita e la felicità possibile: costruirsi e accettare di farsi costruire.
Da: La Civiltà Cattolica, 2009 IV 162-167 (quaderno 3824 – 17 ottobre 2009)
http://pastorale.myblog.it/archive/2010/07/29/la-felicita-possibile.html#more
disposti a morire per il loro capo
WANTED - RICERCATO
Yehoshua Ben Yosef conosciuto anche come Gesù di Nazareth detto il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio,
il Figlio dell'uomo, il Re dei Re.
Il ricercato è a capo di un pericoloso movimento clandestino di liberazione.
Principali capi di imputazione:
1. Esercizio abusivo della professione medica (guarisce senza autorizzazione);
2. Distribuzione abusiva di cibo e bevande (sfama i poveri senza autorizzazione);
3. Predicazione abusiva nel tempio di Gerusalemme (insegna senza autorizzazione);
4. Remissione abusiva dei peccati (perdona gli uomini nel nome di Dio);
5. E' stato visto in compagni di peccatori pubblici, prostitute e malfattori;
6. Sovversione dell'ordine costituito insegnando il perdono, la giustizia e l'amore.
- Frase Incriminata n.1:
"Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori. Infatti, se amate solo quelli
che vi amano che merito ne avete? Non fanno così tutti gli altri?"
- Frase Incriminata n.2:
"Non accumulate tesori sulla terra dove la ruggine consuma e i ladri rubano. Accumulate invece tesori
nel cielo, perchè là dove sarà il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore".
- Frase Incriminata n.3:
"Non giudicare e non sarai giudicato, perchè con la misura con la quale giudichi sarai giudicato anche
tu. Perdona le colpe agli uomini e anche le tue colpe saranno perdonate".
- Frase Incriminata n.4:
"Ama il prossimo tuo come te stesso. Nessuno ha unamore più grande di questo: dare la vita per i propri
amici. Tutto quanto volete gli altri facciano a voi, anche voi fatelo a loro".
ATTENZIONE:
Al seguito del ricercato c'è un gruppo di uomini che si fa chiamare APOSTOLI. Costoro affermano di
essere stati salvati dal ricercato e di essere diventati figli di Dio. Ne diffondono la dottrina e sono
disposti a morire per il loro capo.
La taglia è di 30 (trente) denari. Lo vogliamo vivo!
ATTENZIONE:
L'insegnamento di questo uomo risulta molto potente, perciò se non volete rischiare di cambiare vita e
volete rimanere felici nelle vostre vite senza senzo: STATE LONTANO DA QUESTO SOVVERSIVO!
http://pastorale.myblog.it/
lunedì 23 agosto 2010
Questo vizio ci induce a recitare la parte degli uomini onesti, ad amare la pubblicità di noi stessi...
Parola - Vangelo Mt 23, 13-22
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci... che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi».
Riflessione
Gesù condanna, in modo particolare, l'ipocrisia degli scribi e dei farisei, perché rende cattiva la dottrina che predicano e contamina persino lo zelo apostolico che mettono in atto. L'ipocrisia è il contrario dell'ideale evangelico. Non limitiamoci a condannare il comportamento degli scribi e dei farisei, poiché, fermandoci a questo, cadremmo nel medesimo vizio che deprechiamo in loro. Esaminiamoci piuttosto se, per caso, non c'è un poco della loro ipocrisia anche in noi. Questo vizio ci induce a recitare la parte degli uomini onesti, ad amare la pubblicità di noi stessi, a ritenere più importante le esteriorità della vita interiore, a studiare i gesti e le parole, al solo scopo di attirare su di noi la benevola attenzione degli altri. Siamo scribi e farisei, nella peggiore edizione, quando ci preoccupiamo di attirare una persona nel nostro gruppo, associazione o movimento, poi la chiudiamo come in un ghetto, isolandola dal resto della comunità parrocchiale o diocesana. Se almeno un poco di questa ipocrisia farisaica abita in noi, cerchiamo di toglierla; in caso contrario il «guai» di Gesù ci piomberebbe addosso con la pesantezza di un macigno.
PREGHIERA DELLA SERA
Perdonami, Signore, se ho vanificato la tua Parola, se ho vissuto male questo o quell'aspetto della tua volontà e se ho chiuso il mio cuore a quelli che, più esigenti, mi mettevano a nudo.
Padre, strappa dalla mia vita questa veste consunta, questo vecchio uomo, avvolgimi tutto intero nella tunica della santa umanità del Figlio tuo, perché mi deifichi nell'umile pazienza dei giorni.
Allora la mia vita sarà più luminosa, io smetterò di ingannare i miei fratelli con le apparenze, essi mi vedranno finalmente nella verità: senza maschera, vulnerabile, povero, ma avvolto nella tua gloria. Insieme diventeremo forti e abbandoneremo infine la strada fin qui battuta.
http://www.laparola.it/laparoladioggi.php
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci... che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi».
Riflessione
Gesù condanna, in modo particolare, l'ipocrisia degli scribi e dei farisei, perché rende cattiva la dottrina che predicano e contamina persino lo zelo apostolico che mettono in atto. L'ipocrisia è il contrario dell'ideale evangelico. Non limitiamoci a condannare il comportamento degli scribi e dei farisei, poiché, fermandoci a questo, cadremmo nel medesimo vizio che deprechiamo in loro. Esaminiamoci piuttosto se, per caso, non c'è un poco della loro ipocrisia anche in noi. Questo vizio ci induce a recitare la parte degli uomini onesti, ad amare la pubblicità di noi stessi, a ritenere più importante le esteriorità della vita interiore, a studiare i gesti e le parole, al solo scopo di attirare su di noi la benevola attenzione degli altri. Siamo scribi e farisei, nella peggiore edizione, quando ci preoccupiamo di attirare una persona nel nostro gruppo, associazione o movimento, poi la chiudiamo come in un ghetto, isolandola dal resto della comunità parrocchiale o diocesana. Se almeno un poco di questa ipocrisia farisaica abita in noi, cerchiamo di toglierla; in caso contrario il «guai» di Gesù ci piomberebbe addosso con la pesantezza di un macigno.
PREGHIERA DELLA SERA
Perdonami, Signore, se ho vanificato la tua Parola, se ho vissuto male questo o quell'aspetto della tua volontà e se ho chiuso il mio cuore a quelli che, più esigenti, mi mettevano a nudo.
Padre, strappa dalla mia vita questa veste consunta, questo vecchio uomo, avvolgimi tutto intero nella tunica della santa umanità del Figlio tuo, perché mi deifichi nell'umile pazienza dei giorni.
Allora la mia vita sarà più luminosa, io smetterò di ingannare i miei fratelli con le apparenze, essi mi vedranno finalmente nella verità: senza maschera, vulnerabile, povero, ma avvolto nella tua gloria. Insieme diventeremo forti e abbandoneremo infine la strada fin qui battuta.
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domenica 22 agosto 2010
quando l'uomo si appresta ad agire, invece di obbedire alla verità, la sostituisce con qualche idolo
PREGHIERA DEL MATTINO
Gesù, mio Signore e Maestro, essere fedele all'insegnamento del tuo Vangelo è spesso uno sforzo arduo; io sono scoraggiato per le mie numerose cadute e per i miei numerosi fallimenti.
Devo ricordarmi che il santo è un peccatore che non ha mai cessato i suoi sforzi. Ritrovo allora speranza e coraggio nel sapere che tu sei il Dio onnipotente e manifesti la tua potenza soprattutto nel tuo amore, nella tua misericordia e nella tua pazienza infinita.
Comincio questa giornata senza paura, perché tu non mi lascerai mai intraprendere la mia lotta da solo.
SECONDA LETTURA (Eb 12,5-7.11-13)
Il Signore corregge chi ama.
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, avete dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli: "Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio".
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? In verità, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e fate passi diritti con i vostri piedi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Parola di Dio.
Parola - Vangelo Lc 13, 22-30
In quel tempo, Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta... il padrone... vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete».
Riflessione
Il personaggio, di cui parla il brano evangelico, fa ritornare alla mente il don Ferrante de «I Promessi Sposi», il quale, tutto preso dalla boria e dalla curiosità scientifica, interroga le stelle sulla causa della peste; non assume alcuna precauzione contro di essa, e muore colpito dal contagio, prendendosela con gli astri come un eroe del Metastasio. Gesù ci invita a non commettere un errore del genere. Evitiamo curiosità sciocche, e orientiamoci alla sostanza del problema della salvezza. Deve essere un colpo terribile quello che si abbatte su una persona che va in tribunale sicura di uscirne assolta e che, invece, dopo aver visto demolire una prova dietro l'altra, si ritrova condannata a una severissima pena. Noi abbiamo preparato le prove: «Abbiamo mangiato tante volte con te, durante la messa; abbiamo ascoltato le tue parole, in innumerevoli occasioni». Cristo ci avverte del rischio di sentirci da lui rispondere: «Non vi conosco!». La porta del paradiso è stretta; per essa non passeranno quelli che si limitano a partecipare alle sacre funzioni, senza attingere da queste la forza per esercitare la carità verso il prossimo, che costituisce l'unico «tesserino» di riconoscimento degli autentici discepoli del Signore.
Riflessione
Registi impegnati hanno portato sullo schermo alcuni problemi che travagliano la famiglia oggi. Essi presentano genitori, i quali di fronte agli insuccessi educativi, escono con la classica frase: «E dire che, ai nostri figli, non abbiamo lasciato mancare nulla!». Essi hanno loro concesso tutto, ma li hanno privati di quello di cui più avevano bisogno: interventi educativi intelligenti, pronti e mirati. Noi, forse, non siamo in grado di prevedere come terminerà il film della nostra avventura terrena; una cosa, però, è sicura fin d'ora: non potremo certamente accusare Dio padre di averci lasciato mancare gli interventi correttivi e orientativi. Lui sa fare sul serio il padre; vediamo di comportarci da figli intelligenti e fiduciosi.
MEDITAZIONE
Il nostro Salvatore dice: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta". Ciò deve essere interpretato con molta prudenza. Tutto il contenuto delle Sacre Scritture ci porta a credere che la sua verità non sarà accolta calorosamente da molti uomini, perché va contro l'opinione diffusa e i comuni sentimenti dell'uomo e del mondo; quando anche essa sarà accolta da un uomo, sarà rifiutata da quanto resta in lui della vecchia natura, così come è rifiutata da tutti gli altri che non l'hanno accolta. Simbolo della vera religione è "la luce che brilla nelle tenebre". Anche se, senza dubbio, vi sono periodi in cui scoppia un entusiasmo repentino per la verità..., la popolarità della verità dura poco, appare all'improvviso e scompare subito, non cresce regolarmente e nemmeno costantemente. Solo l'errore cresce ed è accolto calorosamente da molti...
La verità ha in sé un potere tale da obbligare l'uomo a proclamarla a parole, ma, quando l'uomo si appresta ad agire, invece di obbedire alla verità, la sostituisce con qualche idolo. Di conseguenza, quando in un paese si parla molto di religione, quando si è contenti che tutti se ne preoccupino, uno spirito saggio si preoccuperà di sapere se non si onora di fatto qualche sostituto al suo posto, se sono davvero le verità della parola di Dio e non le illusioni dell'uomo ad essere divenute popolari, se la forma accolta non ha in sé solo quanto della verità può essere accettato dalla ragione e dalla coscienza, insomma se, ad attirare molti discepoli, è Satana trasformato in angelo di luce invece che la luce stessa.
Card. JOHN HENRY NEWMAN, 1801-1890, Parochial and Plain Sermons , I, Serm. 5
http://www.laparola.it/meditaoggi.php
Gesù, mio Signore e Maestro, essere fedele all'insegnamento del tuo Vangelo è spesso uno sforzo arduo; io sono scoraggiato per le mie numerose cadute e per i miei numerosi fallimenti.
Devo ricordarmi che il santo è un peccatore che non ha mai cessato i suoi sforzi. Ritrovo allora speranza e coraggio nel sapere che tu sei il Dio onnipotente e manifesti la tua potenza soprattutto nel tuo amore, nella tua misericordia e nella tua pazienza infinita.
Comincio questa giornata senza paura, perché tu non mi lascerai mai intraprendere la mia lotta da solo.
SECONDA LETTURA (Eb 12,5-7.11-13)
Il Signore corregge chi ama.
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, avete dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli: "Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio".
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? In verità, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e fate passi diritti con i vostri piedi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Parola di Dio.
Parola - Vangelo Lc 13, 22-30
In quel tempo, Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta... il padrone... vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete».
Riflessione
Il personaggio, di cui parla il brano evangelico, fa ritornare alla mente il don Ferrante de «I Promessi Sposi», il quale, tutto preso dalla boria e dalla curiosità scientifica, interroga le stelle sulla causa della peste; non assume alcuna precauzione contro di essa, e muore colpito dal contagio, prendendosela con gli astri come un eroe del Metastasio. Gesù ci invita a non commettere un errore del genere. Evitiamo curiosità sciocche, e orientiamoci alla sostanza del problema della salvezza. Deve essere un colpo terribile quello che si abbatte su una persona che va in tribunale sicura di uscirne assolta e che, invece, dopo aver visto demolire una prova dietro l'altra, si ritrova condannata a una severissima pena. Noi abbiamo preparato le prove: «Abbiamo mangiato tante volte con te, durante la messa; abbiamo ascoltato le tue parole, in innumerevoli occasioni». Cristo ci avverte del rischio di sentirci da lui rispondere: «Non vi conosco!». La porta del paradiso è stretta; per essa non passeranno quelli che si limitano a partecipare alle sacre funzioni, senza attingere da queste la forza per esercitare la carità verso il prossimo, che costituisce l'unico «tesserino» di riconoscimento degli autentici discepoli del Signore.
Riflessione
Registi impegnati hanno portato sullo schermo alcuni problemi che travagliano la famiglia oggi. Essi presentano genitori, i quali di fronte agli insuccessi educativi, escono con la classica frase: «E dire che, ai nostri figli, non abbiamo lasciato mancare nulla!». Essi hanno loro concesso tutto, ma li hanno privati di quello di cui più avevano bisogno: interventi educativi intelligenti, pronti e mirati. Noi, forse, non siamo in grado di prevedere come terminerà il film della nostra avventura terrena; una cosa, però, è sicura fin d'ora: non potremo certamente accusare Dio padre di averci lasciato mancare gli interventi correttivi e orientativi. Lui sa fare sul serio il padre; vediamo di comportarci da figli intelligenti e fiduciosi.
MEDITAZIONE
Il nostro Salvatore dice: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta". Ciò deve essere interpretato con molta prudenza. Tutto il contenuto delle Sacre Scritture ci porta a credere che la sua verità non sarà accolta calorosamente da molti uomini, perché va contro l'opinione diffusa e i comuni sentimenti dell'uomo e del mondo; quando anche essa sarà accolta da un uomo, sarà rifiutata da quanto resta in lui della vecchia natura, così come è rifiutata da tutti gli altri che non l'hanno accolta. Simbolo della vera religione è "la luce che brilla nelle tenebre". Anche se, senza dubbio, vi sono periodi in cui scoppia un entusiasmo repentino per la verità..., la popolarità della verità dura poco, appare all'improvviso e scompare subito, non cresce regolarmente e nemmeno costantemente. Solo l'errore cresce ed è accolto calorosamente da molti...
La verità ha in sé un potere tale da obbligare l'uomo a proclamarla a parole, ma, quando l'uomo si appresta ad agire, invece di obbedire alla verità, la sostituisce con qualche idolo. Di conseguenza, quando in un paese si parla molto di religione, quando si è contenti che tutti se ne preoccupino, uno spirito saggio si preoccuperà di sapere se non si onora di fatto qualche sostituto al suo posto, se sono davvero le verità della parola di Dio e non le illusioni dell'uomo ad essere divenute popolari, se la forma accolta non ha in sé solo quanto della verità può essere accettato dalla ragione e dalla coscienza, insomma se, ad attirare molti discepoli, è Satana trasformato in angelo di luce invece che la luce stessa.
Card. JOHN HENRY NEWMAN, 1801-1890, Parochial and Plain Sermons , I, Serm. 5
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