La vita di ognuno è un'attesa. Il presente non basta a nessuno: l'occhio e il cuore sono sempre avanti, oltre la breve gioia, oltre il limite del nostro possesso, oltre le mete raggiunte con aspra fatica.
In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno.
E lo attendiamo.
Ogni popolo, come ogni cuore, è in stato messianico. La nostra epoca è forse l'epoca più messianica della storia.
Tale attesa, calma o disperata, silenziosa o urlante, è il disegno inconfondibile della nostra povertà e della nostra grandezza.
L'uomo non è mai tanto povero come quando si accorge che gli manca tutto: non è mai tanto grande come quando, da questa stessa povertà, tende le braccia e il cuore verso Qualcuno.
Cristo è questo Qualcuno.
Il profeta lo chiama «il Veniente».
Poiché egli è colui che viene, io sono colui che attende.
E l'inquietudine di chi attende si placa nella carità di chi viene: come l'incarnazione è l'inizio compiuto ed esemplare dell'incontro, il suo fermento.
La nostra attesa è così assetata, che spesso rivolgiamo male la nostra ricerca e ancor peggio collochiamo il nostro cuore.
Gli stessi eletti possono avere momenti di esitazione. Il fatto di Giovanni il Battista, secondo l'odierno Vangelo, insegna.
Egli aveva visto Gesù sulle rive del Giordano: l'aveva battezzato e indicato al popolo come «l'Agnello di Dio...». Poi, non l'aveva più incontrato. E, adesso, era in prigione a motivo di Erodiade...
Certe prove mettono in discussione tutte le nostre certezze.
Io l'ho provato qualche mese fa. Lo scoramento spirituale può prendere anche i santi e i profeti; solo coloro, che si dimenticano di ascoltare il cuore dell’uomo nel santo, ne fanno meraviglia.
La differenza tra noi e i santi è nella maniera con cui si fa fronte allo smarrimento.
Noi accogliamo il dubbio e ci lasciamo prendere dall'accidia...
Nella domanda che i discepoli di Giovanni portano a Cristo c'è già qualcosa di bruciante.
Senza fede non si vive.
Un naufrago si attacca a tutto: a una tavola, a una corda, a un filo d'erba.
L'uomo non può fare il naufrago per tutta la vita.
Purché sia uomo e non «una canna agitata dal vento»! I problemi dello spirito sono guardati seriamente e vissuti passionalmente soltanto dai veri uomini.
Le «canne agitate dal vento» (che non hanno nulla a che vedere con «le canne pensanti» di Pascal perché non pensano affatto) si credono libere perché servono tutti i padroni e deridono il profeta che, per servire uno solo, abbandona la propria testa sul piatto del festino
In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno.
E lo attendiamo.
Ogni popolo, come ogni cuore, è in stato messianico. La nostra epoca è forse l'epoca più messianica della storia.
Tale attesa, calma o disperata, silenziosa o urlante, è il disegno inconfondibile della nostra povertà e della nostra grandezza.
L'uomo non è mai tanto povero come quando si accorge che gli manca tutto: non è mai tanto grande come quando, da questa stessa povertà, tende le braccia e il cuore verso Qualcuno.
Cristo è questo Qualcuno.
Il profeta lo chiama «il Veniente».
Poiché egli è colui che viene, io sono colui che attende.
E l'inquietudine di chi attende si placa nella carità di chi viene: come l'incarnazione è l'inizio compiuto ed esemplare dell'incontro, il suo fermento.
La nostra attesa è così assetata, che spesso rivolgiamo male la nostra ricerca e ancor peggio collochiamo il nostro cuore.
Gli stessi eletti possono avere momenti di esitazione. Il fatto di Giovanni il Battista, secondo l'odierno Vangelo, insegna.
Egli aveva visto Gesù sulle rive del Giordano: l'aveva battezzato e indicato al popolo come «l'Agnello di Dio...». Poi, non l'aveva più incontrato. E, adesso, era in prigione a motivo di Erodiade...
Certe prove mettono in discussione tutte le nostre certezze.
Io l'ho provato qualche mese fa. Lo scoramento spirituale può prendere anche i santi e i profeti; solo coloro, che si dimenticano di ascoltare il cuore dell’uomo nel santo, ne fanno meraviglia.
La differenza tra noi e i santi è nella maniera con cui si fa fronte allo smarrimento.
Noi accogliamo il dubbio e ci lasciamo prendere dall'accidia...
Nella domanda che i discepoli di Giovanni portano a Cristo c'è già qualcosa di bruciante.
Senza fede non si vive.
Un naufrago si attacca a tutto: a una tavola, a una corda, a un filo d'erba.
L'uomo non può fare il naufrago per tutta la vita.
Purché sia uomo e non «una canna agitata dal vento»! I problemi dello spirito sono guardati seriamente e vissuti passionalmente soltanto dai veri uomini.
Le «canne agitate dal vento» (che non hanno nulla a che vedere con «le canne pensanti» di Pascal perché non pensano affatto) si credono libere perché servono tutti i padroni e deridono il profeta che, per servire uno solo, abbandona la propria testa sul piatto del festino
Tratto da Primo Mazzolari - ”La parola che salva”- Edb 1995