sabato 27 aprile 2013
Siete tutti consolatori stucchevoli
"Guai a coloro che il Signore troverà ad occhi asciutti
perchè non seppero essere solidali con i poveri e i sofferenti di questo mondo.
Per ricevere questa tenera consolazione di Dio
è necessario fare nostre le miserie degli oppressi,
le nostre viscere devono commuoversi alla vista di un ferito ai lati della strada,
saper vibrare con il dolore altrui, essere più attenti alle persone,
con le loro conflittualità e il loro disordine,
che non all'ordine delle cose.
Solo sapendo tacere
e sapendo compromettersi con la sofferenza dei poveri
si potrà parlare della loro speranza.
Solo prendendo sul serio il dolore dell'umanità,
la sofferenza dell'innocente e vivendo alla luce della Pasqua il mistero della Croce, sarà possibile evitare che la nostra teologia sia un discorso fatuo.
Solo allora non meriteremo da parte dei poveri di oggi
il rimprovero che Giobbe gettava in faccia ai suoi amici:
”Siete tutti consolatori stucchevoli”
Gustavo Gutierrez
venerdì 26 aprile 2013
Siamo, invece, minacciati di vita, minacciati di speranza, minacciati d’amore... Sì, ci sbagliamo di grosso!
Dicono che sono minacciato di morte.
Forse.
Sia come sia, io sono tranquillo.
Perché se mi ammazzano non mi toglieranno la vita.
Io la porterò con me, appesa a una spalla come una bisaccia da pastore.
A colui che qualcuno uccide si può togliere tutto anticipatamente come usano oggi, vale a dire: le dita delle mani, la lingua, la testa. Possono bruciare il corpo con sigarette, segarlo, tagliarlo, farlo a pezzi, triturarlo. Tutto si può fare e quanti mi leggono si commuoveranno profondamente con ragione. Io non mi commuovo molto. Perché fin da bambino, Qualcuno ho soffiato nelle mie orecchie una verità incrollabile che è, nel contempo, un invito all’eternità:
“Non temete coloro che possono uccidere il corpo, ma non possono togliere la Vita”. La vita – la vera vita – si è rafforzata in me, quando,
attraverso Pierre Teilhard de Chardin,
ho imparato a leggere il Vangelo:
il processo della risurrezione inizia con la prima ruga che spunta sul nostro viso;
con la prima macchia di vecchiaia che appare sulle nostre mani;
con il primo capello bianco che scopriamo sulla nostra testa, un giorno, mentre ci pettiniamo;
con il primo sospiro di nostalgia per un mondo che, improvvisamente, davanti agli occhi, svapora e si fa sempre più lontano...
Così comincia la risurrezione. Così comincia, non quella, così incerta, che alcuni chiamano ‘l’altra vita”, ma la vita “altra”...
Dicono che sono minacciato di morte.
Di morte corporale, quella che Francesco amò.
Chi non è “minacciato di morte”?
Tutti lo siamo, fin dalla nascita. Perché nascere è anche un po’ seppellirsi.
Minacciato di morte.
E allora?
Se così fosse, perdono a tutti, anticipatamente.
Che la mia croce sia una perfetta geometria d’amore, purché io possa continuare ad amare, parlare, scrivere e far sorridere, di tanto in tanto, tutti i miei fratelli, gli uomini.
Dicono che sono minacciato di morte.
C’è in questo avviso un errore concettuale.
Né io né nessuno siamo minacciati di morte.
Siamo, invece, minacciati di vita, minacciati di speranza, minacciati d’amore... Sì, ci sbagliamo di grosso!
Noi cristiani non siamo minacciati di morte.
Siamo “minacciati”di risurrezione. Perché oltre ad essere il Cammino e la Verità, Lui è la Vita, per quanto crocifisso sulla cima della discarica del mondo...
(José Calderón Salazar, Amenazado de resurrección).
Forse.
Sia come sia, io sono tranquillo.
Perché se mi ammazzano non mi toglieranno la vita.
Io la porterò con me, appesa a una spalla come una bisaccia da pastore.
A colui che qualcuno uccide si può togliere tutto anticipatamente come usano oggi, vale a dire: le dita delle mani, la lingua, la testa. Possono bruciare il corpo con sigarette, segarlo, tagliarlo, farlo a pezzi, triturarlo. Tutto si può fare e quanti mi leggono si commuoveranno profondamente con ragione. Io non mi commuovo molto. Perché fin da bambino, Qualcuno ho soffiato nelle mie orecchie una verità incrollabile che è, nel contempo, un invito all’eternità:
“Non temete coloro che possono uccidere il corpo, ma non possono togliere la Vita”. La vita – la vera vita – si è rafforzata in me, quando,
attraverso Pierre Teilhard de Chardin,
ho imparato a leggere il Vangelo:
il processo della risurrezione inizia con la prima ruga che spunta sul nostro viso;
con la prima macchia di vecchiaia che appare sulle nostre mani;
con il primo capello bianco che scopriamo sulla nostra testa, un giorno, mentre ci pettiniamo;
con il primo sospiro di nostalgia per un mondo che, improvvisamente, davanti agli occhi, svapora e si fa sempre più lontano...
Così comincia la risurrezione. Così comincia, non quella, così incerta, che alcuni chiamano ‘l’altra vita”, ma la vita “altra”...
Dicono che sono minacciato di morte.
Di morte corporale, quella che Francesco amò.
Chi non è “minacciato di morte”?
Tutti lo siamo, fin dalla nascita. Perché nascere è anche un po’ seppellirsi.
Minacciato di morte.
E allora?
Se così fosse, perdono a tutti, anticipatamente.
Che la mia croce sia una perfetta geometria d’amore, purché io possa continuare ad amare, parlare, scrivere e far sorridere, di tanto in tanto, tutti i miei fratelli, gli uomini.
Dicono che sono minacciato di morte.
C’è in questo avviso un errore concettuale.
Né io né nessuno siamo minacciati di morte.
Siamo, invece, minacciati di vita, minacciati di speranza, minacciati d’amore... Sì, ci sbagliamo di grosso!
Noi cristiani non siamo minacciati di morte.
Siamo “minacciati”di risurrezione. Perché oltre ad essere il Cammino e la Verità, Lui è la Vita, per quanto crocifisso sulla cima della discarica del mondo...
(José Calderón Salazar, Amenazado de resurrección).
giovedì 25 aprile 2013
Il Vangelo è il miracolo della grazia che illumina, riconcilia e converte, è il miracolo della tenerezza di Gesù
Per alcuni giorni di seguito il Vangelo della Messa ha riportato sempre dei miracoli di Gesù. Mi veniva da pensare che proprio dei miracoli abbiamo bisogno.
L’uomo può essere guarito di dentro e può essere risanato definitivamente nel corpo solo da un miracolo di Dio.
Che cos’è una conversione interiore se non un miracolo?
Che cos’è la resurrezione dei morti che aspettiamo se non un miracolo?
Le durezze umane, l’oscurità del cuore, i pregiudizi, gli egoismi, il dolore profondo che avvolge le anime e consuma i corpi da chi possono essere risanati se non da Dio?
In fondo tutta la storia biblica è un miracolo continuo di Dio.
Il Vangelo è il miracolo della grazia che illumina, riconcilia e converte, è il miracolo della tenerezza di Gesù che rimette in piedi gli zoppi, i ciechi, i lebbrosi, i morti, gli uomini sfigurati dall’abbrutimento del peccato e dagli attacchi di satana.
Bisogna chiederli questi miracoli, bisogna esserne convinti, bisogna contare su di essi e non sulle nostre piccole esili risorse. A volte invece lasciamo a Dio le briciole e ci facciamo carico di cose troppo grandi per noi.
C’è bisogno di miracoli in Turchia, in Medio Oriente, in Europa. Debbo lasciare più spazio di manovra a Dio, alla sua Parola e alla sua Grazia perché possa compierli. Dobbiamo avere la fiducia degli umili e dei semplici, o quella dei disperati e degli afflitti.
(Don Andrea Santoro, Essere gli uni per gli altri).
L’uomo può essere guarito di dentro e può essere risanato definitivamente nel corpo solo da un miracolo di Dio.
Che cos’è una conversione interiore se non un miracolo?
Che cos’è la resurrezione dei morti che aspettiamo se non un miracolo?
Le durezze umane, l’oscurità del cuore, i pregiudizi, gli egoismi, il dolore profondo che avvolge le anime e consuma i corpi da chi possono essere risanati se non da Dio?
In fondo tutta la storia biblica è un miracolo continuo di Dio.
Il Vangelo è il miracolo della grazia che illumina, riconcilia e converte, è il miracolo della tenerezza di Gesù che rimette in piedi gli zoppi, i ciechi, i lebbrosi, i morti, gli uomini sfigurati dall’abbrutimento del peccato e dagli attacchi di satana.
Bisogna chiederli questi miracoli, bisogna esserne convinti, bisogna contare su di essi e non sulle nostre piccole esili risorse. A volte invece lasciamo a Dio le briciole e ci facciamo carico di cose troppo grandi per noi.
C’è bisogno di miracoli in Turchia, in Medio Oriente, in Europa. Debbo lasciare più spazio di manovra a Dio, alla sua Parola e alla sua Grazia perché possa compierli. Dobbiamo avere la fiducia degli umili e dei semplici, o quella dei disperati e degli afflitti.
(Don Andrea Santoro, Essere gli uni per gli altri).
mercoledì 24 aprile 2013
gli uomini apprenderanno ancor più dal silenzio
Papa, amore ci ridoni al silenzio.
Dio è silenzio: muriamo
di pietra le porte del tempio
della cella, del cuore.
Diremo poi
la sola parola
capace di spegnere l’incendio: dopo,
dopo i lunghi anni di silenzio
di amato, divino, salvatore
silenzio.
Papa, non sappiamo nulla
e ne sapremo ogni giorno di meno.
Nulla della vita, della morte
del tempo;
nulla
della fine e del principio.
Forse gli uomini apprenderanno
ancor più dal silenzio,
da una vita murata in silenzio,
offerta, consunta
dal fuoco nel deserto
dell’abbandono e della “Non-curanza”,
il fiore del deserto tra le aride pietre.
Papa, non dire di quanto un uomo è responsabile
e poi lo espropri della sua coscienza. Non dire
di come Dio è coinvolto:
di fronte a un bimbo deforme,
irrimediabilmente deforme,
legittima è la bestemmia.
Papa, non dire di queste cose troppo alte,
di cosa è il tempo e la storia,
e ogni apocalisse e la profezia.
Soli o insieme lo Spirito ci guidi
a ritrovare il metro delle cose.
Ritorni il contemplativo,
uomo della misura: lui solo!
E dopo anni di benedetto silenzio
ritorni a dirci, lui solo
cosa veramente importa. – Ma dopo!
(David Maria Turoldo, Papa, amore ci ridoni al silenzio).
Dio è silenzio: muriamo
di pietra le porte del tempio
della cella, del cuore.
Diremo poi
la sola parola
capace di spegnere l’incendio: dopo,
dopo i lunghi anni di silenzio
di amato, divino, salvatore
silenzio.
Papa, non sappiamo nulla
e ne sapremo ogni giorno di meno.
Nulla della vita, della morte
del tempo;
nulla
della fine e del principio.
Forse gli uomini apprenderanno
ancor più dal silenzio,
da una vita murata in silenzio,
offerta, consunta
dal fuoco nel deserto
dell’abbandono e della “Non-curanza”,
il fiore del deserto tra le aride pietre.
Papa, non dire di quanto un uomo è responsabile
e poi lo espropri della sua coscienza. Non dire
di come Dio è coinvolto:
di fronte a un bimbo deforme,
irrimediabilmente deforme,
legittima è la bestemmia.
Papa, non dire di queste cose troppo alte,
di cosa è il tempo e la storia,
e ogni apocalisse e la profezia.
Soli o insieme lo Spirito ci guidi
a ritrovare il metro delle cose.
Ritorni il contemplativo,
uomo della misura: lui solo!
E dopo anni di benedetto silenzio
ritorni a dirci, lui solo
cosa veramente importa. – Ma dopo!
(David Maria Turoldo, Papa, amore ci ridoni al silenzio).
martedì 23 aprile 2013
Il monumento e il piedistallo
Io ho creduto, umilmente e ingenuamente, che il gran problema del rapporto tra il clero e il laicato potesse essere affrontato e in parte risolto, attraverso un cambiamento radicale del clero. Abbreviarne le distanze, cancellare le differenze, spazzar via i privilegi, camminare sulla stessa strada, essere uguali o meglio ancora sotto i piedi di tutti, essere gli ultimi, senza diritti e solo con infiniti doveri… non essere più preti, clero, mondo ecclesiastico, ma semplicemente degli accattoni della bontà altrui, dei coinvolti e possibilmente dei travolti dalle lotte per la libertà, la giustizia, la testimonianza di una alternativa che si chiama Regno di Dio al regno degli uomini...
Il mio racconto, insignificante ma chiarissimo di Fede e di Amore alla Chiesa. L’essere operaio ha voluto dir questo, prima di qualsiasi altra cosa: togliere via una qualificazione, quella di essere prete eppur rimanere serenamente prete, uomo di Dio, fratello universale. Come lasciar cadere una maschera, un paludamento, una “divisa” e ritrovarmi, come solo, io, allo scoperto, con tutta la mia Fede e quella misteriosa carica di Amore fraterno, appassionata e inesauribile. Il racconto può essere, è lungo quanto tutta la mia vita sacerdotale e il raccontarlo richiederebbe lunghe serate intorno al caminetto come nelle novelle del nonno. Lo so che non è stato accettato durante l’avventura e tanto meno può essere gradito il racconto “quando ormai si fa sera” e non solo individualmente, ma anche nella Chiesa. Allora i Sinodi per dibattere la spinosa questione del clero e del laicato: ma è perché tutto rimanga e si solidifichi così: il clero, il clero e i laici, laici. E cioè come dire: amici e nemici. Potere e servizio. Autorità e popolo. Il monumento e il piedistallo. Il carro e chi sta sul carro e guida l’asino che rassegnatamente da millenni tira il carro e tutti coloro (sono tanti) che vi stanno comodamente adagiati. (Sirio Politi, Un’utopia per la Chiesa).
Il mio racconto, insignificante ma chiarissimo di Fede e di Amore alla Chiesa. L’essere operaio ha voluto dir questo, prima di qualsiasi altra cosa: togliere via una qualificazione, quella di essere prete eppur rimanere serenamente prete, uomo di Dio, fratello universale. Come lasciar cadere una maschera, un paludamento, una “divisa” e ritrovarmi, come solo, io, allo scoperto, con tutta la mia Fede e quella misteriosa carica di Amore fraterno, appassionata e inesauribile. Il racconto può essere, è lungo quanto tutta la mia vita sacerdotale e il raccontarlo richiederebbe lunghe serate intorno al caminetto come nelle novelle del nonno. Lo so che non è stato accettato durante l’avventura e tanto meno può essere gradito il racconto “quando ormai si fa sera” e non solo individualmente, ma anche nella Chiesa. Allora i Sinodi per dibattere la spinosa questione del clero e del laicato: ma è perché tutto rimanga e si solidifichi così: il clero, il clero e i laici, laici. E cioè come dire: amici e nemici. Potere e servizio. Autorità e popolo. Il monumento e il piedistallo. Il carro e chi sta sul carro e guida l’asino che rassegnatamente da millenni tira il carro e tutti coloro (sono tanti) che vi stanno comodamente adagiati. (Sirio Politi, Un’utopia per la Chiesa).
lunedì 22 aprile 2013
senza per nulla demordere, con la consueta mitezza e pazienza aveva ripreso le fila di quel discorso
“Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9, 35-37). Loro, i Dodici, che sono considerati in senso stretto antesignani dei nostri vescovi, ma sono in generale figura di noi tutti, avevano appena finito di litigare su chi tra loro era più importante, e questo, ammesso che possa consolare noi, aveva fatto però cadere le braccia a Lui. Il quale, in ogni caso, senza per nulla demordere, con la consueta mitezza e pazienza aveva ripreso le fila di quel discorso, così oscuro e incomprensibile per loro e per noi, duri d’orecchi, di mente e di cuore. Eppure, la croce, poiché di questo si tratta, non è così distante dall’esperienza che anche noi possiamo fare o toccare. La croce è chiedersi chi c’è al centro delle mie attenzioni, e poi scegliere che ci sia comunque l’altro. Non un generico altro, ma, come dice Gesù, il più piccolo, insignificante, inutile, senza identità propria, com’è, appunto, un bambino.
domenica 21 aprile 2013
Il Regno è già misteriosamente presente sulla nostra terra; quando verrà il Signore, giungerà alla sua perfezione
Siamo avvertiti che a nulla serve all’uomo guadagnare tutto il mondo se perde se stesso. Ciò nonostante, l’attesa di una nuova terra non deve acquietarci, ma piuttosto ravvivare la preoccupazione di perfezionare questa terra dove cresce il corpo della nuova famiglia umana, il quale, in qualche modo, può anticipare un barlume del nuovo secolo. Perciò, sebbene sia necessario distinguere accuratamente progresso temporale e crescita del Regno di Cristo, ciò nonostante il primo, in quanto può contribuire ad ordinare meglio la società umana, interessa in grande misura anche il Regno di Dio. Poiché i beni della dignità umana, dell’unione fraterna e della libertà, in una parola tutti i frutti eccellenti della natura e del nostro sforzo, dopo averli propagati sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo mandato, torneremo a trovarli ripuliti da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando Cristo consegnerà al Padre il Regno eterno e universale: “Regno di verità e di Vita; Regno di Santità e di Grazia; Regno di Giustizia di Amore e di Pace”. “Il Regno è già misteriosamente presente sulla nostra terra; quando verrà il Signore, giungerà alla sua perfezione”. Questa è la speranza che alimenta noi cristiani. Sappiamo che ogni sforzo per migliorare una società, soprattutto quando vi è questa ingiustizia e il peccato, è uno sforzo che Dio benedice, che Dio vuole, che Dio esige da noi. [...] Vi supplico, cari fratelli, di guardare queste cose dal momento storico, con questa speranza, con questo spirito di offerta, di sacrificio e fare ciò che possiamo. Tutti possiamo fare qualcosa. [...] Questa santa messa quindi, questa Eucarestia, è precisamente un atto di fede. Con fede cristiana sappiamo che in questo momento l’ostia di frumento si trasforma nel corpo del Signore che si offrì per la salvezza del mondo e che in questo calice il vino si trasforma nel sangue che fu il prezzo della salvezza. Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini alimentino anche noi per dare il nostro corpo e in nostro sangue alla sofferenza e al dolore, come Cristo, non per sé, ma per offrire concetti di giustizia e di pace al nostro popolo. (Mons. Oscar Arnulfo Romero, Ultima omelia, 24 marzo 1980)
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