sabato 31 maggio 2014

una pace che quindi non può essere scalfita neppure dall’ostilità di tutto l’universo


La nota della gioia è rilevata più volte da Luca. La gioia accompagna sempre la conversione ed è un segno d’autenticità della conversione stessa. Così come la gioia accompagna gli Apostoli nelle loro tribolazioni: “si allontanarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati nel nome di Gesù”. Nell’ultima cena, Cristo aveva promesso una pace che non è di questo mondo (cfr. Gv 14,27), una pace che quindi non può essere scalfita neppure dall’ostilità di tutto l’universo. Il discepolo è un uomo libero, che non è turbato da ostilità alcuna: la pace gli rimane dentro, perché gliela dà Dio.
Don Vincenzo Cuffaro

venerdì 30 maggio 2014

La liberazione è rimozione di ostacoli, fino a quando la nostra missione deve continuare; ma c’è un momento in cui questa missione si conclude.


Il testo continua, dicendo: “annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa” (v. 32). Qui possiamo cogliere un’altra sfumatura, che abbiamo osservato precedentemente a proposito del concetto cristiano di libertà, che non consiste nella possibilità di fare tutto quello che si vuole, bensì nell’essere liberati da quegli ostacoli che frenano la realizzazione del suo piano. In questo caso, essere messi in carcere per Paolo e Sila significava essere impediti nella loro risposta alla grazia di Dio; e Dio rimuove questi ostacoli, perché dal suo punto di vista, essere liberi significa non avere ostacoli nella realizzazione del suo piano. Questa volta Paolo è liberato dal carcere per continuare la sua missione, ma quando sarà arrestato a Gerusalemme, non ci sarà più alcun terremoto a liberarlo: la sua missione apostolica, infatti, finisce lì. La liberazione è rimozione di ostacoli, fino a quando la nostra missione deve continuare; ma c’è un momento in cui questa missione si conclude. A questo punto, Dio permette che qualcuno o qualcosa possano fermarci. 
Don Vincenzo Cuffaro

giovedì 29 maggio 2014

La potenza di Dio non è al servizio dell’Apostolo per liberarlo dai guai, né la fede è una forma di assicurazione contro gli infortuni. La potenza di Dio è al servizio della conversione dell’uomo, che è scosso talvolta dai segni, con i quali Dio conferma l’autenticità dei suoi servi.


Notiamo ancora che l’intervento di Dio non è orientato solo alla liberazione degli Apostoli, ma è orientato anche alla conversione del carceriere e della sua famiglia. Il Signore non agisce mai in modo unilaterale: quando interviene in favore dei suoi servi è perché vuole lanciare un grande segnale, a partire dal quale la conversione porti la salvezza in chi ne è destinatario e testimone. La potenza di Dio non è al servizio dell’Apostolo per liberarlo dai guai, né la fede è una forma di assicurazione contro gli infortuni. La potenza di Dio è al servizio della conversione dell’uomo, che è scosso talvolta dai segni, con i quali Dio conferma l’autenticità dei suoi servi. Ecco perché i servi di Dio non sono sempre liberati dalle angosce, perché la potenza di Dio non promette all’Apostolo di camminare senza inciampi, ma promette di confermare con “segni”, anche grandi e potenti se è necessario, la verità della Parola del vangelo. Da questi segni, infatti, parte un messaggio potente di conversione che introduce nella gioia coloro che lo accolgono, gioia che proviene dalla fede. 
Don Vincenzo Cuffaro

mercoledì 28 maggio 2014

intervento di Dio nella nostra vita ha talvolta questo carattere subitaneo, capace di capovolgere in un attimo una situazione che sembrava disperata


Luca, inoltre, introduce l’intervento di Dio con un avverbio significativo: “D’improvviso”. Questo avverbio ha un grande spessore teologico, perché l’intervento di Dio nella nostra vita ha talvolta questo carattere subitaneo, capace di capovolgere in un attimo una situazione che sembrava disperata; per questa ragione è una stoltezza incatenare il proprio io nel ripiegamento, il che significa negare a Dio lo spazio per intervenire con la sua onnipotenza e cambiare tutto in un istante, quando Egli decreta che la prova sia finita. Il Signore interviene all’improvviso, perché questo risponde ad una precisa pedagogia. Così la resurrezione di Lazzaro arriva all’improvviso, quando tutti - forse anche le sue sorelle – erano afferrati dalla perplessità, pensando che il Maestro non si fosse curato abbastanza di questi suoi intimi amici, dopo avere ricolmato di miracoli gli estranei. Essi attendevano che lo guarisse, ma Cristo si fa vivo dopo che Lazzaro è morto. Come possiamo notare, c’è nelle parole di Marta come un velato rimprovero: “Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. Del resto è accaduto lo stesso alla Vergine Maria: prima di andare ad abitare con Giuseppe si trova incinta. La risposta di Dio non è immediata, non accade che Giuseppe se n’accorge e che un minuto dopo gli appaia l’angelo a dirgli che ciò che è in Lei è opera dello Spirito. Se Giuseppe si sprofonda nella meditazione, come vediamo nel vangelo di Matteo, è segno che Dio è intervenuto quando gli è parso giusto, secondo i suoi tempi, ma all’improvviso, capovolgendo d’un tratto una situazione che sembrava senza uscita; esattamente come accade a Paolo e Sila. La liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto ha avuto la stessa caratteristica. Il popolo d’Israele non è avvertito in anticipo del fatto che il mare si aprirà al suo passaggio, ma si trova come tra due fuochi, una volta giunto sulla riva: da un lato il mare e dall’altro il polverone dell’esercito egiziano. E anche lì l’intervento di Dio è improvviso e tutto si capovolge in un istante. C’è un margine di non-conoscenza che esige un profondo affidamento al Dio che libera all’improvviso, senza descrivere o spiegare a noi le motivazioni d’ogni suo singolo atto. Il Signore non è tenuto a spiegarci tutto e, di fatto, non ci spiega tutto durante questa vita, ma solo quello che serve alla nostra santificazione; verrà un momento in cui tutti i “perché” saranno spiegati, ma adesso è il tempo della fede, non il tempo della visione.

martedì 27 maggio 2014

invece di ripiegarsi e di piangersi addosso, cantano inni a Dio nel cuore della notte. È proprio questo l’unico atteggiamento in cui il mistero pasquale può manifestarsi nella vita dei cristiani.


At 16,22-34 “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”
Salmo 137 “Nella tua bontà soccorrimi, Signore”
Gv 16,5-11 “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”
Paolo e Sila, respinti, rifiutati, bastonati e poi gettati in prigione, invece di ripiegarsi e di piangersi addosso, cantano inni a Dio nel cuore della notte. È proprio questo l’unico atteggiamento in cui il mistero pasquale può manifestarsi nella vita dei cristiani. Paolo e Sila cantano inni e Dio interviene durante la lode che innalzano a Lui: “D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione”. Questa è la potenza della lode: un terremoto così forte che scuote tutto fino alle fondamenta. La lode fa tremare l’inferno, ma soprattutto, dal momento che il pensiero umano non è più incatenato su se stesso, Dio può finalmente agire, dimostrando di essere Lui l’unico vero liberatore dell’uomo: “subito le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti”. Questo versetto è l’immagine della liberazione, che avviene nel contesto della lode. Con ciò Luca vuole rilevare che, nel momento in cui il pensiero umano vince il ripiegamento, si apre per il Signore uno spazio salvifico di manifestazione della sua potenza. La potenza della liberazione passa dunque attraverso la capacità del discepolo di cantare inni a Dio quando è colpito, bastonato e messo in carcere. Il ripiegamento su se stesso impedisce allo Spirito Santo di agire. Infatti, può sembrare strano che lo Spirito di Dio in certe circostanze sia impotente, ma è Lui stesso che ha stabilito dei limiti ben precisi, che non vuole varcare. Lo Spirito Santo non varcherà mai la soglia della sfiducia e non interverrà mai nella vita di coloro che non si fidano di Dio. Se Paolo e Sila, anziché elevarsi a Dio con la preghiera di lode, avessero cominciato a piangere l’uno sull’altro, autocommiserandosi, non ci sarebbe stato nessun terremoto, né alcuno scuotimento delle fondamenta della prigione; nessuna porta si sarebbe aperta, nessuna libertà offerta. Lo Spirito Santo non intende varcare i limiti della sfiducia. La sfiducia gli chiude le porte irreversibilmente al punto tale che l’uomo non può sperimentare più la potenza di liberazione del Cristo risorto. 
Don Vincenzo Cuffaro

lunedì 26 maggio 2014

Questa tendenza naturale del nostro cuore, lesionato dal peccato, si acuisce quando non si vede raggiunto un obiettivo a cui si teneva.


At 16,22-34 “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”
Salmo 137 “Nella tua bontà soccorrimi, Signore”
Gv 16,5-11 “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”
Paolo e Sila in questa città sono stati trattati dunque come dei malfattori, bastonati e gettati in prigione. In questo genere di cose l’inclinazione umana più naturale è quella del ripiegamento, con le solite frasi che esso suggerisce: “Abbiamo fallito! Dio ci ha messo nelle mani dei nostri nemici. Ma perché proprio a noi? Che gli abbiamo fatto?”. E così via dicendo. È proprio qui che il peccato originale ci ha colpiti. Il peccato originale ha provocato in noi un continuo ritorno del nostro pensiero su noi stessi, un ritorno che diventa ancora più marcato quando veniamo colpiti da circostanze che non avremmo gradito, o da sofferenze o incomprensioni inaspettate. Questa tendenza naturale del nostro cuore, lesionato dal peccato, si acuisce quando non si vede raggiunto un obiettivo a cui si teneva. Al v. 25 l’atteggiamento degli Apostoli Paolo e Sila dimostra come dinanzi agli aspetti negativi della vita, e dinanzi al mistero della divina pedagogia, l’atto più genuinamente cristiano è la lode! La lode, nel suo slancio verticale e nella sua tendenza ad innalzarsi verso l’alto, spezza questa micidiale inclinazione di ricaduta verso il basso, cioè verso se stessi, che raggomitola l’io umano e lo fa sprofondare nel pessimismo e nel senso d’inutilità. Su questi sentimenti, poi, Satana può fare quello che vuole. Quando l’uomo sprofonda nel pessimismo e nell’inerzia, che sono i ceppi del ripiegamento, Satana ha già vinto. La lode dunque, per questo suo verticalismo, spezza il pensiero umano nel punto in cui esso sta per tornare verso se stesso e lo innalza invece verso Dio. Questa è la condizione perché Dio possa intervenire con la sua potenza di liberazione. Infatti, nella condizione del ripiegamento non rimane neanche un millimetro di apertura all’intervento di Dio; nel pessimismo generato dal ripiegamento, la persona ha già giudicato di essere finita, sostituendo il proprio giudizio a quello di Dio, che invece vorrebbe offrire nuove possibilità di rinascita. Paolo e Sila sono alieni da qualunque forma di autocommiserazione, e nella loro sventura lodano Dio: “Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti” (vv. 25-26). 
Don Vincenzo Cuffaro

domenica 25 maggio 2014

Uno dei segni della propria estraneità o della propria familiarità con Dio è appunto l’atteggiamento verso la Parola e coloro che l’annunciano


At 16,22-34 “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”
Salmo 137 “Nella tua bontà soccorrimi, Signore”
Gv 16,5-11 “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”

Il tema centrale della liturgia della Parola di questa giornata, può essere identificato con il mistero pasquale, in cui l’azione dello Spirito Santo trova uno spazio proprio in quelle cose che l’uomo percepisce come privazioni o come mortificazioni. Gli Atti degli Apostoli narrano un episodio accaduto a Paolo e Sila nella città di Filippi, dove, come sappiamo dalla lettera ai Filippesi, vi era una comunità cristiana fiorente e motivata, ma che viveva in un ambiente ostile, come si legge al v. 22 della prima lettura odierna: “In quei giorni, la folla degli abitanti di Filippi insorse contro Paolo e Sila”. Ci troviamo di nuovo dinanzi al mistero del rifiuto della Parola Dio, nel rifiuto dei suoi portatori; infatti, rifiutare gli annunciatori della Parola di Dio, equivale a rifiutare Dio! Uno dei segni della propria estraneità o della propria familiarità con Dio è appunto l’atteggiamento verso la Parola e coloro che l’annunciano. Qui, a differenza dell’atteggiamento d’apertura di Lidia alle parole di Paolo, si verifica il contrario: l’indurimento e il rifiuto violento: “i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia. Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella cella più interna della prigione e strinse i loro piedi nei ceppi” (vv. 22-24).