At 16,22-34 “Credi
nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”
Salmo 137 “Nella
tua bontà soccorrimi, Signore”
Gv 16,5-11 “Se
non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”
Paolo e Sila in questa città sono stati trattati dunque come dei
malfattori, bastonati e gettati in prigione. In questo genere di cose
l’inclinazione umana più naturale è quella del ripiegamento, con
le solite frasi che esso suggerisce: “Abbiamo fallito! Dio ci ha
messo nelle mani dei nostri nemici. Ma perché proprio a noi? Che gli
abbiamo fatto?”. E così via dicendo. È proprio qui che il peccato
originale ci ha colpiti. Il peccato originale ha provocato in noi un
continuo ritorno del nostro pensiero su noi stessi, un ritorno che
diventa ancora più marcato quando veniamo colpiti da circostanze che
non avremmo gradito, o da sofferenze o incomprensioni inaspettate.
Questa tendenza naturale del nostro cuore, lesionato dal peccato, si
acuisce quando non si vede raggiunto un obiettivo a cui si teneva. Al
v. 25 l’atteggiamento degli Apostoli Paolo e Sila dimostra come
dinanzi agli aspetti negativi della vita, e dinanzi al mistero della
divina pedagogia, l’atto più genuinamente cristiano è la
lode! La lode, nel suo slancio verticale e nella sua tendenza ad
innalzarsi verso l’alto, spezza questa micidiale inclinazione di
ricaduta verso il basso, cioè verso se stessi, che raggomitola l’io
umano e lo fa sprofondare nel pessimismo e nel senso d’inutilità.
Su questi sentimenti, poi, Satana può fare quello che vuole. Quando
l’uomo sprofonda nel pessimismo e nell’inerzia, che sono i ceppi
del ripiegamento, Satana ha già vinto. La lode dunque, per questo
suo verticalismo, spezza il pensiero umano nel punto in cui esso sta
per tornare verso se stesso e lo innalza invece verso Dio. Questa è
la condizione perché Dio possa intervenire con la sua potenza di
liberazione. Infatti, nella condizione del ripiegamento non rimane
neanche un millimetro di apertura all’intervento di Dio; nel
pessimismo generato dal ripiegamento, la persona ha già giudicato di
essere finita, sostituendo il proprio giudizio a quello di Dio, che
invece vorrebbe offrire nuove possibilità di rinascita. Paolo e Sila
sono alieni da qualunque forma di autocommiserazione, e nella loro
sventura lodano Dio: “Verso
mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i
carcerati stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto
così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito le
porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti” (vv.
25-26).
Don Vincenzo Cuffaro