La domanda di Caino
Nel giro di sessant’anni il mondo, un certo mondo ha cambiato abitudini, regole, meglio ancora ha perduto qualsiasi rapporto con quello che un tempo costituiva il fondo vero di ogni possibile verità umana. Al gusto tutto interiore della giustificazione delle proprie azioni, al bisogno di dare un senso alla propria vita è stato, a poco a poco, sostituito un regime completamente diverso, dove la nozione del male, l’idea stessa di peccato non hanno più nessuna possibilità di inserimento.
Quale male? Che male c’è? Perfino queste domande, che sono poi le domande di Caino appena compiuto il delitto, non hanno più corso. Se qualche volta le sentiamo ripetere, sotto la spinta di una protesta o sotto il peso di una passione, suonano del tutto prive di significato. Sono piuttosto un atto di insofferenza e un’accusa che vorrebbe confinare nell’angolo delle idee morte la nostra esigenza di approfondire e di giudicare le azioni degli uomini.
Né occorre dire che alla base di tante incertezze, di tanti ambigui comportamenti che nutrono il quotidiano di persone chiamate a guidare, a ricordare la parte delle responsabilità insostenibili, ritroviamo la domanda di sempre. Non si sa, cioè, più che cosa sia male, non si sa più quali regole suggerire. Il campo viene così abbandonato e l’intero capitolo della morale messo in discussione con le conseguenze che tutti sanno immaginare e che toccano, prima di tutto, il patrimonio stesso del cristianesimo e una storia di duemila anni.
Né, d’altronde, si vede quali vantaggi possano nascere da una abolizione così completa e radicale delle nozioni fondamentali della colpa, del peccato, dell’errore, dal momento che non si è pensato di provvedere a delle sostituzioni, a delle nuove proposte.
Una volta abolito il fondo della coscienza sensibile, la figura dell’uomo assume un colore di morte e il resto della sua leggenda viene sbriciolato in gesti senza valore, in atti che potremmo definire bestiali, soprattutto in una incapacità di reazioni a qualsiasi livello.
Viene allora da pensare che il male sia sfruttato come merce, come strumento della nuova industria del disordine mascherato e si ha l’impressione che qualsiasi spettacolo, perverso quanto si vuole, abbia perduto ogni forza d’urto.
(CARLO BO, La domanda di Caino, “Corriere della Sera”, 19 settembre 1967).
Nessun commento:
Posta un commento