"...Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. E' tornare a casa. Lo stesso che leggere. Chi scrive e legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando - per ragioni pratiche - è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. E' povero, e rende la vita più povera...".
“Un bisogno immane di scrivere” di Marcello Marinisi:
[…] Allora scrivete, scrivete nonostante tutto, scrivete anche se vi diranno che non serve a nulla, scrivete anche se si tratta soltanto di un passatempo, perché il vostro lavoro è un altro. Essere scrittori non è una cosa che si decide da sé, è un bisogno che si sente dentro, un'urgenza. […] Forse un giorno la scrittura ci darà la possibilità di non fare nient'altro, oppure no. Ma, alla fine, che importanza ha se quello che sentiamo è soltanto un bisogno immane di scrivere?
Giorgio Manganelli.
Provo a cominciare un libro: in realtà non posso più attendere; sono certo che neppure una pagina di questo verrà mai pubblicata: pazienza. Non direi che mi dispiaccia poco: ma è più importante scrivere un libro che stamparlo. Una pagina non scritta ci sta dentro come un umore maligno, amaro, si fa cattivo; quella parte che doveva scriverlo si fa attratta e cancrenosa. L’incertezza di pubblicare mi ha fino ad oggi impedito di scrivere tranquillamente quello che mi passava per il capo. Ora la sicurezza di non poter pubblicare mi toglie molta inquietudine. Se scrivere una qualche sciocchezza mi dà una qualche felicità, non c’è ragione perché non lo faccia. Anche scrivere un libro è un atto pratico. Serve per rendere tollerabile l’esistenza, per rinviare il suicidio, per dare al lampione che incontriamo l’apparenza di una donna. Non ci può salvare, perché nulla ci può salvare. E un rito magico, uno scongiuro. Forse all’inferno non si può scrivere.
Provo a cominciare un libro: in realtà non posso più attendere; sono certo che neppure una pagina di questo verrà mai pubblicata: pazienza. Non direi che mi dispiaccia poco: ma è più importante scrivere un libro che stamparlo. Una pagina non scritta ci sta dentro come un umore maligno, amaro, si fa cattivo; quella parte che doveva scriverlo si fa attratta e cancrenosa. L’incertezza di pubblicare mi ha fino ad oggi impedito di scrivere tranquillamente quello che mi passava per il capo. Ora la sicurezza di non poter pubblicare mi toglie molta inquietudine. Se scrivere una qualche sciocchezza mi dà una qualche felicità, non c’è ragione perché non lo faccia. Anche scrivere un libro è un atto pratico. Serve per rendere tollerabile l’esistenza, per rinviare il suicidio, per dare al lampione che incontriamo l’apparenza di una donna. Non ci può salvare, perché nulla ci può salvare. E un rito magico, uno scongiuro. Forse all’inferno non si può scrivere.
E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE? di Bukowski
Se non ti esplode dentro a dispetto di tutto,
non farlo.
A meno che non ti venga dritto dal cuore e dalla mente e dalla bocca e dalle viscere,
non farlo.
Se devi startene seduto per ore a fissare lo schermo del computer o curvo sulla macchina da scrivere alla ricerca delle parole,
non farlo.
Se lo fai solo per soldi o per fama,
non farlo.
Se lo fai perché vuoi delle donne nel letto,
non farlo.
Se devi startene lì a scrivere e riscrivere,
non farlo.
Se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
Se stai cercando di scrivere come qualcun altro,
lascia perdere.
Se devi aspettare che ti esca come un ruggito,
allora aspetta pazientemente.
Se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
Se prima devi leggerlo a tua moglie o alla tua ragazza o al tuo ragazzo o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.
Non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e pretenzioso,
non farti consumare dall’auto-compiacimento.
Le biblioteche del mondo hanno sbadigliato fino ad addormentarsi per tipi come te. Non aggiungerti a loro.
Non farlo.
A meno che non ti esca dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo non ti porti alla follia o al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
A meno che il sole dentro di te stia bruciandoti le viscere,
non farlo.
Quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da sé e continuerà finché tu morirai o morirà in te.
Non c’è altro modo.
E non c’è mai stato.
Io credo nella "vita organica" di certi libri. Sì, alcuni paiono proprio avere una loro "personalità" o almeno qualcosa di dinamico dentro, se così posso dire. Li vedo in uno scaffale delle mie biblioteche, magari mentre sto cercando altro, e quindi procedo oltre. Poi però torno sui miei passi, perché l'occhio ha ricevuto comunque un segnale. Li prendo in mano, li sfoglio. Esito. Non so perché ma me li porto dietro con nonchalance fino al divano e li poggio accanto agli altri, a quelli che - in teoria - avevano diritto di precedenza (perché facevano parte delle letture che stavo portando avanti prima di alzarmi a cercare loro simili).Se non ti esplode dentro a dispetto di tutto,
non farlo.
A meno che non ti venga dritto dal cuore e dalla mente e dalla bocca e dalle viscere,
non farlo.
Se devi startene seduto per ore a fissare lo schermo del computer o curvo sulla macchina da scrivere alla ricerca delle parole,
non farlo.
Se lo fai solo per soldi o per fama,
non farlo.
Se lo fai perché vuoi delle donne nel letto,
non farlo.
Se devi startene lì a scrivere e riscrivere,
non farlo.
Se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
Se stai cercando di scrivere come qualcun altro,
lascia perdere.
Se devi aspettare che ti esca come un ruggito,
allora aspetta pazientemente.
Se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
Se prima devi leggerlo a tua moglie o alla tua ragazza o al tuo ragazzo o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.
Non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e pretenzioso,
non farti consumare dall’auto-compiacimento.
Le biblioteche del mondo hanno sbadigliato fino ad addormentarsi per tipi come te. Non aggiungerti a loro.
Non farlo.
A meno che non ti esca dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo non ti porti alla follia o al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
A meno che il sole dentro di te stia bruciandoti le viscere,
non farlo.
Quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da sé e continuerà finché tu morirai o morirà in te.
Non c’è altro modo.
E non c’è mai stato.
Questi libri "dinamici" però non hanno fretta; hanno una volontà calma, riescono a stare a lungo in attesa. Ma arriva un momento, probabilmente deciso da loro e non da me, in cui non posso fare a meno di aprirli e leggere una frase a caso. In quel momento so già che resterò magnetizzata e che continuerò a prelevare ancora qualche frase qua e là; in questo modo il fascino della loro (ri)lettura aumenta e non ne esco più. Il circolo iniziato con l'incontro "occasionale" è virtualmente chiuso. Da quel punto in poi - e per il tempo che deciderà lui - "quel" libro diventa una presenza attiva nelle ore e nei pensieri: non si tratta più di "divorarlo", come mi accade magari con i romanzi avvincenti, e nemmeno di studiarlo, come faccio con certa imprescindibile saggistica. No, si tratta semplicemente di convivere con lui, di farmi fare compagnia, di accettare, insomma, che occupi la mia vita e ne disponga come vuole.
E' una cosa che non farei mai fare a nessun altro, sia chiaro.
Beato lui.
Da Akatalepsia
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