martedì 20 agosto 2013

Due volte il miracolo si era avverato: Ismaele, il figlio del pianto e Isacco, la creatura del riso.


Trascrivo questo testo citato dal Card. Ravasi in un commento alla genesi. Turoldo sa dire la sua fede ed aiuta noi ad approfondirla.

SIGNORE MIO, AMATO E CRUDELE*

                                               Prese dunque la legna per l'olocausto
                                               e ne caricò Isacco suo figlio; egli in-
                                               vece portava in mano il fuoco e il col-
                                               tello... E disse Isacco: «Ecco il fuoco
                                               e la legna, ma la vittima dov'è?». Ri-
                                               spose Abramo: «Figlio mio, Iddio si
                                              preparerà da sé la vittima per l'olocau-
                                              sto». Così andavano insieme.
                                                                                       (Gen 22, 6.8)

Una quercia fulminata era il Vegliardo.
Volavano sulla fronte nubi
come a una vetta alta a nuda.
Ma legato il basto al giumento
tagliò con lucida calma la legna.
Indi, la mano del fanciullo
perduta nella sua grande mano,
prese l'ombra di lui
a ondeggiare sull'altipiano.
Una luce prealbare e lontana li seguiva,
una luce radente il deserto
bianca, di lama. Nella notte
aveva turbinato come vento
su tutto il gregge e le tende
la nuvola divina.

O Vecchio, com'era il volto del Dio?
forse un lenzuolo di sangue?
o una roccia nera, un cratere in fiamme?

Avevi cento anni atteso
che fiorisse la carne. Ed ora due volte
il fuoco divampò dalla polverosa tenda:
con la tua schiava e con la donna amata
che figli non concepiva
incredula nel sangue suo.
Due volte il miracolo si era avverato:
Ismaele, il figlio del pianto
e Isacco, la creatura del riso.

Ma ora il figlio e la madre del pianto
sono cacciati di casa.
Il deserto è ancora un solo vagito di figli
un solo ululato di madri
supine alle dune e senza più fonti
all'arsura della loro millenaria morte.

E ora la creatura del riso ti segue,
fanciullo dietro il passo di favoloso bandito.
Egli porta la legna del rogo
che deve incendiare la montagna;
egli pensa alla cattura del bufalo
dalle potenti corna dorate e ride;
egli è impaziente di giungere
all'immensa pietra.

E tu camminavi muto e crudele:
quale maschera copriva
i tuoi occhi violenti e le mani folli
e l'abisso del cuore ove eri franato
valanga di sassi?

Il silenzio dell'ultimo giorno era divino.
Indietro ormai sostava pacifico il giumento,
lontani erano i servi, lontana
sua madre, le tende, i greggi,
punti neri in sconfinato deserto.

Dolce s'inarcava il giorno sulla valle dell'Innon
il Cedron ancora selvaggio rideva sotto il volo dei corvi.
In alto una pietra nuda, di teschio
e il cielo un abisso di luce.

Come ti parlò la impetuosa Voce, la nera
Voce nella notte nera, discorde e assurda
Voce che donava e rapiva
e ti beveva dentro il cuore, la Voce
che ti frantumava una a una le ossa?

«Abraham, Abraham!» e tu rispondi: eccomi.
La tua risposta ubriaca i cieli.

«Abraham vide il mio giorno e gioì:
se pur voi foste figli di Abraham...»

Così nella chiesa bianca della mia infanzia
era ritratto l'evento. Un capro
d'improvviso usciva dallo sterpeto
e una mano alla fine dolcissima fermava
la lucida lama prossima alla carne pura.

Sulla stessa montagna
mi condusse fanciullo mio padre...
O Signore mio, amato e crudele!

       * Crudele all'apparenza come ci è rivelato nella Bibbia,
chiede all'uomo gesti che gli sono incomprensibili
fino a un nuovo divino intervento.
È inoltre proprio dell'amore esprimersi
paradossalmente nei confronti dell'amato.

              (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988” – pag. 315)

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