domenica 29 settembre 2013
diciamo sì "beati i poveri", però il culto lo diamo ai ricchi.
Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella 26ª Domenica del Tempo Ordinario
secondo il rito romano
Am 6,1.4-7
Sal 14
1 Tm 6,11-16
Lc 16,19-31
Noi, ma forse no, non ci beffiamo di Gesù, non arriviamo al punto di deriderlo.
Però è proprio così vero che noi non esaltiamo ricchi e potenti?
Non è forse vero che sono loro a fare notizia, loro ad avere giullari e cortigiani, loro circondati di deferenza, quasi una sacra deferenza?
Loro hanno un nome.
Condanniamo i farisei che si facevano beffa di Gesù.
Però nei nostri criteri, quelli correnti che riguardano la vita di tutti i giorni,
diciamo sì "beati i poveri", però il culto lo diamo ai ricchi.
I ricchi che dispongono già di una corte: anche il ricco del vangelo.
Il povero - Lazzaro - non ha nessuno, solo come un cane e vegliato dai cani.
I ricchi hanno un nome,
i poveri no.
Che è proprio il contrario di quello che vuole Dio.
Per Lui il nome l'hanno i poveri.
Non per nulla nella parabola il ricco che ha tutto
-è nella casa, veste di porpora,
ha amici con cui banchetta-
ha tutto.
Non ha un nome,
per Dio non ha nome.
Al contrario ha un nome quel povero che non ha niente,
non ha casa,
non ha soldi,
non ha salute,
non ha amici.
Eppure ha un nome: Lazzaro, dall'antico El'azar, che significa "Dio ha aiutato".
Ha un nome per Dio.
E per me? -mi chiedo-,
chi ha un nome per me?
Sono i poveri o i ricchi ad avere un nome per me?
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