Quando l'abito diventa una questione molto seria anche nel gruppo parrocchiale dei «giovani adulti»
Sara piangeva in un angolo. Alessandra l'aveva vista da lontano e si era subito preoccupata: qual era il motivo di questo sfogo improvviso?
Aveva deciso di andare a soccorere l'amica, anche se non la conosceva da molto tempo e credeva che forse sarebbe potuta apparire anche un po' indiscreta. “Che cosa c'è?” le aveva detto poggiandole una mano sulla spalla. E qui era partita la reazione isterica: “Unaaaaaa unaaaaa suoraaaaa laicaaaaaaaaaa mi ha detto che mi vesto come una suora laicaaaaaaaaaa” e giù singhiozzi, un pianto irrefrenabile, che, insomma, alla sua età, trent'anni suonati non è che fosse poi così normale.
Pacco di fazzoletti di carta alla mano Alessandra cercava di arginare quel che poteva. Il soggetto di cotanta offesa mica lo aveva capito chi fosse, ma aveva di certo intuito che si trattasse di persona di sesso maschile che di certo non lasciava indifferente l'amica...
Alessandra aveva provato a calmarla e le lacrime finalmente avevano smesso di scendere giù. Lei che era arrivata da poco nel gruppo faticava a capire certe cose. Ma un consiglio sentiva di darlo e credeva che niente, in primo luogo l'appartenenza al gruppo, sarebbe stato messo in discussione da un abito diverso: “Sara, il modo in cui ci vestiamo è lo specchio della nostra interiorità. Non è possibile pensare che le persone dalle quali ci vogliamo far notare non vengano colte dalla cura con cui ci prensentiamo. Non è questo che ci fa persone di fede o meno. O che ci fa sentire escluse da un contesto di gruppo o movimento che sia. Pensaci Sara, sei ancora in tempo per essere quello che sei veramente”.
Il giorno dopo Sara andò a prendere a casa zia Maria. Andarono a fare shopping assieme e poi a mangiare una pizza. E risero come delle matte ammirando il frutto di acquisti che avevano ben poco di consumistico e molto di occasione di fiducia per una giovane donna che aveva il diritto di vivere la sua vita. E prima di tutto di volerlo.
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