Torino, 4 ottobre 2010 -
Centro congressi del Santo Volto
Enzo Bianchi
Priore di Bose
QUALE SPIRITUALITÀ PER L’UOMO CONTEMPORANEO?
C’è vita interiore quando non ci si lascia vivere, quando non si permette ad altri di
decidere e pensare per noi, quando non ci si accontenta di certezze già confezionate ma si è
capaci di aprirsi alle domande poste dalla vita, alla domanda di senso e si è disposti, anche a
fatica, a tentare di dare una risposta personale. Una vera vita umana deve sì avvenire nella
comunicazione con gli altri, ma non deve essere debitrice di soluzioni che gli altri trovano per
noi: no, ognuno è chiamato a trovare in sé, in un cammino di vita interiore, la fonte del senso.
si deve affermare con chiarezza che la vita interiore non è una vita
contrapposta alla nostra vita materiale, alla nostra esistenza quotidiana; anzi, è una vita
vissuta nel corpo, nella storia, nell’umanità senza possibili evasioni o esenzioni: è un modo di
pensare, di sentire e di agire concreto, con gli altri e tra gli altri. Insomma, senza la vita
interiore non si dà alcun cammino di umanizzazione: solo proporzionalmente allo sviluppo
della vita interiore c’è la possibilità di costruire la propria personalità, di trovare senso e
significato nella vita, di giungere a una soggettività responsabile e autonoma.
Un viaggio, un cammino
Tutti quelli che hanno fatto un’esperienza spirituale seria, profonda e durevole, e
perciò tutti i maestri di spiritualità, descrivono la vita interiore come un itinerario, un viaggio,
un cammino, un pellegrinaggio. Questa simbolica ben si adatta alla vita interiore e spirituale,
perché in essa ci sono degli inizi, ci sono degli esodi, c’è un lasciare certe situazioni vissute e
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conosciute per andare verso nuove mete, verso nuove esperienze. Si è parlato a volte di un
tendere verso l’alto, di una scala da salire; altre volte, invero più raramente, di discesa oppure
di traversata di deserti in cui si incontrano diverse difficoltà, che scoraggiano o invitano a
tornare indietro. Ha detto Eraclito con lapidaria intelligenza: «La scala che scende e che sale è
sempre la stessa» (frammento 60 [DK]).
L’uomo sente dentro di sé, nel proprio cuore un invito, una voce segreta che lo chiama
a lasciare, ad abbandonare ciò che sta vivendo, per intraprendere un cammino: c’è una nuova
strada da percorrere! «Lekh lekha! Va’ verso te stesso!» (Gen 12,1), è la voce sentita da
Abramo quando ha intrapreso il suo viaggio di credente: il viaggio geografico che lo avrebbe
portato da Ur dei Caldei fino alla terra promessa si è compiuto innanzitutto nella sua vita
interiore, tramite una discesa nelle profondità del suo cuore. In questo senso è significativo
che i padri orientali, in particolare Gregorio di Nissa, leggano il cammino della vita interiore,
simboleggiato nell’esperienza di Abramo, come un’ékstasis, un’uscita da sé.
Ma nessuna illusione: il viaggio, il cammino non è mai assicurato né si presenta come
un avanzare diretto verso la meta, non è «un’inarrestabile ascesa» (Sal 49,19); anzi, è un
cammino in cui si vivono molte contraddizioni, in cui sono possibili degli avanzamenti
insperati ma anche delle regressioni impensabili, come appare anche nell’esperienza della vita
psicologica e affettiva… È un cammino umano, segnato dai punti di forza e dalle debolezze
che contraddistinguono ogni uomo, chiamato alla libertà ma tentato di restare schiavo degli
idoli falsi che in radice sono sempre – non lo si dimentichi – «un errore antropologico»
(Adolphe Gesché), una contraddizione al cammino di umanizzazione che è compito di
ciascuno di noi. Viaggio dunque per rientrare in sé, per andare al cuore delle cose e
comprenderle dal di dentro.
Tutti abbiamo delle domande che ci
abitano, delle voci che affiorano dal nostro profondo, ma occorre ascoltarle, lasciarle
emergere e quindi esaminarle e assumerle. Come non ricordare le parole con cui Rainer Maria
Rilke invitava un giovane poeta ad «aver care le domande per se stesse»?
Ci sono domande senza risposta facile, ci sono domande che restano tali e devono
accogliere l’enigma, ma occorre comunque farle e ascoltarle; a volte infatti sono per noi più
decisive delle eventuali risposte, che a volte non sono possibili. In proposito si pensi solo alla
domanda: «Perché il male, la sofferenza, la morte?». Chi non si fa domande vive
costantemente alla superficie di se stesso: fatiche, emozioni, reazioni, gioie e sofferenze, tutto
succede, ma tutto annega l’io profondo, tutto appare con poco senso…
Conoscere se stessi significa pertanto innanzitutto aderire alla realtà, conoscere
la propria relazione con la storia, gli altri, il mondo, perché è così che ciascuno di noi esiste ed
è coinvolto. Molti cammini spirituali appaiono a volte sterili, quando non negativi e
disumanizzanti, perché mancano di adesione alla realtà. È estremamente pericoloso iniziare il
cammino interiore o spirituale senza sentirsi come gli altri, in mezzo agli altri, bisognosi degli
altri e mai senza gli altri! Quante derive nella vita interiore e spirituale da parte delle persone
che si isolano, che non ascoltano più, che vivono solo delle proprie certezze e delle proprie
scoperte…
Conoscere se stessi è quindi un compito, una fatica, un esercizio quotidiano e richiede
di guardare, scrutare, esaminare il proprio sentire, parlare e agire. Oggi noi abbiamo la grazia
delle scienze umane che rendono all’esperienza spirituale un grande aiuto e un grande
servizio: possono infatti guidare la persona a una giusta conoscenza di sé e possono essere
veicoli di sapienza e strumenti di liberazione. Senza una certa conoscenza di sé è quasi
impossibile lo sviluppo della vita interiore, perché io sono ciò che sono, cioè anche tutto ciò
che mi ha fatto, che ha contribuito alla formazione del mio io...
Sì, esercitandosi a conoscere se stessi già si percorre il viaggio interiore!
Per conoscere se stessi, per comprendersi e interpretarsi occorrono delle condizioni
che favoriscano questo lavoro interiore, che permettano di concentrare gli sguardi e di
resistere alla dissipazione: occorre raccogliere le forze per «andare a fondo», per scendere
nelle proprie profondità e sperimentare la vita spirituale quale processo di gravidanza, in cui
si prende forma, si è generati, si rinasce – Gesù parla in proposito di «rinascita dall’alto»,
grazie allo Spirito santo (cf. Gv 3,3-8) –, si fa emergere ciò che è in noi e che noi non
siamo ancora...
Sappiamo bene quale fatica comporti
l’introdurre nella nostra vita spazi e momenti di solitudine: apprensione, ansia, anche disgusto
ci possono invadere quando incominciamo a stare in solitudine, in disparte; passare
dall’agitazione delle preoccupazioni quotidiane alla solitudine non è spontaneo ma richiede
una decisione, uno sforzo di volontà. In verità le distrazioni ci piacciono, il rumore interiore ci
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tiene compagnia, la presenza di altre voci e di diverse immagini ci avvolge e ci protegge da
noi stessi, da ciò che siamo in verità. «Diventa ciò che sei!» esortava Pindaro, ma noi
resistiamo a questa chiamata profonda che ci abita.
Se c’è vera solitudine c’è anche il silenzio, da intendersi non come mutismo ma come
distanza dalle voci, come possibilità di un ascolto «altro», ascolto di ciò che non è rumore,
chiasso, tono alto di voce, di ciò che non si impone e tuttavia parla: sì, perché anche il silenzio
è eloquente, parla e può essere ascoltato (cf. 1Re 19,12). La vita interiore ha bisogno di un
tempo di silenzio, che consenta ai nostri sensi di funzionare in modo semplice e naturale,
senza essere sollecitati artificialmente; ha bisogno di uno spazio «in disparte», di una volontà
non di fuga ma piuttosto di raccoglimento: nel linguaggio corrente si dice appunto che occorre
ritrovare se stessi – espressione curiosa! –, a indicare che si può essere perduti, smarriti…
Silenzio e solitudine permettono anche il fiorire della libertà personale, attraverso un
lavoro di umanizzazione progressiva, di crescita della capacità critica in grado di giudicare e
discernere tutte le offerte, di assunzione della soggettività. Bisogna saper dire «io» nella vita
interiore, anzi imparare a dirlo, per poter dire anche «noi» in modo autentico. Va detto in
modo forte: per poter vivere un cammino spirituale occorre assolutamente la libertà, una
libertà sottomessa alla prova ma sempre da afferrare e da confermare per poter avanzare.
Essere liberi desta paura, soprattutto nello spazio interiore dove forza d’inerzia, tentazioni di
benessere, incombenti sonnolenze sono sempre efficaci e attive. Ogni uomo è chiamato a
scrivere lui stesso la propria storia; non c’è fato né necessità e nulla è predeterminato. La
creazione, il fare della propria vita un’opera d’arte hanno assoluto bisogno della libertà: e non
c’è libertà né liberazione possibile senza la libertà interiore...
La vita spirituale cristiana implica un lavoro di discernimento che si configura come
attenzione, vigilanza, ascolto di ogni presenza e manifestazione dello Spirito, della Parola di
Dio, della vita nel suo multiforme manifestarsi. È un lavoro di accoglienza dello Spirito da
parte del nostro spirito, un lavoro nel quale sono associate memoria, intelligenza e volontà.
Noi siamo infatti abitati dalla memoria, ma questa va risvegliata, risuscitata come memoria
viva attraverso l’esercizio dell’intelligenza: solo in questo modo diventiamo capaci di leggere
in profondità il nostro passato e di rischiarare il nostro presente. E così sull’oggi possiamo
esercitare le nostre capacità di mobilitare energie e forze per il sentire e l’agire: questo è il
lavoro dell’intelligenza, dello spirito illuminato dallo Spirito santo...
Molte donne e molti uomini che sono
cresciuti come cristiani sincronicamente alla loro crescita umana non conoscono infatti questo
brusco cambiamento interiore ma piuttosto un processo di trasformazione. In ogni caso deve
esserci la consapevolezza di un decentramento da se stessi e di un’apertura verso un altrove,
un oltre… Quindi non per tutti i cristiani c’è un prima e un dopo rispetto alla conversione:
sempre però l’istanza di conversione dev’essere non solo presente ma sentita in modo forte. E
ciò che è veramente decisivo è la coscienza che all’origine della vita spirituale c’è la
presenza dello Spirito santo, condizione necessaria per tutte le conversioni e tutti gli itinerari
spirituali.
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